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Il rapporto con gli animali tra ambivalenze e paradossi

Attualmente il rapporto tra uomo e animali viene sempre più valorizzato per scopi terapeutici, ad esempio con i malati di Alzheimer o i carcerati. 

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Apr. 2016

Aggiornato il 12 Set. 2018 14:31

Fin dagli studi di Levinson degli anni ’70 si è dimostrato che l’interazione con gli animali favorisce in noi umani la capacità relazionale di comprendere gli altri e migliora l’umore. Prendersi cura di un animale può calmare l’ansia, può trasmettere calore affettivo, e aiutare a superare lo stress e la depressione. E ci aiuta a comprendere gli altri. 

Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 16/04/2016

 

Il rapporto tra uomo e animali nel passato e nel presente

Gli antichi greci erano ambivalenti verso gli animali domestici. L’amore tra padrone e cane, ad esempio, era apprezzato e insieme svalutato. Tutti ricordiamo Argo, il cane di Ulisse, che muore dopo aver riconosciuto il padrone dopo vent’anni. Qualcuno, di meno ricorda come i greci paragonassero il rapporto degli uomini con i cani al sesso a pagamento. Per questo chiamavano cagne le prostitute. Intravedevano nell’amore verso gli animali qualcosa di troppo facile. Il detto, fin troppo diffuso tra gli amanti di cani, che il rapporto con loro è da preferire a quello con gli umani, dichiara sia un legittimo bisogno di semplicità che una pretesa di affettività a buon mercato. Così vanno le cose umane, sempre doppie di significato.

Al giorno d’oggi ogni ambivalenza è sparita e abbiamo dichiarato pieno ed eterno amore agli animali, soprattutto domestici. Permane qualche ombra per i gatti, ma sono le ombre di un pomeriggio d’estate: fanno apprezzare ancora di più il sole di un amore pieno. E mentre riascoltiamo Pet Sounds dei Beach Boys possiamo ricordarci che in quegli anni, negli pichidelici sixties, fu inventata la pet therapy, la terapia basata sull’interazione con gli animali, domestici e non. Fin dagli studi di Levinson degli anni ’70 si è dimostrato che l‘interazione con gli animali favorisce in noi umani la capacità relazionale di comprendere gli altri e migliora l’umore. Prendersi cura di un animale può calmare l’ansia, può trasmettere calore affettivo, e aiutare a superare lo stress e la depressione. E ci aiuta a comprendere gli altri. Insomma, amare i cani non è uno sterile amore a buon mercato; semmai, è ricco di frutti.

 

La terapia con gli animali

Il rapporto con gli animali aiuta anche il reinserimento dei condannati al carcere. La Terapia Assistita con gli Animali (TAA) in carcere è un’attività all’interno del reparto psichiatrico del carcere di San Vittore di Milano ed è un’esperienza unica in Europa. Attraverso il rapporto con i cani si promuove una ‘rieducazione affettiva’ dei carcerati, li si riabitua a prendersi cura di qualcuno attraverso gesti semplici come dargli da bere, da mangiare o spazzolarli. Con le attività dedicate all’accudimento degli animali si fortificano la socialità e l’empatia.
Non si tratta solo di cani e gatti. Anche il nobile cavallo può svolgere un ruolo terapeutico, essere medico dell’uomo oltre che suo compagno.

L’ippoterapia è indicata per i malati di Alzheimer. Le persone affette da Alzheimer, oltre alla perdita della memoria, spesso vanno incontro a cambiamenti di personalità. Possono diventare depresse, solitarie e finanche aggressive. L’esperienza di accudire i cavalli dandogli da mangiare e facendoli camminare fa migliorare l’umore e rende le persone affette da Alzheimer più collaborative con le cure che ricevono durante la giornata. Inoltre l’ippoterapia potenzia l’attività fisica. Le persone affette da Alzheimer, tutte con limitazioni fisiche, nelle attività con i cavalli si spingono oltre questi limiti, chiedendo aiuto per alzarsi dalla sedia a rotelle o prendendo fiducia nel camminare da soli.

 

I paradossi del rapporto tra uomo e animali

Naturalmente tutta questa passione per gli animali ha le sue conseguenze. Se essi sono sempre più i compagni e migliori amici dell’uomo, risulterà sempre più difficile mangiarli. Non è una buona idea banchettare con le carni del tuo migliore amico. La scienza, che non è mai neutrale, già si è messa al servizio di questo nuovo ideale. Addirittura c’è chi, come Steve Loughnan dell’Università di Melbourne, ha dato un nome a questo che rischia di essere il nuovo complesso d’Edipo del nuovo millennio: come puoi pensare di mangiare chi ti è amico? Loughnan lo chiama il “paradosso della carne”.

Beh, tranquillizziamoci: mangiare gli amici ha un prezzo. Secondo Loughnan, i mangiatori di carne tendono a essere più autoritari, accettano l’espressione dell’aggressività e sono anche più propensi ad accettare le disuguaglianze e ad abbracciare le gerarchie sociali. Inoltre, mangiare carne è anche legato all’identità maschile. Insomma, mangi carne e diventi un po’ più cattivo e più maschilista, ammonisce Laughnan.
Chissà se dietro a tanto trasporto crescente vero gli animali non si nasconda una parallela difficoltà a stare con gli umani. È un’interpretazione, un po’ freudiana e quindi un po’ sospettosa. Freud è un maestro del sospetto, nemico della sentimentalità più facile e lagrimosa. Torniamo alle cautele dei greci? Forse no. Forse tutto questo sa di quella sospettosità un po’ facile del freudismo più popolarizzato. Meglio lasciare da parte questi subdoli frutti. Come ci insegna la pet therapy, imparare ad amare gli animali probabilmente ci aiuta ad amare anche gli uomini. E le donne.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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