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Francesco Borromini: l’architetto inquieto e la rivalità con il Bernini

Borromini è stato un architetto che ha vissuto una competizione e rivalità molto forte con il Bernini, tanto da indurlo probabilmente al suicidio.

Di Ursula Valmori

Pubblicato il 08 Nov. 2016

Borromini: La diversità di carattere, di temperamento e di concezione artistica, insieme alla competizione professionale con il Bernini determinarono, tra i due architetti, una rottura che, ben presto, si trasformò in aperta rivalità.

La biografia

Francesco Borromini, nato Francesco Castelli (1599- 1667) era, secondo il suo biografo Filippo Baldinucci, “uomo di grande e bello aspetto, di grosse e robuste membra, di forte animo e d’alti e nobili concetti”.

Di origini ticinesi, il Borromini giunse a Roma intorno al 1614 per lavorare come scalpellino nel cantiere di San Pietro, alle dipendenze di suo zio, Carlo Maderno. Alla morte di quest’ultimo, il Borromini dovette rendere conto, in cantiere, a quello che sarebbe in seguito diventato il suo più acerrimo nemico, ovvero Gian Lorenzo Bernini che, dal 1629, assunse la carica di architetto della Fabbrica di San Pietro. Da Papa Urbano VIII (1623-44) il Bernini ricevette la commissione che consacrò ufficialmente il suo successo: l’erezione del baldacchino bronzeo per l’altare della confessione, realizzato con la collaborazione del Borromini, tra il 1624 ed il 1633.

Il difficile rapporto tra Borromini e Bernini

Lavorando insieme al baldacchino di San Pietro, l’incompatibilità di carattere dei due architetti ed il loro odio reciproco arrivarono ad un punto di non ritorno e, nel 1633, ci fu la rottura definitiva: da quel momento ognuno per la sua strada, tra denigrazioni reciproche, ripicche e cattiverie di dubbio gusto. La storia dell’arte è piena di diatribe tra artisti, celeberrima è quella che vide contrapposti, nel Rinascimento, Michelangelo, Leonardo e Raffaello, ma altrettanto celebre è il rapporto teso e burrascoso tra i due architetti del barocco romano.

La diversità di carattere, di temperamento e di concezione artistica, insieme alla competizione professionale determinarono, tra i due architetti, una rottura che, ben presto, si trasformò in aperta rivalità. Bernini era ricco, famoso, potente, ben introdotto nell’ambiente culturale romano, estroverso, mentre il Borromini era giovane, di umili origini, con un carattere introverso, scontroso ed umbratile. Secondo alcuni storici dell’arte il Bernini, accortosi del grande talento del suo aiutante, ne temeva la concorrenza e l’ascesa. Da qui sarebbero nati i continui tentativi di ostacolarne la carriera e di sfruttarne, in cambio di pochi danari, le eccezionali capacità tecnico-artistiche.

Il Bernini, magniloquente e molto sicuro di sé, era l’esatto opposto del Borromini, un uomo solitario e dal carattere scontroso, carattere che probabilmente influì nelle vicende personali ed artistiche della sua vita: a differenza del Bernini, il Borromini, infatti, non riuscì mai ad instaurare rapporti e relazioni con committenti prestigiosi e potenti; il suicidio, che ne concluse la carriera nel 1667, sancì drammaticamente il progressivo isolamento a cui il prevalere del “partito” berniniano finì per condannarlo negli ultimi anni.

Bernini e Borromini furono sempre in competizione o, per meglio dire, furono rivali per tutta la vita: la competizione, infatti, rappresenta una condizione in cui il raggiungimento di un determinato obiettivo da parte di una persona si associa inevitabilmente al fallimento dell’altra. La rivalità, invece, implica un coinvolgimento psicologico ulteriore. E alla rivalità si associa il sentimento di invidia (dal latino invidere, cioè guardare contro, guardare con ostilità), che può essere definita come quello stato d’animo in cui prevalgono il desiderio di possedere qualcosa che qualcun altro ha, oppure il desiderio che l’altro perda ciò che ha o rappresenta.

L’invidia, sentimento primitivo molto comune, non viene quasi mai dichiarato per non rivelare il senso di inferiorità che nasconde ed è un sentimento che provarono anche molti dei geni dell’arte: Leonardo era conscio del fatto che il giovane Michelangelo fosse un ottimo scultore. Il suo David era uno schianto. Eppure, quando si trattò di deciderne la collocazione, il da Vinci, in commissione urbanistica, propose di collocarlo all’ombra della Loggia dei Lanzi, per rendere meno evidenti le pecche del marmo. In realtà Leonardo fu mosso dal sentimento dell’invidia. Anche il cavalier Bernini era invidioso del giovane Borromini, di cui percepiva il grande talento, ma non lo ammetteva, anzi lo temeva.

Dietro all’invidia si possono celare diversi sentimenti: senso di inferiorità, oppure odio e/o rabbia per il successo dell’altro che sembra oscurarci. Bernini fu senza dubbio invidioso dell’inquieto architetto ticinese che, più volte, sembrò oscurarlo ed il suo pensiero e la sua condotta si concentrarono sulla continua svalutazione dell’antagonista.

Il Borromini era amareggiato a causa dello strapotere del Bernini, che lo denigrava e gli sottraeva spazio. Solo Papa Innocenzo X lo preferì al cavaliere Gian Lorenzo ed il periodo del suo pontificato rappresentò per il Borromini il momento più intenso per prestigiose committenze pubbliche. Tra queste la colonnata di Palazzo Spada, una piccola galleria che fu progettata in modo da dare l’impressione, a chi guarda dal cortile, di essere molto profonda, mentre in realtà non raggiunge i nove metri di lunghezza, una sorte di “inganno diabolico” commissionato dal cardinale Bernardino Spada, intellettuale colto e raffinato, molto interessato alla ricerca sulle visioni e sugli inganni ottici.

La morte di Borromini

Quando, con l’elezione di Papa Alessandro VII (1665), l’attività di Bernini riprese il suo passo trionfale, per l’artista ticinese l’umiliazione divenne insostenibile e così, il 2 agosto 1667, all’età di sessantotto anni, si gettò (o fu gettato) sopra una spada e si ferì gravemente, ma non morì subito. Seguì una lenta agonia, durante la quale, assistito da un prete e da un medico, riuscì a raccontare l’episodio per filo e per segno e a dettare il suo testamento.

La modalità violenta e letale dell’atto non era inconsueta per quell’epoca; il ferirsi con la spada, infatti, era proprio una delle più frequenti forme per darsi la morte. Occorre tuttavia ricordare che nella storia del Borromini non sono rinvenibili comportamenti violenti anche se era un uomo scontroso, chiuso in se stesso e con grandi difficoltà a relazionarsi con gli altri, a cui, ad un certo punto, “era entrata addosso l’impazienza”. Gli ultimi anni di vita, in particolare, gli riservarono senza dubbio grandi amarezze, ma gettarsi su una spada, trafiggersi il costato e riuscire a sopravvivere per un intero giorno, sembra un’impresa davvero difficile.

Si trattò davvero di suicidio? O piuttosto fu un “suicidio guidato”? E per conto di chi? Occorre ricordare che Borromini era ricchissimo (possedeva diecimila scudi, una cifra enorme per l’epoca), aveva un nipote che voleva diseredare e tanti nemici, tra cui uno acerrimo, il Bernini appunto. Furono davvero la precaria salute fisica e mentale a portare, irrimediabilmente, il Borromini al suicido? Da Rosso Fiorentino a Van Gogh, passando per Borromini, nella storia dell’arte, così come nella storia degli scandali finanziari, i casi di morti misteriose certo non mancano, non ultima quella consumatasi quella sera del 6 marzo 2013 nella sede della banca più antica del mondo, travolta da uno scandalo finanziario senza precedenti. La vita passata alle dipendenze emotive di altri spesso non lascia soluzione: le personalità dominanti e manipolatrici esercitano violenza psicologica su personalità dipendenti e pronte al collasso: si tratta di una forma sottile e perversa di abuso di una persona sull’altra e di una delle più potenti e distruttive forme di esercizio del potere e del controllo sull’altro.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Morissey J. (2007). Bernini, Borromini e la creazione di Roma barocca. Editori Laterza. Roma/Bari.
  • Lachi C. (2003). La grande storia dell’arte. Il Seicento. Prima parte. Gruppo Editoriale L’Espresso. Roma.
  • Pittoni L. (2010). Francesco Borromini. L’architetto occulto del barocco. Pellegrini Editore. Cosenza.
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