E’ il meccanismo della riduzione della dissonanza cognitiva che ci viene davvero in aiuto ogni qualvolta, seppur consapevoli dell'”umanità” animale, ci facciamo una bella bistecca: a 9 su 10 di noi, non potendo adattare il proprio comportamento al proprio sistema di credenze e valori (per esempio diventando vegetariani), non resta che adattare le proprie idee al comportamento.
L’italiano medio consuma 81 kg di carne all’anno, poca se si considera che l’americano tipo ne consuma invece più di 250, un appetito alimentato dal massacro di 10 miliardi di animali. Il consumo di carne convive, nella maggior parte delle persone, con la cura e l’amore per gli animali, sopratutto quelli domestici. Ma come viene gestita la tensione psicologica creata da questi comportamenti apparentemente così contrastanti?
Steve Loughnan dell’Università di Melbourne lo chiama il “paradosso della carne”. Lui e il suo team hanno lavorato anni per comprendere il lavorio mentale a cui ricorriamo per risolvere e convivere con questo dilemma morale.
Il modo più sicuro e più ovvio per eliminare questa tensione morale e psicologica è quello di astenersi dal mangiare carne, diventando vegani o vegetariani. Molti vegani dicono che sono disgustati dall’idea di mangiare carne, e il disgusto è un’emozione potente.
Ma non sono molti a compiere questo passo. Questo perché la carne ci piace, ha un buon sapore, e mangiarla ci dà piacere. È l’interazione tra piacere e disgusto a determinare se ci asteniamo o cediamo di fronte ad un hamburger.
Loughnan si è chiesto a cosa è attribuibile il trionfo del piacere o quello del disgusto, e per scoprirlo ha studiato i carnivori stessi: Quali sono i loro atteggiamenti e valori in genere? come percepiscono bovini e cani? Come fanno pendere la bilancia verso il piacere e tengono lontano il disgusto?
Lui e il suo team hanno trovato alcune differenze interessanti tra i mangiatori di carne e vegetariani. Ad esempio, i mangiatori di carne tendono ad essere più autoritari, accettano l’espressione dell’aggressività e sono anche più propensi ad accettare le disuguaglianze e ad abbracciare le gerarchie sociali.
A quanto pare questi atteggiamenti verso altri esseri umani gli permettono di percepire il consumo di carne come meno problematico moralmente. II mangiare carne è anche strettamente legato all’identità maschile, come se nell’immaginario comune i “veri uomini” non mangiassero niente che non si stacchi da un osso!
Questi valori personali si riflettono anche nelle credenze sugli animali che mangiamo, cioè sulla percezione che abbiamo della loro mente e su quanto li percepiamo simili a noi. Quello che ci domandiamo, insomma, è: “ma gli animali soffrono? E quanto consapevoli del dolore che provano?”.
Loughnan e il suo team hanno scoperto che mangiare un animale “consapevole” e “pensante”, ad esempio un cane, è pecepito come più immorale e disgustoso del mangiare un maiale, percepito come meno consapevole.
Tutte queste percezioni, combinate tra loro a formare il punto di vista individuale di ciascuno, forniscono uno strumento cognitivo potente per risolvere il “paradosso della carne”. Uno in particolare sembra permetterci di salvare capra e cavoli: percepiamo gli animali come capaci di soffrire, ma non se li uccidiamo “umanamente”.
Ma è il meccanismo della riduzione della dissonanza cognitiva che ci viene davvero in aiuto ogni qualvolta, seppur consapevoli dell’”umanità” animale, ci facciamo una bella bistecca: a 9 su 10 di noi, non potendo adattare il proprio comportamento al proprio sistema di credenze e valori (per esempio diventando vegetariani), non resta che adattare le proprie idee al comportamento…ecco allora che l’animale che ci stiamo per mangiare diventa improvvisamente meno “pensante”, e quindi meno in grado di pecepire la sofferenza.
ARTICOLO CONSIGLIATO:
Mangiare o non mangiare animali?
BIBLIOGRAFIA:
- Loughnan, S., Bratanova, B., & Puvia, E. (2012). The Meat Paradox: How are we able to love animals and love eating animals. In-Mind Italia, 15-18. DOWNLOAD