Autostima: Le persone si muovono attraverso molteplici piani ideali, alcuni sono legati alle abitudini concrete (“ideale di andare in palestra due volte la settimana”), altri sono legati a ideali più astratti da realizzare (“diventare una persona sportiva e dinamica”). In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita.
Introduzione
Alla vigilia delle olimpiadi di Londra del 2012, il marciatore Alex Schwazer fu trovato positivo ad un controllo anti-doping e venne squalificato dalla competizione e condannato a diversi mesi di sospensione dalle gare.
Diverso tempo dopo il marciatore dichiarerà di aver passato un periodo di forte stress emotivo dopo l’oro vinto ai giochi olimpici del 2008, stress che lo avrebbe portato a fare uso di sostanze per non tradire le aspettative e per tenere sempre lo stesso livello di agonismo.
Cosa spinge una persona, (in questo caso un atleta), a ricorrere a mezzi illeciti rischiando la propria carriera, per superare limiti sempre più ambiziosi? Perché nonostante i traguardi raggiunti a volte le persone si spingono oltre e non sono mai soddisfatte delle proprie caratteristiche?
L’autostima
In letteratura psicologica per autostima si intende la valutazione, positiva o negativa, che l’individuo da di se stesso. In generale si distingue fra aspetti conoscitivi del sé, il concetto di sé ovvero cosa “sappiamo” di noi stessi, e aspetti valutativi, ovvero l’ autostima, intendendo con questo concetto cosa “proviamo” nei confronti di noi stessi.
Non tutti sono d’accordo con la distinzione tra aspetti valutativi e conoscitivi del sé, ma alcuni autori pensano che tale demarcazione non abbia alcun valore pratico (Shavelson, Hubner, Stanton, 1976).
Al di là degli aspetti legati alla sua definizione, l’autostima è risultata potentemente legata al benessere individuale, all’identità e all’adattamento della persona nei vari contesti di vita (Meleddu, Scalas, 2003).
L’ autostima non è solo legata a delle qualità che il soggetto percepisce di possedere attualmente, ma è costruita attraverso gli ideali e le aspirazioni a cui la persona tende.
Gli esseri umani adulti non si muovono solo sul piano del reale, ma ragionano anche su ipotesi, costruendo mentalmente cosa vorrebbero diventare, come vorrebbero essere o apparire.
La definizione di autostima di William James
Questo tipo di cognizioni fanno parte dei domini del sé ideali e sono stati studiati da un filone di ricerche che si rifà alle teorizzazioni di William James (1890). Lo psicologo americano scrisse di un pugile che si vergognava e non era soddisfatto per essere “solo” il secondo pugile al mondo. Questo esempio è emblematico della caratteristica dell’ autostima come istanza costruttiva, ovvero del suo dipendere dalle cognizioni e dagli schemi dell’individuo. La psicologia cognitiva ha descritto le cornici attraverso cui l’individuo dà senso a se stesso e agli eventi.
L’autostima secondo i modelli di psicologia cognitiva
In generale i modelli di psicologia cognitiva che risentono dell’influenza della cibernetica presentano il sé come un sistema che si autoregola. Carver e Scheier (1990) si sono concentrati sul modo in cui l’individuo regola le proprie azioni, cercando di minimizzare la distanza tra il suo stato attuale e il suo stato ideale. In pratica l’assunto centrale della teoria è che la gente si muove attraverso mete e monitora il proprio percorso verso di esse, confrontando continuamente la percezione del proprio comportamento rispetto agli standard di riferimento. Quando l’individuo percepisce una discrepanza tra il proprio stato attuale e la meta cerca delle strategie comportamentali per ridurre tale discrepanza.
Le persone si muovono attraverso molteplici piani ideali, alcuni sono legati alle abitudini concrete (“ideale di andare in palestra due volte la settimana”), altri sono legati a ideali più astratti da realizzare (“diventare una persona sportiva e dinamica”). In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita. Esistono però due tipi di ideali studiati: gli ideali propriamente intesi, ovvero esperienze, concetti e standard di riferimento a cui tendere e a cui riferirsi, e gli ideali negativi (sé temuti) ovvero situazioni, persone (reali o simboliche), mete e circostanze da cui le persone cercano di distanziarsi e di tenere lontane perché giudicano negativamente.
In generale il senso comune e la letteratura ipotizzano un ruolo negativo degli ideali sull’ autostima, specie se essi sono troppo ambiziosi e irraggiungibili (Marsh, 1993).
In generale si può dire che nonostante il chiaro valore che l’autoregolazione verso le mete ha per la società, poiché spinge l’individuo a migliorarsi e a tendere verso nuovi obiettivi, la rincorsa verso gli ideali ha dei costi individuali in termini di risorse mentali e senso del proprio valore.
A volte la psicologia del senso comune e la traduzione delle intuizioni in risultati misurabili non vanno proprio di pari passo; l’operazionalizzazione delle discrepanze e la misurazione dell’impatto degli ideali sull’ autostima non è stato facile.
Misurare la discrepanza con gli ideali e il loro impatto sull’ autostima si è rivelata un’operazione dotata di diversi problemi metodologici, nonostante il valore euristico che tale impostazione ha (come abbiamo visto nell’esempio del doping e in vari casi di cronaca). Recentemente, un approccio basato su equazioni strutturali con variabili empiricamente pesate (Scalas, Marsh, 2008) è sembrato risolvere i problemi.
Possiamo dire che sicuramente gli ideali hanno un valore psicologicamente pregnante sul sé della persona, ma che questo aspetto sia complicato da numerose variabili come per esempio l’educazione (stili di autoregolazione appresi), l’affettività generale dell’individuo e i suoi valori personali.