Ogni anno nascono nel mondo 133 milioni di bambini (United Nations, 2007). Tra il 15 e il 20% delle neo-mamme sono colpite da depressione postnatale clinica. La depressione postnatale comporta conseguenze sia per la mamma sia per l’intero nucleo famigliare (Screening for Depression in the Postpartum using the Beck Depression Inventory-II, 2010). Tale disturbo può avere conseguenze a lungo termine sulla vita cognitiva, emozionale e relazionale del figlio.
Alice Santoni, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI BOLZANO
Abstract
Numerose ricerche dimostrano come le madri con depressione postnatale siano meno responsive agli stimoli dei propri figli, oppure eccessivamente intrusive se non addirittura aggressive (Tiffany Field, 1998) rispetto alle madri che non sviluppano questo disturbo. Tali comportamenti possono portare allo sviluppo di difficoltà nei figli, come problematiche relative alla nutrizione e al sonno, oltre allo sviluppo di una scarsa comunicazione, sia vocale sia visiva, con le loro madri.
E’ fondamentale comprendere come la depressione postnatale influisca sull’interazione madre-bambino. In particolare il focus d’interesse di questo articolo è l’utilizzo del linguaggio nella depressione postnatale. L’apprendimento linguistico nel primo anno di vita del bambino è una delle mete più importanti da raggiungere ed un “ruolo facilitatore” è svolto dai primi scambi comunicativi con la madre. Le madri depresse utilizzano in maniera differente l’Infant direct speech (IDS). La salute mentale della madre va infatti a compromettere il modo in cui essa comunica con il proprio figlio e conseguentemente tale utilizzo atipico può influenzare lo sviluppo globale del bambino.
L’interazione madre bambino in situazioni tipiche e atipiche
I differenti modi d’interagire fra mamma e bambino nei primi mesi di vita consentono di stabilire una prossimità psicologica che funge da rampa di lancio per il futuro sviluppo del piccolo. La figura di accudimento, in questo caso ci concentriamo sulla madre (ma non per questo il ruolo del padre dev’essere valutato come secondario), diviene indispensabile per garantire un equilibrato sviluppo affettivo, cognitivo e relazionale. Lo sviluppo del piccolo dipenderà dunque dal legame di attaccamento che sarà venuto a crearsi. Per attaccamento intendiamo quella particolare forma di comportamento il cui risultato sia quello di ottenere o mantenere la vicinanza, comunicare con figure preferenziali che possano fornire sostegno (John Bowlby, 1989).
Nel caso sia presente all’interno della diade madre-bambino una condizione patologica, si tratti di una condizione riguardante la madre o il bambino, questa andrà ad interferire sullo sviluppo della relazione. L’interazione madre-bambino è necessaria per garantire la sopravvivenza nei mammiferi. L’importanza di tale legame diadico è osservabile, oltre che nei primati umani anche nel mondo animale. La deprivazione materna può interferire, infatti, con lo sviluppo del piccolo e può fungere da fattore di rischio, poiché da adulto potrebbe essere incline a sviluppare una forma di psicopatologia. In uno studio (Li-Xin Zhang, 2002) è stato mostrato come la deprivazione materna nei cuccioli di ratto possa andare ad alterarne lo sviluppo cerebrale tipico.
L’interazione madre bambini in caso di depressione postnatale
Il DSM-5 classifica la depressione postnatale come un disturbo depressivo maggiore atipico caratterizzato da un umore depresso persistente associato a 5 o più dei seguenti sintomi: diminuzione d’interesse e piacere per le attività svolte abitualmente, appetito, funzioni psicomotorie, livello di energia, concentrazione ed autostima. Possono inoltre essere presenti pensieri di morte, ideazione suicidaria, o ricorrenti preoccupazioni sul fatto che non si sia in grado di prendersi correttamente cura del figlio. La depressione postnatale può insorgere già a partire dalla quarta settimana dopo il parto, ma solitamente, nella maggior parte dei casi, è diagnosticata tra la sesta e la dodicesima settimana (B. Posmontier, 208).
In una meta-analisi di Beck (1998) è stato dimostrato come la depressione postnatale produca effetti negativi sullo sviluppo emotivo e cognitivo del piccolo. Comparando, infatti, figli di mamme depresse con quelli di mamme non depresse è stato possibile osservare come i primi risultassero maggiormente inclini a mettere in atto comportamenti di protesta, soffrivano maggiormente di sonnolenza e risultavano evitanti nelle relazioni di gioco con la madre (Moehler, Brunner, Wiebel, Reck & Resch, 2006; Murray & Cooper, 1996, Stanley, Murray & Stein, 2004). Uno studio (Hay DF et al, 2001) attraverso l’utilizzo di ricerche longitudinali, ha documentato come i figli di mamme con depressione postnatale risentano della condizione materna nel corso del loro sviluppo. Lo studio (Hay DF et al, 2001) ha dimostrato come un significativo numero di bambini soffrisse di disturbi da deficit dell’attenzione e difficoltà circa il ragionamento matematico dopo che le loro abilità furono rivalutate all’età di 11 anni.
Che cos’è l’Infant Direct Speech (IDS)?
L’Infant Direct Speech è quella peculiare forma di linguaggio utilizzata dalla madre quando si rivolge al piccolo ed è caratterizzata da particolari variazioni sintattiche e morfologiche. Valutare come questa forma di linguaggio si modifichi in caso di depressione postnatale è importante poiché l’Infant Direct Speech cattura l’interesse e aumenta l’attenzione del piccolo risultando così fondamentale nelle prime interazioni comunicative. Questa forma di linguaggio (conosciuta anche come “motherese” o “baby talk”) è caratterizzata dall’utilizzo di un ristretto vocabolario (sia semantico sia sintattico), da numerose ripetizioni (Drache et al., 1969; Broen, 1972; Snow, 1972, Philips, 1973; Pauposek et al. 1985) e semplificazioni.
Le parole importanti vengono inserite in posizioni salienti anche a discapito della correttezza grammaticale (Fernald & Mazie, 1991; Aslin, 1993) e vengono iperarticolate (Bernesteein Ratner, 1994; Andruski and Kuhl, 1996). I dialoghi hanno spesso una forte connotazione onomatopeica. L’Infant Direct Speech è prodotto con un tono più alto (la frequenza fondamentale F0 è maggiore), la variabilità è elevata rispetto al volume e con un piccolo insieme di contorni melodici distintivi che permettono di far giungere in maniera chiara e diretta lo stato emotivo e l’intenzione comunicativa del parlante (Jaconson et al. 1983; Ferald and Simon, 2984; Papousek et al., Frnald et al., 1989). Uno studio ha mostrato come i neonati preferiscano ascoltare l’Infant Direct Speech anche quando questo viene pronunciato in una lingua a loro sconosciuta (Werker et al. 1994) e come creino associazioni positive nei confronti di coloro che si rivolgono loro utilizzando l’Infant Direct Speech.
Infant Direct Speech e depressione postnatale
L’apprendimento del vocabolario del bambino dipende da innumerevoli fattori come ad esempio l’ambiente, lo stato socio-economico e la relazione con i genitori (Pan et al, 2005). La depressione postnatale materna va a modificare la qualità e la quantità della relazione con il figlio. Questo provoca delle variazioni anche nell’utilizzo dell’Infant Direct Speech. Le madri con depressione postnatale utilizzano l’Infant Direct Speech esagerandone meno la prosodia, andando così ad utilizzare una frequenza fondamentale, una durata ed un’ intensità diverse rispetto a quella impiegata dalle madri non depresse. Le madri con depressione postnatale clinica utilizzano un Infant Direct Speech che risulta avere effetti più deboli sull’apprendimento del neonato. Ciò è stato confermato da un esperimento (Kaplan, Bachorowski, e Zarlengo-Strouse, 1999) che ha indagato le proprietà dell’Infant Direct Speech prodotto da madri depresse e non depresse.
Conseguenze
Nello studio di Nicole L. Letourneau e colleghi (2013) sono state analizzate le conseguenze della depressione postnatale, valutando lo sviluppo cognitivo ed emotivo del piccolo. Lo studio prevedeva che al compimento del quarto anno d’età venissero valutate le abilità del bambino nelle seguenti aree: vocabolario appreso, disattenzione e aggressione fisica. Le stesse abilità venivano poi rivalutate un anno dopo (al compimento del quinto anno d’età). I risultati di tale studio longitudinale mostrano come tutti i risultati siano significativi (p > 0.5). I bambini raggiungono un punteggio di 1.94 per la disattenzione (assessment con NLSCY), 1.94 per il vocabolario appreso (valutato attraverso il Peaboy Picture Test, Revised) ed infine 3.30 per quanto riguarda la valutazione delle aggressioni fisiche (assessment con NLSCY).
Un altro studio interessante è quello di Lynne Murray e colleghi (2010). Tale studio si concentra sulle conseguenze dell’utilizzo atipico dell’Infant Direct Speech da parte di mamme depresse sugli adolescenti anziché sui bambini. Lynne Murray (Murray et al 2010) ha indagato il ruolo dell’Infant direct speech a lungo termine cercando di comprendere se il suo utilizzo portasse allo sviluppo di problematiche affettive nei figli adolescenti.
L’esposizione durante l’infanzia della propria lingua madre produce specifiche reti neurali necessarie a codificarne gli schemi (Kuhl, 2004; Saffran, 2003); sarebbe così possibile che l’esposizione a lungo termine durante l’infanzia alle caratteristiche negative dell’Infant Direct Speech atipico porterebbe alla creazione di schemi negativi. Questo è rilevante in quanto in linea con gli esperimenti effettuati sull’apprendimento della comunicazione degli uccelli canori (Prather, Peters, Nowicki, & Mooney, 2008). La costante esposizione alle caratteristiche atipiche dell’Infant Direct Speech prodotto dalla madre durante i primi mesi di vita, porterebbe dunque alla stimolazione di aree cerebrali strettamente connesse agli effetti negativi legati ad esperienze personali (Gallese, 2005). Questo meccanismo contribuirebbe dunque ad aumentare il rischio che si sviluppi nell’adolescente un disturbo affettivo, in particolare un disturbo di tipo depressivo.
Conclusioni
Essendo a conoscenza del fatto che le mamme con depressione postnatale utilizzano un Infant Direct Speech differente e che ciò può influire sulla relazione madre-figlio modificandone lo sviluppo è utile riconoscere i maggiori predittori di questo malessere per intervenire al più presto. Va valutata la presenza di una passata storia di psicopatologia, possibili disturbi fisiologici durante la gravidanza, la relazione coniugale e la presenza di eventi di vita stressanti (O’hara, Swain, 1996). Ciò è di fondamentale importanza, poiché dei corretti interventi possono ridurre i possibili rischi circa l’insuccesso della relazione diadica. Nel caso in cui s’individui tale affezione si possono proporre due interventi; un intervento farmacologico, oppure un trattamento psicoterapeutico, consigliato in quanto sono molteplici i dati empirici che suggeriscono l’efficacia di tale terapia.