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Le parole per dirlo: esprimere il dolore con le parole e non con l’agito – Ciottoli di Psicopatologia Generale

La psicoterapia dovrebbe offrire ai pazienti la possibilità di esprimere il dolore con le parole evitando di ricorrere ad agiti estremi.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 21 Dic. 2016

Tutta la psicoterapia potrebbe essere sintetizzata nell’invito “parliamone” che significa sostituire agli agiti dei sistemi primitivi, le loro rappresentazioni corticali manipolando quest’ultime auspicandosi che poi esse retroagiscano su quegli stessi sistemi.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – Le parole per dirlo: esprimere il dolore con con le parole e non con l’agito (Nr. 16)

L’alto tasso di suicidio a Tahiti

Leggendo l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio sono rimasto colpito da un capitoletto in cui riporta uno studio degli anni ’50 di Henry Bernard Levy che voleva capire perché a Tahiti ci fosse un’ incidenza di suicidi enormemente superiore a quella mondiale ed anche a quella di paesi con analoghe situazioni economiche e climatiche. Insomma la domanda lecita era “ ma perché questi si ammazzano come Lemmi pur vivendo in un posto niente male?”

Levy si accorse che nella lingua tahitiana non esistevano parole per indicare il dolore morale o psichico, mentre ce ne erano molte e con diverse sfumature per il dolore fisico. Certamente è improprio stabilire una relazione causale tra i due fatti ma certo il sospetto che ciò che non è esprimibile a parole finisca per essere agito è legittimo.

 

Psicoterapia: un’occasione per esprimere il dolore con le parole

Riporto questo fatto perché mi sembra restituisca dignità ad un lavoro spesso considerato banale, di scarso valore, delegabile ad un testo scritto o addirittura dato per scontato che va sotto il nome di “psicoeducazione emotiva”. Proseguendo su questa linea mi viene da pensare che tutta la psicoterapia potrebbe essere sintetizzata nell’invito “parliamone” che significa sostituire agli agiti dei sistemi primitivi, le loro rappresentazioni corticali manipolando quest’ultime auspicandosi che poi esse retroagiscano su quegli stessi sistemi.

Contemporaneamente fa parte della tradizione comportamentale-cognitivista, ora prepotentemente rinforzata con le strategie della terza ondata ( per usare questo odioso linguaggio da bollettino dei naviganti) la consapevolezza che possenti cambiamenti nelle rappresentazioni corticali si generino proprio a partire dagli agiti, ed anzi talvolta questa è l’unica via percorribile.

Insomma quando facciamo l’assessment e la restituzione invitando il paziente ad essere insieme a noi psicologo di se stesso e gli diamo le parole per completare quell’operazione di mentalizzazione iniziata con le figure di attaccamento, non stiamo semplicemente preparandoci all’intervento terapeutico importante vero e proprio, non gli stiamo rubando tempo e soldi, ma stiamo salvando la vita ad un sacco di tahitiani. Per i lemmi invece non c’è riparo ci vogliono l’EMDR o gli SSRI.

 

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

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