Nella terapia psicodinamica dei disturbi alimentari vengono analizzate le esperienze dolorose dell’infanzia e il terapeuta aiuta il paziente a interpretare le sue emozioni.
MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: La terapia psicodinamica dei disturbi alimentari (Nr. 26)
La terapia psicodinamica dei disturbi alimentari
Un problema che emerge quando si trattano pazienti che soffrono di disturbi alimentari è la tendenza ad essere molto influenzati dall’ambiente circostante a discapito di ciò che questi pazienti sentono. Essi tendono a fare ciò che il terapeuta desidera, possono persino accettare interpretazioni che non corrispondono veramente alla loro esperienza. C’è quindi il rischio che il paziente accolga le spiegazioni del terapeuta e che non entri in contatto con i suoi veri desideri, a causa di esperienze negative durante l’infanzia che non gli hanno permesso di sviluppare un contatto reale con la propria interiorità.
Il modello e la terapia dell’anoressia
L’anoressica, come accennato, è afflitta da un insieme di oggetti maternali introiettati, nel tentativo di separazione dalla madre (Masterson, 1976). Per arrestare questa fase di simbiosi e individuazione-separazione, le quali corrispondono alle parti negative del suo ego, l’obiettivo terapeutico è quello di integrare le rappresentazioni distorte di se stessa e dell’oggetto materno.
La terapia per questo disturbo consiste nello sviluppare un’alleanza terapeutica concentrandosi sulle cause delle fissazioni, dell’atipico sviluppo delle funzioni dell’ego, e delle proprie rappresentazioni. Le strategie per sviluppare l’alleanza e superare le barriere si basano sul confronto e sull’interpretazione.
La terapia della bulimia
La terapia per la bulimia consiste nel comunicare i propri desideri, bisogni e affetti in una forma simbolica, poiché il corpo della bulimica è il veicolo di divulgazione del proprio malessere, dei sintomi della malattia e dei conflitti irrisolti. Il proprio corpo non è integrato con la propria mente. La regolazione degli affetti è un meccanismo di difesa nei confronti della rappresentazione materna, non è integrata con la rappresentazione di se stessi.
Nel processo terapeutico occorre rendere i soggetti consapevoli dei propri impulsi, bisogni e sentimenti, cercando di porre riparo al senso di incapacità, alle distorsioni concettuali, all’isolamento e all’insoddisfazione che sottendono questi disturbi (Selvini Palazzoli, 1981).
L’approccio psicoanalitico di Bruch
Per Bruch (1989) la psicoanalisi tradizionale, con la sua enfasi sull’interpretazione dei processi inconsci, risulta piuttosto inefficace. Impiegando un approccio psicoanalitico meno ortodosso, che comprendeva un’attiva partecipazione da parte della paziente nella ricostruzione del suo passato, si ottenevano risultati decisamente migliori. Perché le pazienti sentivano di essere ascoltate per la prima volta nella loro vita, invece di dover subire un’interpretazione dei propri sentimenti e intenzioni. Una particolarità dei genitori delle anoressiche sembra, infatti, essere l’imposizione di decisioni e convinzioni, con scarsa attenzione verso le espressioni di bisogno e desiderio della bambina: sarebbe questa mancanza di conferme nelle prime interazioni madre-figlia a portare alle tipiche deficienze nel senso del Sé, di identità e di autonomia, oltre a una mancanza di coscienza del proprio corpo. Nella terapia dell’anoressia mentale si è riconosciuto, quindi, che l’interpretazione del contenuto è meno importante della ricostruzione dei modelli interazionali di sviluppo e della correzione delle idee sbagliate dell’infanzia.