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Guida Michelin per psicoterapeuti – Un articolo di Giancarlo Dimaggio

G. Dimaggio racconta l'altra faccia dell'essere terapeuti: come superare l'overdose da distillato di dolore umano? La soluzione è in un ristorante stellato.

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 06 Giu. 2016

Sono le 20 e 58 quando entriamo nella hall di un art hotel nel centro di Roma: Dimaggio, ho prenotato per due. Ristorante stellato. La mia ribellione personale alla dipendenza da Masterchef e Gambero Rosso Channel. Eccesso di cucina gourmet osservata, iniziava a generare stati crescenti di frustrazione.

Una versione ridotta di questo articolo è apparsa sul mensile “La freccia” di Maggio 2016

 

Alle 14 e 22 Ilaria mi racconta che il padre la picchiava. Calci. Cinque minuti dopo decido di andare con lei lì, nell’angolo della cucina dove si rannicchiava. Si chiama immaginazione guidata. Chiuda gli occhi. Quanti anni ha? Nove. Respiri profondamente, vede la scena? Sì. Com’è lui? Alto, enorme, sembra che gli escano le fiamme dagli occhi. Come si sente? Avevo paura. Ora la sente? No, ora no. Cosa fa suo padre in questo momento? Non lo so, non lo vedo più, sta diventando una macchia azzurra. Alle 14 e 40 apre gli occhi. È più sollevata.

Dieci minuti ed esco dalla stanza, ho assaporato la prima dose di vero distillato di dolore umano della giornata. Ne assumo almeno una al giorno, tre volte a settimana. Si chiama: fare lo psicoterapeuta. Leggo l’email. Un’ottima notizia. Mi viene fame. Ho un’idea, faccio una telefonata. Non ci speravo, ma ottengo lo scopo.

Alle 17 e 09 Davide mi dice che la madre è stata diagnosticata tardivamente di schizofrenia paranoide. Tipo che vedeva minacce dappertutto, ladri, la mafia, il Vaticano oscuro. Avevo 10 anni – periodo difficile della vita viene da pensare -. Com’era per lei a quell’età? Tremendo. La notte mamma restava sveglia a controllare se c’erano pericoli. E lei che faceva? Restavo immobile completamente sotto le coperte, attento a non fare un bai. Perché? Dovevo stare in guardia, qualcuno grosso e armato sarebbe potuto entrare. Alle 17 e 16 gli chiedo di tornare in quella stanza. Cosa prova? Teso, ho paura. Bene, gli dico. Facciamo una prova: porti il Davide adulto in quella stanza. Ok. Vede il bambino? Sì. Gli vada vicino. Si sieda sul letto, lo conforti. Alle 17 e 19 lo prende per mano e lo porta a esplorare la stanza, a guardare fuori dalle finestre. Con una certa riluttanza il bambino ammette che non ci sono mostri e accetta di tornare a letto, non senza averne tratto un certo conforto. Respiro uno, respiro due, respiro tre. Apra gli occhi. Come sta? Molto sollevato.

Alle 17 e 50 ho finito di assumere la seconda dose di vero distillato di dolore umano della giornata. Sono sopra la media. Decido di agire. Telefono a Eleonora. Amore? Sì? Una bella notizia. Dimmi. Routledge ha accettato di pubblicare il mio ultimo manuale di psicoterapia in inglese. Wow. Sì, wow. Stasera vestiti in lungo.

Sono le 20 e 58 quando entriamo nella hall di un art hotel nel centro di Roma: Dimaggio, ho prenotato per due. Ristorante stellato. La mia ribellione personale alla dipendenza da Masterchef e Gambero Rosso Channel. Eccesso di cucina gourmet osservata, iniziava a generare stati crescenti di frustrazione.

Dovrebbero pubblicarti libri in inglese ogni settimana, fa Eleonora. Ci servono l’aperitivo. Un prosecco delle langhe accompagna tre piatti di bocconcini. Un piccolo maritozzo con crema di melone e prosciutto crudo. Un cubetto rossoverde nel quale lo chef è riuscito a impilare quattro strati, inclusa una sfoglia microscopica di gambero. Si sente il seme di sesamo. Restiamo increduli. Poi dolce e salato in un’unica rotella, l’alice, il cui sapore di solito odio, si mischia con una crema e il risultato è superbo. E ancora una caprese minuscola e piccole losanghe dalle tinte accostate con sapienza. Alle 21 e 24 le svelo la verità. Il libro è un pretesto. Che vuoi dire? Un pretesto per la cena. Perché, avevi voglia di celebrare la mia bellezza in modo adeguato? Ovvio, rispondo (era l’unica risposta possibile e non è falsa). Però?

Si tratta delle quantità quotidiane di dolore. Ah, vuoi direi il vero distillato di dolore umano? Esatto. Accompagnato da un bianco siciliano, profuma di uva spina, arriva l’antipasto. Il cameriere, siciliano anche lui, ce lo porta sorridendo. Sembra un tiramisù nel bicchiere, non lo è. In effetti scopriremo che la polvere nera sopra è davvero cacao al 100%. La spuma bianca è fatta di patate e del latte nel quale è stato cotto il baccalà. Lardo di cinta senese, il tocco di croccante. Spalle alla sala, faccio la scarpetta sotto il divertito rimprovero di Eleonora. L’olio di produzione propria, provenienza sabina, fa esplodere i sapori.

Una riflessione profonda di Eleonora: assumi dosi settimanali di vero dolore umano per poterti permettere una cena gourmet, o per discolparti dalla cena in un ristorante stellato assumi sofferenza su base regolare? Non c’è risposta. Faccio quello che faccio perché lo so fare e per motivi troppo lunghi da spiegare. Ho imparato il mestiere, ho studiato molto, rovistato nelle parti del mio animo non esposte al sole del sud. Ci ho costruito una reputazione scientifica sopra. Ma ha un prezzo. E guardare Carlo Cracco in TV non ripaga a sufficienza.

Il sommelier, un ragazzo con la barbetta con il quale tranquillamente berresti una birra artigianale tra i vicoli di Trastevere, ci presenta un sangiovese dell’Emilia, un fruttato che accompagnerà i ravioli ripieni di mascarpone al ragout di anatra. Il cameriere siciliano ci invita a masticarli senza averli aperti prima. Seguiamo il consiglio. Aveva ragione. Non ne sopravvive nessuno. Notiamo di non avere preso il ‘Rocher’ di coda alla vaccinara con gelée di sedano. Ci saranno altre occasioni finché non intraprendo programmi di disintossicazione dal vero dolore umano.

Alle 22 e 31 le racconto di una seduta di gruppo in cui siamo finiti tutti scalzi, Paolo, il mio collega, i pazienti e io. Mi punta gli occhi azzurri in faccia: sei serio? Un rosso dal profumo di erborinato, provenienza Côtes du Rhône, previene la risposta, introduce un dittico di capriolo. I sapori variano da lampone essiccato a curry e anice stellato. Ardito, ma funziona. Si chiude con il tiramisù, rivisitato. Naturalmente al baccalà, diciamo al cameriere siciliano. Ovvio, risponde. La strada per il superamento del dolore è indicata sulla guida Michelin, prosit.

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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