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Mindfulness durante l’esposizione ai propri pensieri: uno studio su pazienti con disturbo ossessivo compulsivo

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo: è stato dimostrato che la mindfulness durante l'esposizione ai pensieri ossessivi riduce il livello di ansia 

Di Elena Mannelli

Pubblicato il 07 Mar. 2016

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo: Nello studio preso in considerazione gli autori hanno messo a confronto le strategie di mindfulness e di distrazione proprio durante sedute di esposizione in un campione clinico ipotizzando che coloro che venivano sottoposti alla condizione “mindfulness” avrebbero riportato un livello minore di ansia al termine degli esercizi e un minore impulso alla messa in atto di strategie di neutralizzazione.

Introduzione

Le ricerche in letteratura sul trattamento del Disturbo Ossessivo riportano quasi unanimemente che l’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP) ottiene i migliori risultati in termini di risoluzione sintomatica.
Per coloro che non hanno compulsioni overt (pure obsessive) esporsi ascoltando la registrazione dei propri pensieri ossessivi “loop tape exposure” è un trattamento indicato (Salkosvskis, 1983), in particolare l’associazione di questo tipo di esposizione, accompagnata da interventi di ristrutturazione cognitiva risultano la miglior combinazione per un esito positivo (Abramovitiz, 2002).

Il presupposto alla base sarebbe quello di facilitare il fenomeno di abituazione ai propri pensieri senza l’utilizzo di strategie di neutralizzazione finchè l’ansia, naturalmente, non decresce.
Tuttavia, il limite maggiore di questi interventi di esposizione (in vivo, in immaginazione o audioregistrato) resta l’alto tasso di drop-out dei pazienti, un aspetto rilevante per la cura di questa tipologia di problematiche e che spesso chi utilizza tecniche come l’ERP si trova a dover fronteggiare.

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo

Recentemente è stato suggerito che i pazienti con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo potrebbero trarre beneficio da pratiche mindfulness durante l’esposizione stessa (Didonna, 2009; Fairfax, 2008) in modo da renderla meno psicologicamente stressante e cercando di limitare i drop-out dei pazienti.

Kabat-Zinn, (1990) considerato il padre di questa disciplina, definisce la Mindfulness come un’attenzione particolare, rivolta intenzionalmente, al momento presente, in modo non giudicante.
La sostanza della pratica mindfulness sarebbe quindi volta ad incrementare una consapevolezza di quello che accade nel corpo, a livello emotivo e cognitivo attraverso un’osservazione non giudicante di tutto quello che emerge, all’interno e all’esterno di noi, esattamente così com’è, in modo da favorire un atteggiamento di accettazione piuttosto che di soppressione o negazione.
Ciò vale anche, se non soprattutto, per i pensieri, che si possono guardare così come vengono, senza alcuna forma di giudizio, scorrere come “le nuvole nel cielo”.

Si comprende bene come questa attitudine di osservare la propria mente potrebbe essere davvero risolutiva per pazienti con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo che, al contrario, tendono per definizione ad attribuire importanza e significato ai propri pensieri, perdendo il confine tra questi e la realtà.

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo: lo studio

Un esperimento condotto in Germania ha comparato strategie di distrazione a strategie di mindfulness con pazienti con disturbo ossessivo compulsivo durante sessioni di esposizione ai propri pensieri audio registrati (Wahl, Huelle, Zurovisky et all., 2013).
Dal loro punto di vista le tecniche mindfulness con pazienti con disturbo ossessivo compulsivo sarebbero particolarmente utili per pazienti con questa patologia per tre motivi principali.
Il primo risiede nel fatto che l’attenzione deliberatamente volta ai propri contenuti mentali potrebbe favorire il processo di abituazione.
Il secondo motivo sarebbe quello di modificare l’atteggiamento nei confronti delle proprie ossessioni, in modo da osservarle e descriverle come meri contenuti mentali (questo aiuterebbe i pazienti a non tentare di neutralizzare o sopprimere in modo automatico tali contenuti, incrementando la portata dei pensieri stessi nonché della sofferenza che ne deriva).
Infine, l’esperienza del “lasciar andare” grazie all’utilizzo di metafore che aiutino a vedere i propri pensieri come nuvole che scorrono nel cielo potrebbe cambiare il significato che questi pensieri assumono rendendoli meno soggettivamente pericolosi. Questo non è da sottovalutare poiché quello che differenzia la normale intrusione, dall’ossessione, è proprio il modo in cui il pensiero viene interpretato.

Due recenti studi infatti, avevano tentato di indagare il ruolo di diverse strategie nel gestire il normale presentarsi di pensieri ossessivi (Najimi, 2009; Marks and Woods, 2005) dimostrando come tecniche di soppressione dei pensieri aumentassero il livello di distress rispetto a strategie di accettazione che al contrario risultava abbassarlo. Per quanto riguarda la distrazione non ha portato cambiamenti significativi e resta pertanto un qualcosa da esplorare considerando che è una strategia (disfunzionale) sovente messa in atto da pazienti con ossessioni (per il fatto che abbassa il livello di ansia almeno nell’immediato).

Nello studio preso in considerazione gli autori hanno pertanto messo a confronto le due strategie proprio durante sedute di esposizione in un campione clinico ipotizzando che coloro che venivano sottoposti alla condizione “mindfulness” avrebbero riportato un livello minore di ansia al termine degli esercizi e un minore impulso alla messa in atto di strategie di neutralizzazione.

Trenta pazienti con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo sono stati pertanto esposti ai propri pensieri in tre tempi diversi alla baseline, durante la condizione sperimentale e nuovamente di ritorno alla baseline ed è stato misurato il loro livello di ansia nei tre momenti e l’impulso alla neutralizzazione.
Nella condizione sperimentale i pazienti, randomizzati in due gruppi, sono stati istruiti a mettere in atto o strategie di mindfulness o strategie distrattive. E al termine dell’esperimento è stato valutato in che misura siano riusciti a rispettare le istruzioni e quanto le abbiano trovate utili in una scala likert 0-4.

Le istruzioni di mindfulness sono state ricavate e adattate dal modulo “i pensieri non sono fatti” del MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy, Segal 2002), nel quale il partecipante è incoraggiato a vedere i propri pensieri come eventi mentali transitori portandovi intenzionalmente la propria attenzione.

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo: i risultati dello studio

I risultati sono in linea con le ipotesi degli autori. Coloro che sono stati istruiti a eseguire strategie di mindfulness riportano una maggiore diminuzione di ansia e una minore urgenza a neutralizzare. Sebbene risultati in questo senso siano visibili anche nella condizione di distrazione risultano minori soprattutto comparando la base iniziale con quella finale.
Non si riscontano differenze nel grado di “utilità” che i pazienti riferiscono a parte per la slide di introduzione del gruppo nella condizione mindfulness (“i pensieri sono solo pensieri, non fatti”) che è stata trovata significativamente più utile.

Le implicazioni cliniche sono certamente rilevanti. Sebbene entrambe le condizioni riportino effettivamente una diminuzione dei livelli di ansia, la capacità di mantenerli nel lungo termine è maggiore nella condizione “mindfulness” poiché le strategie possono essere adottate per favorire il fenomeno di abituazione andando a contrastare la tendenza alla sopressione dei pensieri tramite meccanismi distraenti che non permettono, al contrario, questo processo.

È importante tenere a mente che questo tipo di procedura può tentare di arginare il tasso di drop-out nel paziente sottoposto all’esposizione ai propri pensieri ossessivi e il valore che queste tecniche possono avere nella prevenzione alla ricaduta.
È inoltre rilevante il fatto che sono i soggetti stessi a definire come utili determinate modalità di gestione dei propri pensieri; questo può davvero rendere migliore la compliance al trattamento e limitare il tasso di drop-out.

Mindfulness con disturbo ossessivo compulsivo: conclusioni

È indiscusso che nel presente studio gli aspetti presi in prestito dai protocolli MBCT non siano assolutamente esaustivi. La mindfulness prevede pratiche meditative formali quotidiane e numerosi altri aspetti che non vengono presi in considerazione in questa procedura sperimentale per ovvie ragioni pratiche.

Tuttavia lo studio senza dubbio sottolinea la funzionalità di questo atteggiamento volto alla consapevolezza piuttosto che alla distrazione, una differenza importante per il paziente affetto da sintomi ossessivi in modo da avere un metodo funzionale di gestione dei propri pensieri e favorendo i fenomeni di abituazione agli stessi.

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Elena Mannelli
Elena Mannelli

Psicologa Cognitivo-Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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