expand_lessAPRI WIDGET

Mommy (2014): una relazione madre-figlio che ci porta sulle montagne russe emotive

Mommy (2014) parla della relazione burrascosa tra un adolescente e sua madre, che proverà a ricostruire il rapporto e una certa normalità familiare 

Di Elena Lo Sterzo

Pubblicato il 19 Set. 2016

Mommy (2014) ruota attorno alla relazione burrascosa e morbosa tra la mamma Die e il figlio quattordicenne problematico Steve. In apertura, vediamo Die che va a riprendere il figlio dall’istituto in cui ha passato gli ultimi anni della sua vita, per portarlo a casa con sé e provare a ricostruire il rapporto e ricostituire una qualche forma di normalità familiare.

 

A poche settimane dalla visione di La pazza gioia di Virzì, ho avuto l’occasione di vedere il pluripremiato Mommy (2014) del regista franco-canadese Xavier Dolan. Dalle atmosfere scanzonate e rocambolesche di Virzì, che ci racconta le peripezie alla Thelma e Louise di due donne in fuga da una comunità in una Toscana assolata, al grigio di un sobborgo di una città del Canada francese, in cui una mamma tra i quaranta e i cinquant’anni, vedova, fatica ad arrivare fine mese e ha la cantina piena di cianfrusaglie e ricordi di una vita precedente, che è restia a sistemare poiché ciò significherebbe probabilmente aprire il vaso di Pandora di emozioni ritenute ingestibili e troppo dolorose.

 

Mommy: trama del film

E’ un Canada realistico ma non reale: la frase in apertura del film Mommy ci proietta in un tutt’altro che futuristico 2015 in cui è da poco entrata in vigore una controversa legge che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico, saltando la procedura legale.

Mommy ruota attorno alla relazione burrascosa e morbosa tra la mamma Die e il figlio quattordicenne problematico Steve. In apertura, vediamo Die che va a riprendere il figlio dall’istituto in cui ha passato gli ultimi anni della sua vita, per portarlo a casa con sé e provare a ricostruire il rapporto e ricostituire una qualche forma di normalità familiare. Fin da subito capiamo che il mantenimento dell’equilibrio sarà un’impresa assai ardua: mentre Die lo va a prendere, Steve ha appena dato fuoco al refettorio della scuola provocando ustioni gravi ad un altro ragazzo.

Emerge immediato il contrasto e l’incomunicabilità tra l’approccio cinico e disilluso della direttrice dell’istituto, che si fa forte di essere quella con i piedi per terra (‘Non basta amare qualcuno per salvarlo’) e l’ingenuità, il coinvolgimento emotivo, e la tendenza all’idealizzazione della mamma (‘Gli scettici dovranno ricredersi!‘), che dà voce al disperato bisogno di credere e sperare in qualcosa, di aggrapparsi alla relazione col figlio, quando tanti altri progetti di vita sono ormai sfumati.

L’incomunicabilità intesa come totale incapacità della direttrice di comunicare a livello verbale in maniera appropriata e di sintonizzarsi emotivamente coi bisogni e le aspettative della mamma (non le spiega ad esempio in quali momenti e con quali persone il ragazzo va più in crisi, ma lo presenta come uno dei tanti casi disperati che, se anche magari in qualche modo ‘la sfangherà’ nella vita senza diventare un delinquente e finire in galera, sarà comunque per pura casualità, e non di certo per interventi o accortezze di gestione da parte del contesto relazionale circostante).

A fronte di ciò, una volta che gli è stato trasmesso il messaggio che suo figlio è fondamentalmente ‘una mela marcia‘, Die manifesta all’opposto la speranza e la determinazione nel fatto che le cose andranno diversamente, che tutto si sistemerà, che inizieranno da zero una nuova vita insieme, che l’amore e la cura della mamma potranno rivelarsi la medicina per tutti i problemi.

 

I risvolti psicologici del film Mommy

Nelle prime scene di Mommy quindi emerge la tendenza della mamma all’idealizzazione, e, per dirla alla Libet, il suo piano immunizzante (ossia una strategia per non entrare in contatto con gli stati d’animo dolorosi attraverso il mantenimento forzato di uno stato desiderato, che annulli nel breve termine lo stato d’animo doloroso), perché intuisce che affrontare mentalmente e nella pratica quotidiana tutte le difficoltà che si presenteranno sarà molto doloroso e faticoso. Vediamo il bisogno di immunizzarsi in Die anche nella sua necessità di ricorrere all’alcool per gestire i momenti di malessere.

Facciamo poi la conoscenza di  Steve, ragazzo intelligente, arguto, sempre pronto alla battuta, esplosivo nei comportamenti e nei sentimenti e sempre sopra le linee. Dal momento in cui entra in scena il film è tutto urlato, il ritmo è incalzante, ci sentiamo costretti, claustrofobici quasi (anche grazie all’espediente del formato inusuale quadrato, più stretto di un 4:3, che costringe a prevedere una persona sola in ogni inquadratura o a strizzarne due per poterle guardare da vicino), e con il perenne fiato sospeso per il timore che stia per succedere qualcosa di grave e irrecuperabile.

Tocchiamo con mano, in Mommy, cosa si può intendere con il termine Emotività espressa, costrutto molto studiato come determinante per l’emergere ed il mantenimento dei sintomi di vari disturbi psicopatologici tra i quali la schizofrenia. L’emotività espressa è la temperatura emotiva delle relazioni familiari, implica la tendenza alla critica e all’ostilità, oppure un rifiuto della persona per quello che è, piuttosto che per quello che fa. Implica anche un ipercoinvolgimento emotivo verso il familiare: risposte emotive eccessive, drammatizzazione, iperidentificazione, autosacrificio.

I familiari ad alta Emotività Espressa sono tendenzialmente intrusivi, cercano il contatto senza tener conto delle effettive esigenze e  richieste, vogliono esercitare un controllo, si sostituiscono in tutto e per tutto, senza tenere in debito conto delle necessità relazionali del congiunto. Tendono a considerare la persona responsabile di tutte le sue azioni, anche quelle che chiaramente costituiscono sintomi, a trovare una colpa da addossare all’altro, e ad individuare in esso un capro espiatorio che elude e nasconde i propri problemi di accettazione e di ostilità. Quasi tutti questi aspetti sono presenti nella relazione tra Die e Steve, ma si intensificano soprattutto quando sorge una difficoltà che non sanno come affrontare.

Steve alterna brevi momenti di competenza apparente (qualcosa di simile a quella di cui parla Marsha Linehan relativamente al Disturbo Borderline di Personalità) in cui vuole fare il grande e si sente onnipotente facendo trasparire la presenza di un probabile accudimento invertito (dicendo alla mamma ‘mi prenderò io cura di te’), e momenti in cui ha gravi scoppi di rabbia incontrollabile, distruttivi per gli altri o per sé stesso (aggressioni alla mamma, tentativo di suicidio).

Penso che la sensazione che prova lo spettatore durante la visione di Mommy possa rispecchiare bene la condizione mentale in cui si trova una persona che si prende cura di un ragazzo con disturbi comportamentali gravi, ma probabilmente anche dello stare vicino a una persona che presenta una forte disregolazione emotiva e comportamentale: paura, senso di impotenza, vergogna, senso di colpa, tristezza.

Le ‘etichette diagnostiche’ di Steve emergono all’incirca a metà del film, nei racconti della mamma alla vicina di casa Kyle. Le problematiche di Steve vengono inquadrate come ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), Disturbo Oppositivo Provocatorio e un disturbo dell’attaccamento che la mamma non riesce a definire ulteriormente.

E’ appropriato parlare di etichette proprio perché sembra che non sia stata data a Die una spiegazione del funzionamento del ragazzo, in termini di caratteristiche predisponenti e fattori di rischio, fattori scatenanti, conseguenze e circoli viziosi comportamentali che si possono attivare. Questa scarsa conoscenza e comprensione del suo vissuto emotivo e delle sue motivazioni portano ovviamente Die ad un senso di impotenza e imprevedibilità che faranno sì che vengano confermate le aspettative pessimistiche della direttrice dell’Istituto.

La prorompenza di Steve, per quanto disfunzionale, riesce però a smuovere e far uscire dal guscio l’impacciata vicina, che, traumatizzata dalla morte del suo bambino, ha letteralmente perso le parole, acquisendo una forma di balbuzie invalidante, che le non le consente di continuare a svolgere il suo mestiere di insegnante. Con lei la diade madre-bambino intesse una delicata e autentica amicizia trascinandola nel tourbillon delle loro avventure turbolente. Steve la sblocca, in maniera molto brusca, con forme seduttive e provocatorie inappropriate, ma riuscendo a darle un nuovo significato di vita, un nuovo ruolo, una nuova importanza, che, chiusa nelle mura del suo appartamento circondata dai ricordi, non riusciva più a intravedere. Kyla dà lezioni a casa a Steve, ed entra sempre di più nella realtà quotidiana di Steve e Die, diventando loro compagna di avventure durante cene, danze, gite in bicicletta.

Pur non essendo il messaggio principale di Mommy, esso ha tuttavia anche il pregio di farci intuire come una delle scintille per riavviare il motore in momenti di umore molto negativo e in cui si entra nel loop della ruminazione, possa essere il riappropriarsi di tanti piccoli e apparentemente insignificanti ‘qui ed ora’, anche grazie a stimoli o gratificazioni di natura sensoriale ed emotiva (come la visione di un bel paesaggio o la sensazione dell’aria fresca sulla pelle durante una corsa in bicicletta).

 

GUARDA IL TRAILER ITALIANO DI MOMMY:

Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Elena Lo Sterzo
Elena Lo Sterzo

Specializzanda in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale. Specialista in Neuroscienze

Tutti gli articoli
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
La Pazza Gioia (2016), recensione in anteprima del nuovo film di Paolo Virzì
Quella pazza gioia di Virzì: splendido ritratto della follia e della disperazione

Il film La pazza gioia ha come protagoniste due donne di una comunità terapeutica, entrambe con alle spalle storie di sfruttamento e abbandono - Recensione

ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel