Esiste un ampio consenso scientifico sul ruolo dell’alta Emotività Espressa (familiare e non) nel predire le recidive in pazienti psicotici (oltre a svariate altre patologie). Ma per quanto concerne l’ipotesi di un ruolo nell’innesco di un disturbo psicotico il discorso si fa più complesso.
Marina Lustrati – OPEN SCHOOL Scuola Cognitiva Firenze
La temperatura emotiva della famiglia: l’ Emotività Espressa
La ricerca psichiatrica sulla famiglia nasce intorno agli studi sulla Schizofrenia, una tra le più gravi patologie mentali. L’ambiente familiare è il primo luogo di espressione dei sintomi del paziente. La famiglia si trova di conseguenza a scontrarsi con tutta una serie di comportamenti disturbati del proprio congiunto, tanto diversi rispetto a quelli passati. Il rischio diviene allora la critica verso questi comportamenti, oppure, all’opposto, la negazione del disturbo (con il conseguente ritardo nella ricerca di un aiuto specialistico) o ancora un atteggiamento iperprotettivo. Ebbene sono proprio queste le dimensioni che definiscono il concetto di Emotività Espressa (EE).
Secondo Christine Vaughn (1988), una delle prime autrici che si è occupata di questo costrutto, l’ Emotività Espressa rappresenta la “temperatura emotiva” della famiglia. Sarebbe quindi l’indicatore dell’intensità emotiva familiare, rivelatore di mancanza di affetto o di interessamento eccessivamente invadente.
Schematizzando, l’ Emotività Espressa familiare è rappresentata quindi dalle dimensioni di:
- Critica
- Ostilità
- Ipercoinvolgimento emotivo
che rappresentano delle scale, cosiddette, di rischio, accanto alle quali troviamo contrapposte le seguenti scale di protezione:
- Calore affettivo
- Commenti positivi
Qualsiasi trattazione sul concetto di Emotività Espressa non può prescindere né dalla malattia schizofrenica né dalle recidive; infatti è utile evidenziare che questo concetto è stato coniato a partire dai primi studi compiuti a Londra da George W. Brown e colleghi (1958) proprio per indicare quel particolare stile interazionale familiare che aveva mostrato una correlazione piuttosto forte con le recidive di pazienti psicotici.
Ebbene questa predittività è confermata ancora oggi e sostenuta da un’ampia letteratura in merito (Brown, Birley & Wing, 1972; Vaughn & Leff, 1976; Leff, Kuipers, Berkowitz, Erbelein-Vries & Sturgeon, 1982; Brown, 1985; Vaughn, 1986; Kuipers & Bebbington, 1988; Cazzullo, Bertrando, Bressi, Clerici & Maffei, 1989; Miklowitz et al., 1989; Barrelet, Ferrero, Szigethy, Giddey & Pellizzer, 1990; Bertrando et al., 1992; Bebbington & Kuipers, 1994, analisi aggregata; Hooley, Rosen & Richters, 1995; Heikkila et al., 2002; Pourmand, Kavanagh & Vaughan, 2005; Brent & Giuliano, 2007; Lim, Chong & Keefe, 2009, review).
Alcuni autori hanno allargato gli studi ad altre patologie, confermando il medesimo ruolo predittivo dell’alta Emotività Espressa sulle recidive di pazienti: depressi (Hooley, 1986); Bipolari (Miklowitz, Goldstein, Nuechterlein, Snyder & Doane, 1986; Miklowitz, Biuckians & Richards, 2006); con Disturbi Alimentari (Fischmann-Havstad & Marston, 1984; Szmuckler, Eisler, Russel & Dare, 1985; Sepulveda, 2009) e con patologie organiche (Koenigsberg, 1995; Invernizzi et al., 1991). E’ stata verificata l’influenza di un’alta Emotività Espressa anche rispetto a quanto manifestato dai coniugi dei pazienti (Hooley, Rosen & Richters, 1995) e addirittura dagli operatori dello staff ospedaliero (Berry, Barrowclough & Haddock, 2011, review di 27 studi dal 1990 al 2008). Inoltre l’ Emotività Espressa viene ormai ritenuto un valido predittore cross-culturale (Moline, Singh, Morris & Meltzer, 1985; Marom, Munitz, Jones, Weizman & Hermesh, 2002; Healey, Tan & Chong, 2006; Chien & Chan, 2010).
Riassumendo esiste un ampio consenso scientifico sul ruolo dell’alta Emotività Espressa (familiare e non) nel predire le recidive in pazienti psicotici (oltre a svariate altre patologie). Ma per quanto concerne l’ipotesi di un ruolo nell’innesco di un disturbo psicotico il discorso si fa più complesso. Ed è proprio questo che abbiamo cercato di fare nel presente studio.
Emotività Espressa ed esordio del disturbo psicotico: cosa dicono gli studi
Per quel che riguarda la letteratura non ci sono accordi univoci in tal senso, tuttavia possiamo scorgere alcuni importanti risultati che convergono verso tale assunto.
La prima ricerca in merito è rappresentata da uno studio prospettico effettuato da Goldstein (1985), su soggetti a rischio e sulle caratteristiche delle loro famiglie. Ebbene questo studio rivela come un’alta Emotività Espressa familiare e i relativi modelli devianti di comunicazione siano associati all’esordio di patologie psicotiche nei soggetti a rischio e nei fratelli di questi soggetti. Un dato ancor più degno di nota è rappresentato dalla costatazione che una tale “temperatura emotiva” sarebbe precedente l’insorgenza della psicosi e quindi non una reazione a comportamenti già disturbati dei soggetti. A tale risultato sono approdati anche Heikkila e colleghi (2002), i quali hanno indicato che l’alta Emotività Espressa non risulta essere associata né con la gravità dei sintomi dei pazienti, né con le caratteristiche premorbose, scartando così la possibilità che possa essere considerata una mera conseguenza.
Un altro studio che merita sicuramente menzione è quello di Tienari e colleghi (2004). Mediante un follow-up a lungo termine sono stati analizzati soggetti adottati (che differivano tra loro in base al fatto che alcuni erano figli naturali di madre schizofrenica) e le loro famiglie adottive. I risultati cui sono pervenuti, portano gli autori a concludere che l’alta Emotività Espressa delle famiglie adottive, riesce a predire l’esordio di schizofrenia nei pazienti ad alto rischio genetico. Ecco un chiaro esempio di come i fattori di vulnerabilità e stress possano agire in concomitanza verso lo sviluppo della malattia, in questo caso quella psicotica.
Il ruolo dell’ Emotività Espressa nel suo senso contrario, ovvero nel senso protettivo, è stato verificato in adolescenti a “imminente rischio” di psicosi (O’Brien et al., 2006). Gli autori hanno infatti evidenziato un evidente miglioramento dei sintomi e del funzionamento sociale nei figli di genitori precedentemente valutati ad alto calore affettivo e con uno stile comunicativo rappresentato da alti livelli di commenti positivi.
Gli studi sopra menzionati, insieme a molti altri compiuti tra il 1966 e il 2007, sono stati oggetto di ricerca di una recente review (Lim, Chong & Keefe, 2009). Gli autori di questo lavoro, oltre a confermare la predittività sulle recidive, definiscono, per la prima volta, l’ Emotività Espressa come trigger, mettendo in luce la possibilità che possa innescare l’esordio psicotico.
Emotività Espressa ed esordio delle psicosi: lo studio dell’Unità di Ricerca Life Events
Lo studio che andrò a descrivere, riporta i risultati inerenti il concetto di Emotività Espressa nell’esordio delle Psicosi. Questo studio, riguarda una parte del lavoro svolto dall’Unità di Ricerca Life Events, coordinata dal Professor Carlo Faravelli, all’interno del progetto PIANO, che rappresenta solo uno dei filoni di ricerca rappresentato nel Programma Strategico a rilevanza nazionale GET-UP (Genetics Endophenotypes and Treatment: Understanding early Psychosis).
L’obiettivo dello studio era rappresentato dalla verifica del ruolo dell’ Emotività Espressa come predittore delle Psicosi. Per quanto concerne i partecipanti, sono stati analizzati 348 soggetti all’esordio psicotico e 200 soggetti di controllo corrispondenti per età e per sesso (vedi tabella 1 e 2). Lo strumento utilizzato è stato il questionario autosomministrato Level of Expressed Emotion Scale (LEE) (Cole & Kazarian, 1988; validazione italiana (Di Paola, Faravelli & Ricca, 2008).
Ebbene, analizzando i dati derivanti dai questionari e utilizzando come cut-off il valore della Mediana del campione di controllo, si rivela che 337 pazienti su 348 (pari al 96.8%) vivono in un ambiente ad Alta Emotività Espressa, indicando che il livello totale di Emotività Espressa nelle relazioni fondamentali dei soggetti psicotici è notevolmente più alto rispetto a quanto evidenziato nei soggetti di controllo (vedi Figura 1), con una differenza statisticamente significativa (vedi Tabella 3). Quest’andamento è inoltre mantenuto per ogni singola sottoscala (scale critiche) esaminata dalla LEE.
Risulta importante compiere qualche precisazione in merito allo strumento utilizzato. Si potrebbe infatti criticare l’utilizzo di un questionario autosomministrato da parte di soggetti psicotici, considerando la possibilità di una divergenza tra l’ Emotività Espressa espressa dai familiari e la percezione di tale “clima familiare” da parte dei pazienti. Anzitutto è bene evidenziare che i familiari sono in grado di valutare il proprio comportamento negativo nei confronti del paziente; infatti la valutazione su se stessi, è sovrapponibile con il livello di Emotività Espressa misurato su di loro tramite altre misurazioni (Friedman e Goldstein, 1993, 1994). Ma i pazienti, come percepiscono i comportamenti dei loro familiari? Dopotutto quando parliamo di pazienti psicotici, dobbiamo necessariamente prendere in considerazione una distorsione dell’esame di realtà. Ebbene, è stato dimostrato invece che la percezione dei pazienti sui comportamenti espressi dalla famiglia, mostra più analogie che discordanze rispetto a quanto manifestato dai familiari. I pazienti, infatti, distinguono molto bene i familiari ad alta Emotività Espressa critica rispetto a quelli a bassa Emotività Espressa, mostrando qualche difficoltà solo nel riconoscimento della sottodimensione Ipercoinvolgimento (Goldstein, 1995; Cutting, Aakre & Docherty, 2006; Onwumere et al., 2009).
Per quanto riguarda il tempo di contatto tra soggetti analizzati e familiari, sono state seguite le raccomandazioni effettuate dagli autori che maggiormente si sono occupati di questo costrutto. In particolare è stato verificato che in entrambi i sottogruppi fosse garantito un tempo minimo di contatto di 35 ore alla settimana, soglia al di sotto della quale gli effetti di un’alta Emotività Espressa potrebbero dimostrarsi non significativi (vedi Tabella 4).
Concludendo, alla luce di quanto finora detto, i risultati di questo lavoro indicano che l’elevata Emotività Espressa familiare possa essere precedente l’esordio psicotico e quindi può essere considerata a pieno titolo uno fra i fattori di rischio del disturbo. Ovviamente per comprenderne l’azione dovremmo abbandonare il pensiero di una causalità lineare e utilizzare un’ottica più ampia, quella circolare, considerando gli atteggiamenti dei familiari e i comportamenti dei pazienti come uniti fra loro da meccanismi di feedback, tali da innescare un circolo vizioso nel quale un’alta Emotività Espressa si esplicherebbe sotto forma di maggiori richieste e pressioni da parte dei familiari che provocherebbero comportamenti più disturbati dei pazienti, i quali condurrebbero a ulteriori critiche e così via.
Questo studio mostra come sia auspicabile l’implementazione di interventi precoci, che possano aiutare le famiglie e i pazienti a interrompere questo circolo vizioso per trasformarlo, al contrario, in uno virtuoso. Quest’obiettivo può essere raggiunto tramite l’attivazione di interventi di Psicoeducazione mediante i quali insegnare ai familiari a ridurre gli eccessi di richieste e critiche verso i loro congiunti. Questi ultimi, liberi da un eccesso di pressioni, potranno verosimilmente mettere in atto comportamenti meno in grado di innescare risposte emotive eccessive.