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Il ragazzo dai capelli rosa di Davide Viola: sintesi del libro e intervista all’autore

Il ragazzo dai capelli rosa di Davide Viola tratta l'argomento dell'omofobia e come si possa intervenire nel contesto scolastico per prevenirla.

Di Andrea Perdichizzi

Pubblicato il 25 Nov. 2016

Nel testo viene riportata prima una sintesi del libro “Il ragazzo da capelli rosa” di Davide Viola e poi l’intervista rivolta all’autore stesso del libro. 

Davide Viola: chi è

Davide Viola è Psicologo, Psicoterapeuta, Istruttore di Mindfulness (protocolli MBSR e MBCT). Svolge attività clinica e di formazione in psicoterapia, psicologia scolastica e neuropsicologia dello sviluppo. È docente di Filosofia e Scienze Umane. È autore di diverse pubblicazioni, tra cui: “Progetti di Psicologia. Scuola, professione, esame di Stato” (Edizioni Psiconline, 2010); “Alla ricerca delle emozioni. Aiutare i bambini a vivere bene felicità, tristezza, rabbia e paura” (Edizioni Psiconline, 2012). Ha in corso di pubblicazione “Come un fiore di loto. Affrontare le avversità della vita con la mindfulness e la bioenergetica” (Rapsodia Edizioni, 2016).

Sintesi del libro

Il primo capitolo di questo libro è stato scritto da Angelo Collevecchio, che fa il punto della situazione rispetto alle teorie sull’omosessualità, passando dalla psicoanalisi, alle teorie sociali, fino alla biologia e alla religione. Successivamente l’autore offrirà una definizione esaustiva del concetto di omofobia (Weinberg, 1972) e soprattutto di omofobia interiorizzata (Meyer, 1995).

Nel secondo capitolo, scritto da Giovanni Mannara, invece ci avviciniamo alla dimensione più psicoeducativa di questo libro, che successivamente verrà approfondita da Davide Viola nel terzo capitolo. Il titolo del secondo capitolo è “Sulle solitudini infuocate di sole – Il ruolo docente nella formazione di coscienze attive tra omofobia e bullismo omofobico nella scuola italiana”. È qui che si comincia a parlare di educare alle differenze e viene ripercorsa la storia giudiziaria dell’omofobia in Italia.

Il terzo capitolo è quello su cui ci concentreremo maggiormente in questa intervista, mentre nel quarto e ultimo capitolo troviamo la storia di Teo, il ragazzo dai capelli rosa. Da questo momento in poi seguiranno una serie di interessantissime esercitazioni sotto forma di schede e colloqui gruppali che da una parte cercano di indagare le credenze o gli stereotipi e pregiudizi eventualmente messi in atto dai componenti della classe, dall’altro invece stimolano il confronto, il dialogo e la partecipazione attiva sulle tematiche omosessualità e omofobia.

Intervista a Davide Viola

Cosa significa educare alle differenze in ambito scolastico e perché è necessario farlo?

Viviamo in un contesto culturale e sociale definito dalla convivenza, spesso conflittuale, di differenze: dalle sessuali alle linguistiche, dalle religiose a quelle legate strettamente ai valori. La scuola deve diventare il luogo di tutti, con il rispetto delle differenze di ognuno. È necessario educare alle differenze in ambito scolastico perché occorre nutrire e formare le nuove generazioni di futuri adulti che siano in grado di valorizzare le differenze come risorsa personale e sociale; in altre parole educare alle differenze significa creare un antidoto speciale contro le chiusure pregiudiziali e atteggiamenti fobici e intolleranti.

Trovo di importanza fondamentale un concetto che viene ripreso nel quarto paragrafo del terzo capitolo, quello di resilienza. Potrebbe aiutarci a capire in che modo la resilienza di un individuo possa costituire un fattore di protezione dall’omofobia?

La resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva, costruttiva e assertiva agli eventi traumatici. Essere resilienti significa saper riorganizzare la propria esistenza dinanzi alle avversità della vita, senza alienare la propria identità. Alla base della resilienza ci sono tre fattori: il senso di sicurezza interno, la stima di sé e la sensazione di operare in modo efficace. Quindi, occorre educare alla resilienza: come proteggiamo i bambini contro le malattie fisiche, così li dovremmo immunizzare dalle sfide che affronteranno nella vita. Questa educazione, ancora una volta, può essere sviluppata a scuola che dovrebbe essere già pronta ad affrontare questa sfida allontanando così i molti propositi di suicidio in giovani omosessuali. Lo stress legato all’appartenenza di una minoranza sessuale può offrire l’opportunità di trasformare esperienze negative in comportamenti di resilienza e di funzionamento psicologico adattivo.

Che cosa differenzia il bullismo omofobico dalle altre forme di bullismo?

“Bullismo”, che deriva dal vocabolo inglese bullying, usato generalmente per indicare il fenomeno di prepotenza tra pari è stato adottato da Olweus nelle sue ricerche, già alla fine degli anni ’70, per indicare [blockquote style=”1″]aggressioni verbali, fisiche o relazionali ripetute secondo schemi specifici tra i banchi di scuola.[/blockquote]

Nel 1972 Weinberg introduce, per la prima volta, il termine “omofobia” per indicare “reazioni affettive ed emotive di ansietà, disgusto, avversione, rabbia, paura” che si prova nei confronti di tutto ciò abbia legame con il mondo dell’omosessualità. Il bullismo omofobico riguarda tutti quegli atti di prepotenza rivolti a persone omosessuali o che si pensa lo siano. Tali atti di prepotenza, molto frequentemente, assumono la forma di una violenza spietata e inaudita. Obiettivo della violenza omofobica è tentare di rendere “oggetto” chi è percepito più debole, si tratta di un vero e proprio tentativo di de-umanizzazione. A differenza di altre forme di bullismo in cui i ragazzi vittime di discriminazioni di altro tipo (come ad esempio il colore della pelle o differenze socio-culturali e linguistiche) possono tornare a casa e trovare genitori con le stesse caratteristiche per le quali loro stessi vengono ostracizzati e discriminati – consentendo loro di riconoscersi quindi sempre in qualcuno – gli adolescenti omosessuali non possono tornare a casa e raccontare con facilità le violenze subìte, perchè molto frequentemente tengono il loro orientamento sessuale nascosto o una volta fatto coming out non sentono nei genitori una comprensione e accettazione incondizionata. Questa credo sia una delle differenze più importanti tra il bullismo omofobico e altre forme di bullismo.

Spesso i docenti affermano di non sapere come comportarsi di fronte agli atteggiamenti che richiamano all’identità sessuale degli studenti. Secondo Lei da dove nasce questa difficoltà e quale ruolo possono avere i docenti nella prevenzione del bullismo omofobico?

Ogni difficoltà nasce da una mancata consapevolezza. Molto spesso gli insegnanti non hanno gli strumenti per affrontare le problematicità riguardanti il bullismo omofobico e altrettanto frequentemente hanno loro stessi un’omofobia interiorizzata più o meno latente. Caratteristica fondamentale per l’efficacia dei programmi di prevenzione del bullismo omofobico a scuola è proprio il coinvolgimento degli insegnanti: agli interventi degli operatori dovrebbero essere affiancate specifiche attività proposte alla classe dagli insegnanti, con l’obiettivo di garantire coerenza e continuità. L’insegnante di letteratura può parlare di omosessualità a scuola discutendo le opere di diversi autori, come ad esempio William Shakespeare e i suoi Sonetti, nei quali viene descritto un amore omosessuale, Federico Garcia Lorca e i suoi Sonetti dell’amore oscuro ispirati e dedicati a un uomo, Luis Cernuda, grande poeta dell’amore omosessuale, Oscar Wilde e il suo De Profundis, lunga lettera d’amore dedicata a un ragazzo, Virginia Woolf e il suo Al Faro, lunga lettera d’amore alla sua Vita Sackville West. L’insegnante di storia può parlare di omosessualità raccontando delle relazioni di Riccardo Cuor di Leone, Alessandro Magno o l’imperatore romano Publio Elio Adriano con il suo favorito Antinoo di Bitinia, parlando della bisessualità nel mondo antico, i massacri che i nazisti eseguirono sulle minoranze sociali, lo sterminio degli omosessuali durante l’Olocausto, la lotta per i diritti degli omosessuali tra i movimenti sociali del XX secolo. Il programma di Diritto, Geografia Economica e Scienze Umane ben si presta ad affrontare le tematiche dell’omosessualità e dei diritti umani nel mondo. Pertanto, gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale nella prevenzione del bullismo omofobico e hanno l’obbligo morale – qualora dovessero essi stessi manifestare atteggiamenti omofobi – di risolvere le loro questioni personali.

La scuola, come la famiglia, dovrebbe educare all’uguaglianza e al rispetto. Cosa consiglia ai genitori che vedono i propri figli vittime di questo tipo di discriminazione a scuola?

Il genitore deve stimolare il proprio figlio vittima di discriminazioni a scuola a parlare liberamente dei suoi sentimenti più personali e incoraggiarne il coinvolgimento sociale (un ragazzo vittima di violenza diminuisce gradualmente i suoi contatti interpersonali), deve impiegare un approccio graduale attraverso il quale far affrontare attivamente al ragazzo le situazioni temute e chiedere al figlio di riferire qualunque episodio di violenza che lo vede protagonista (la vittima può incontrare particolari difficoltà a chiedere aiuto agli adulti in quanto teme di richiamare l’attenzione sulla propria sessualità, con i relativi vissuti di ansia e vergogna, e il timore di deludere le aspettative dei genitori). In alcuni casi sarà necessario denunciare l’accaduto, oltre che alla scuola, alle forze dell’ordine.

Dalla legge 285 del 1997 a livello di progettazione regionale, provinciale e comunale si richiama il coinvolgimento degli psicologi rispetto alla prevenzione. A proposito delle schede e delle esercitazioni di gruppo, in che modo uno psicologo o una psicologa possono utilizzare questo libro?

Le numerose esercitazioni presenti nel libro possono essere un prezioso strumento per lo psicologo che opera all’interno delle istituzioni educative, la scuola in primis. Attraverso le schede proposte si può stimolare una discussione di gruppo e in gruppo sull’omosessualità al fine di prevenire e attaccare l’omofobia. Fondamentale è dedicare uno spazio per favorire il dibattito: sfruttando la coesione sociale tra i membri del gruppo si può facilmente promuovere il cambiamento attraverso l’ascolto dei coetanei.

A pag. 57 afferma che “nei casi di comportamento aggressivo possono essere particolarmente utili il peer mentoring e la peer mediation. Potrebbe gentilmente spiegare la differenza fra questi due approcci?

In riferimento al bullismo omofobico, nel peer mentoring una persona che è stata vittima di bullismo omofobico aiuta un’attuale vittima a superare l’evento traumatico; nella peer mediation uno studente appositamente addestrato aiuta i suoi compagni a trovare le soluzioni per risolvere i problemi riguardanti gli atti di bullismo.

Ha qualche consiglio per i professionisti e colleghi psicologi che vogliono impegnarsi nella lotta all’omofobia con la formazione nelle scuole? Quali sono le prospettive? C’è veramente possibilità di lavorare nelle scuole presentando un progetto specifico sull’omofobia?

La prevenzione scolastica dell’omofobia è una delle sfide più urgenti che la scuola si trova ad affrontare. Lo sanno bene i dirigenti scolastici e gli insegnanti. Dunque le possibilità di lavorare nelle scuole presentando un progetto specifico sull’omofobia sono molte. Pertanto, invito i miei colleghi a impegnarsi nella lotta all’omofobia e a dedicare il proprio tempo alla prevenzione psicoeducativa, presentando progetti di laboratori formativi che affrontino importanti questioni in ambito educativo: stereotipi di genere e identità, violenza tra pari, maschilità e omofobia, intersezioni tra identità di genere, sessualità e provenienza culturale, intolleranza e paura della diversità.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Viola. D. (2012). Il ragazzo dai capelli rosa. Esercitazioni per la prevenzione dell’omofobia e del bullismo omofobico. Ferrari Sinibaldi Editore.
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