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Bello da impazzire: la Sindrome di Stendhal

La sindrome di Stendhal consiste in una sorta di malessere diffuso che si esperisce al cospetto di opere d'arte particolarmente evocative. 

Di Ursula Valmori

Pubblicato il 03 Nov. 2016

Di fronte alla bellezza si può impazzire? Pare proprio di sì ed i più gettonati nel provocare gli svenimenti sembrano essere i due Michelangelo, il Buonarroti (1475-1564) ed il Caravaggio (1571-1610). Di fronte ad opere d’arte cariche di significati simbolici, ambivalenti, sensuali e perturbanti, che possono andare a toccare aspetti dell’inconscio inesplorati o rimossi, infatti, possiamo vivere un’esperienza che provoca sofferenza psichica e che è conosciuta con il nome di Sindrome di Stendhal (o Sindrome di Firenze).

 

L’esperienza di Stendhal a Firenze

Il nome di tale sindrome si deve allo scrittore francese Stendhal (1783-1842) che, durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, fu colto da una crisi che lo costrinse ad uscire dalla chiesa per potersi risollevare dalla reazione vertiginosa che quel luogo d’arte scatenò nel suo animo.

Nel suo libro “Roma, Napoli e Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio”, Stendhal scrive: [blockquote style=”1″]Ero già in una sorta di estasi, per l’idea di essere a Firenze, e la vicinanza dei grandi uomini di cui avevo visto le tombe. Ero arrivato a quel punto di emozione dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle belle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, avevo una pulsazione di cuore, quelli che a Berlino chiamano nervi: la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere… Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me era inaridita, camminavo temendo di cadere.[/blockquote]

 

Che cos’è la Sindrome di Stendhal

Stendhal visse un’esperienza di estasi incredibile, sperimentò in prima persona gli effetti di una patologia psicosomatica che insorge al cospetto di opere d’arte particolarmente evocative. Essa si manifesta come una sensazione di malessere diffuso, con stato confusionale, nausea, vomito, difficoltà respiratorie, allucinazioni, sensazione di svenimento e perdita di coscienza.

Colpisce persone esperte o inesperte d’arte che si trovano in una situazione emotiva molto coinvolgente. L’impatto emotivo con un’opera d’arte, infatti, è determinato da molteplici fattori, alcuni dei quali di tipo esterno, culturali, intellettuali, ascrivibili alla nostra formazione estetica ed ideologica ed altri più direttamente collegati ai nostri vissuti individuali, in particolare alle prime esperienze emozionali della nostra infanzia, che costituiscono il modello concettuale primario dell’esperienza estetica.

La fruizione estetica, da un punto di vista psicologico, è caratterizzata soprattutto da meccanismi di identificazione: identificazione con l’artista (il fruitore, cioè, assume il punto di vista dell’artista e vive di riflesso l’emozione della creazione) e/o identificazione con l’opera (o con il personaggio che l’opera rappresenta).

Da un punto di vista psicoanalitico, a partire dallo stesso Freud che, sull’Acropoli di Atene, sperimentò uno “smarrimento cognitivo”, l’opera d’arte è un importante mezzo di comunicazione di contenuti inconsci: attraverso dipinti e sculture, infatti, si trasmettono i propri conflitti interiori, i propri traumi, le emozioni, gli istinti sessuali e gli impulsi repressi. Psicoanaliticamente parlando, nel fruitore affetto da Sindrome di Stendhal emerge un attaccamento morboso alla bellezza inestimabile di un’opera d’arte ed un intenso desiderio di appropriarsi di quella grazia indescrivibile.

Chi inizia a soffrire della Sindrome di Stendhal, infatti, non gode della bellezza estetica del capolavoro artistico, ma trova trasformati, nell’opera d’arte sotto forma di linguaggio artistico, impulsi, emozioni e conflitti profondi che, se non tollerati ed adeguatamente gestiti, possono provocare, a seconda dei casi, angoscia oppure euforia. Alcune peculiarità di un capolavoro artistico, in un determinato soggetto, in un determinato momento, possono, cioè, acquistare un elevato significato emotivo.

Se si accetta questa prospettiva, si può affermare che la reazione di un soggetto di fronte ad un’opera d’arte dipenda in gran parte dalla disposizione emozionale e dal rapporto che si instaura tra fruitore e creatore nel momento dell’incontro. Infatti, nel momento dell’incontro [blockquote style=”1″]si animano vicende profonde della realtà psichica e si riattiva la vitalità della sfera simbolica personale. E il viaggio diventa pure, nelle sue soste tanto attese nelle città sognate, un’occasione di conoscenza di sé.[/blockquote] (Magherini, 2003).

Un concetto, questo del “viaggio sentimentale”, già proposto nel Settecento da Laurence Sterne (1713-1768), che può essere considerato, a pieno titolo, un precursore della moderna psicologia. Lo scrittore britannico, infatti, diede all’aggettivo “sentimental” una connotazione psicologica, per cui i sentimenti divennero moti dell’animo e manifestazioni della sensibilità ed il viaggio metafora di un movimento esistenziale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ferrari S. Note per una psicologia della ricezione, in Psicoart n. 2 2011-12
  • Magherini G. (2003). La sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte. Casa Editrice Ponte alle Grazie. Milano
  • Freud S. (1919). Il Perturbante, in Opere 1917-1923, vol. 9: L’Io, l’Ed e altri scritti. Boringhieri. Torino. 1977
  • Sterne L. (1768). A Sentimental Journey through France and Italy. Penguin Classics. London. 2001.
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