expand_lessAPRI WIDGET

L’altra faccia dell’autostima: un costrutto troppo sopravvalutato?

L' autostima può essere molto instabile: se legata all’andamento degli eventi, rischia di divenire fluttuante ed esporre a tristezza e depressione

Di Federica Pieragostini

Pubblicato il 17 Nov. 2016

Aggiornato il 02 Ott. 2019 15:35

Investire sull’ autostima è pressoché una regola aurea, così come darne una valutazione positiva. Essa infatti appare come l’unica importante base capace di decretare la salute psichica di un individuo ed è spesso investita del ruolo di totale panacea.    

 

Per i non addetti ai lavori, l’ autostima sembra essere quasi il tema portante della psicologia, tanto che la sua assenza è nell’opinione comune quasi la causa di molte problematiche manifeste sin dalla tenera età. Investire sull’ autostima è pressoché una regola aurea, così come darne una valutazione positiva. Essa infatti appare come l’unica importante base capace di decretare la salute psichica di un individuo ed è spesso investita del ruolo di totale panacea.

 

Come potrebbe non avere tale importanza la famosissima autostima?

Il suo influsso nella tradizione psicologica è decisamente preponderante e lo si evince da una delle sue più antiche definizioni. Proprio uno dei padri fondatori della psicologia occidentale, William James, ha infatti tentato di tentare di darne una spiegazione completa, intendendola come “conseguenza della percezione di competenza in un ambito importante” (James, 1890).

Questa semplice definizione sottolinea come l’ autostima sia intrinsecamente soggettiva, dal momento che è l’esito di un’abilità in un dominio che ha un valore solo per l’individuo stesso. In linea cronologica lo sviluppo successivo di questo costrutto si deve a Charles Horton Cooley. Egli ne ha sottolineato come implicitamente sottesa l’importanza del giudizio dell’altro, un “guardarsi allo specchio”, elemento che generalmente fa sì che ciascuno di noi si confronti con uno standard prefissato (Cooley, 1902).

Già in questo breve quadro storico si nasconde una delle varie criticità insite nel concetto di autostima: essa non è la causa delle azioni, ma solo il frutto dell’azione messa in atto.

In quest’ottica si ha una percezione di autostima solo al raggiungimento di un potenziale obiettivo, non nella presenza di quest’ultimo. Proprio per questo suo aspetto negativo essa può essere molto instabile: se legata infatti all’andamento degli eventi, rischia di divenire fluttuante ed esporre nel lungo termine a una depressione di natura non clinica.

La sua natura deleteria si può riscontrare anche in altri aspetti. Essa sembra spesso nascondere il bisogno di essere superiori (a volte così forte da far considerare disdicevole la possibilità di essere pari alla media) in un gioco dicotomico di ipervalutazione di sé e svalutazione del prossimo.

Quando il forte bias di autoaccrescimento fa perdere qualsiasi orientamento oggettivo sulla realtà, si rischia di nutrire una visione irreale del proprio sé con conseguenze narcisistiche.

Se tale modalità di lettura del mondo esterno si amplia dalla dimensione individuale a quella del proprio gruppo sociale, dal momento che l’ autostima stessa presuppone un confronto, può essere persino feconda genesi per situazioni di pregiudizio per gli altri gruppi sociali fino a raggiungere addirittura condizioni estreme.

Quando infatti si crede che la propria dimensione di appartenenza non abbia avuto il rispetto che le dovrebbe essere concesso, si può sfociare in episodi di rabbia e aggressività manifesta verso gli altri (Baumeister, Smart, e Boden, 1996).

 

Autostima: un costrutto da demonizzare totalmente?

Sicuramente sopravvalutata nel tempo, l’ autostima ha connotati positivi quando può essere definita sana. Deci e Ryan (1995) a tal proposito parlano “vera autostima”, definendola “una modalità di valutazione di sé autonoma e determinata dall’individuo, che non dipende dagli eventi o dall’approvazione sociale”.

In una visione più equilibrata, tra i potenziali punti cardine alla base della salute psichica essa potrebbe comunque essere accompagnata, o addirittura sostituita, da ulteriori nuovi costrutti proposti dalla psicologia moderna che non presuppongano perciò un confronto di se stessi con il mondo esterno, sia esso fatto di soggetti potenzialmente più capaci o di standard prestabiliti da raggiungere.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • James, W. (1890). Principles of Psychology. Chicago: Encyclopedia Britannica.
  • Cooley, C. H. (1902). Human Nature and the Social Order. New York: Charles Scribner
  • Baumeister, R. F., Smart, L., & Boden, J. M. (1996). Relation of threatened egotism to violence and aggression: The dark side of high self-esteem. Psychological Review, 103, 5–33.
  • Neff, K. D. (2011). Self-Compassion, Self-Esteem, and Well-Being. Social and Personality Psychology Compass, 5, 1–12. DOWNLOAD
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Immagine: Fotolia_76001230_autostima e stile attributivo
Autostima e stile attributivo: in che modo ci autovalutiamo?

L'autostima è legata anche al processo di attribuzioni causali: i successi e gli insuccessi personali possono essere attribuiti a cause esterne o interne.

ARTICOLI CORRELATI
Affrontare la sindrome dell’impostore: come superare dubbi e incertezze

Cos’è la sindrome dell’impostore? Quali sono le sue conseguenze? Allenando la flessibilità psicologica sembra possibile superarla

Criticismo: come mettere a tacere i pensieri autocritci
Come mettere a tacere il nostro critico interiore

Anche se i pensieri autocritici ci mantengono ingannevolmente al sicuro, possono diventare una dannosa abitudine. Come affrontare la nostra autocritica?

WordPress Ads
cancel