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Il disvelamento nella relazione terapeutica: come effettuarlo per renderlo efficace

Disvelamento: il terapeuta può raccontare al paziente episodi di vita personali simili a quelli del paziente o esplicitare le sue reazioni controtransferali

Di Antonella Centonze

Pubblicato il 09 Mar. 2016

Aggiornato il 09 Apr. 2018 11:17

Tutti gli interventi che il terapeuta, insieme con il paziente, effettua al fine di analizzare e consolidare la relazione terapeutica sono utilissimi. Tra le molte operazioni che si possono fare a questo scopo, un ruolo centrale trovano le tecniche di disvelamento o self-disclosure, basate sulla rivelazione di aspetti di sé del terapeuta.

 

Il disvelamento nella terapia metacognitiva interpersonale

Nella Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) l’alleanza terapeutica ricopre un ruolo centrale non solo perché permette al paziente e al terapeuta di cooperare al fine di comprendere la sofferenza del paziente. Essa altresì rappresenta uno strumento terapeutico in sé, nella misura in cui gli schemi del paziente si manifestano, incontrando il mondo interno del terapeuta, nel setting terapeutico. La possibilità di avviare una riflessione sul ciclo interpersonale che si avvia in seduta e sugli schemi del paziente, attivi nel qui ed ora, permette di incrementare in maniera molto efficace le sue capacità metacognitive.

In questo senso quindi, tutti gli interventi che il terapeuta, insieme con il paziente, effettua al fine di analizzare e consolidare la relazione terapeutica sono utilissimi. Tra le molte operazioni che si possono fare a questo scopo, un ruolo centrale trovano le tecniche di disvelamento o self-disclosure, basate sulla rivelazione di aspetti di sé del terapeuta. Innanzitutto [blockquote style=”1″]il disvelamento consiste in dichiarazioni esplicite, da parte del terapeuta, su ciò che sta provando e pensando in un certo momento[/blockquote] (Dimaggio, Semerari, 2003). Il disvelamento rappresenta inoltre un aspetto centrale nelle metacomunicazioni che Safran e Muran (2000) propongono come strumento principale per la ricomposizione dell’alleanza terapeutica a seguito di una frattura.

In TMI (Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore 2013), il disvelamento oltre che come tecnica per ristabilire una buona alleanza, si caratterizza anche come strategia che permette un’esplorazione del mondo interno del paziente quindi finalizzata alla ricostruzione del suo schema.

In pratica, possiamo sintetizzare le sue funzioni in tre macro tipologie:
1) Disvelamento di emozioni e pensieri del terapeuta analoghi a quelli presenti nel racconto del paziente (similmente ad una operazione validazione e di rispecchiamento empatico) al fine di rafforzare l’alleanza terapeutica.
2) Disvelamento di esperienze del terapeuta affini per similitudine a quelle narrate in seduta dal paziente al fine di risolvere uno stato di frattura dell’alleanza terapeutica con lo scopo di creare, anche qui, un rispecchiamento.
3) Disvelamento di reazioni “controtrasferali” all’interno di un ciclo interpersonale disfunzionale in terapia al fine di incrementare la comprensione dello schema del paziente e dei cicli che da esso si possono attivare (quindi un utile strumento per l’incremento della sua metacognizione) e ristabilire l’alleanza terapeutica.

 

Esempi clinici di disvelamento

Riporto, a titolo esemplificativo, alcuni esempi clinici relativi alle tre tipologie evidenziate, tratti da mie terapie.

1. Carlo ha 46 anni e soffre di disturbo da attacchi di panico e ipocondria. In uno stato avanzato della terapia si lavorava sugli evitamenti degli esami clinici, che a causa di una patologia cronica pregressa, il paziente avrebbe dovuto effettuare. Era stato ricostruito uno dei suoi schemi interpersonali, che era: quando mi sento vulnerabile desidererei essere supportato, ma l’altro non mi offre supporto, non mi capisce e mi invalida. La risposta del sé era di sentirsi solo e ancora più vulnerabile. Privo di supporto, Carlo tendeva a chiudersi e a evitare le situazioni (ad esempio gli esami clinici) in cui si sentiva più vulnerabile.
Durante una seduta Carlo stava descrivendo i suoi stati d’ansia connessi all’effettuazione degli esami e di quanto temesse un risultato negativo. Per evitare questa ansia, Carlo era consapevole di preferire non sapere. La terapeuta, nell’intento di validare il timore di Carlo di fare gli esami e di avere la possibile brutta risposta, racconta che proprio in quel periodo doveva effettuare dei controlli e che per la stessa ragione, in cuor suo sperava di non farli per evitare l’ansia dell’attesa dei risultati. Carlo a quel punto si stupisce della dichiarazione della terapeuta: “Non pensavo che anche lei avesse questi pensieri … ed inoltre questo mi aiuta a percepire lei come una persona reale, con delle vulnerabilità e mi fa sentire capito e meno sbagliato”.
Carlo inoltre, in sedute successive, ha riferito che quella volta non solo si è sentito accolto, ma a differenza di altre terapie già fatte, questo lo aveva aiutato a percepire la terapeuta come più autentica, con vulnerabilità del tutto umane che non intaccavano tuttavia l’idea che fosse per lui un punto di riferimento. Questo gli ha permesso di non idealizzare la terapeuta e assumere un atteggiamento più benevolo verso i propri limiti. Questo episodio è stato l’inizio del cambiamento dello schema: adesso a fronte della manifestazione della vulnerabilità, la risposta dell’altro inizia a diventare: comprende e accetta.
2. Claudia, 33 anni, presenta tratti narcisistici, con un disturbo d’ansia generalizzato. In una fase iniziale della terapia, il lavoro terapeutico sembra in uno stato di impasse. La terapeuta si era accorta di sentirsi implicata in una sorta di lotta su chi avesse ragione sulle varie tematiche affrontate. La paziente spesso contraddiceva la terapeuta e quest’ultima si accorgeva di sentirsi svalutata. Lo schema di questa paziente si caratterizzava per il bisogno di sentirsi apprezzata e supportata nella sua autonomia, rappresentandosi l’altro come svalutante, disinteressato. La paziente a quel punto entrava in uno stato mentale di solitudine e tendeva a chiudersi in se stessa e a provare una fredda rabbia verso il mondo intero.
La terapeuta, nell’osservare il ciclo attivo in seduta ha tentato di interromperlo attraverso il disvelamento. Durante una seduta Claudia racconta di avere deciso di avviare un hobby pericoloso ma per lei piacevole: il parapendio. Nel comunicare la notizia ai familiari si era accorta della freddezza con cui era stato accolto questo suo nuovo interesse: un ennesimo caso di ostacolo all’autonomia. Claudia descriveva la famiglia d’origine come “non in grado di capire, non supportiva, sempre distante e con cui non si può avere condivisione”. La terapeuta, nel tentativo di uscire dal ciclo competitivo, oltre ad aver approvato con autentico apprezzamento quel tipo di sport ha ritrovato nella sua storia personale lo stesso vissuto familiare. Racconta alla paziente un episodio specifico e dettagliato. Claudia si è illuminata: si è sentita capita. La distanza nella relazione terapeutica si è accorciata, la competizione ridotta. Claudia riesce a esprimere emozioni di tristezza, solitudine e la sensazione di sentirsi di poco valore.
Il disvelamento così come raccontato, assume la valenza di un intervento finalizzato al superamento dei test, come afferma Weiss (1999), che i pazienti fanno al terapeuta per verificare che la relazione terapeutica confuti in maniera significativa le aspettative negative che il paziente ha dell’altro, come vediamo nello schema attivo in seduta. Il superamento del test e quindi la prosecuzione della buona alleanza terapeutica, sono uno dei fattori fondamentali per raggiungere il successo terapeutico. Nel caso di Claudia ad esempio l’aspettativa negativa dell’altro era che fosse svalutante, disinteressato, non comprensivo. La terapeuta mostrandosi empatica, supportiva e simile per esperienza ha disconfermato questa rappresentazione dell’altro e superato il test.

3. Simone, 40 anni ha un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità e tratti narcisistici. All’inizio della terapia era scettico e sembrava testare la capacità della terapeuta contraddicendola spessissimo. La terapeuta si sentiva costantemente sotto esame fino al punto di trovare spiacevole l’incontro con Simone e sperare che abbandonasse la terapia. Allo stesso tempo la terapeuta si è resa conto che si affannava, peraltro invano, di essere apprezzata da Simone. A quel punto sembrò necessario metacomunicare al paziente, ovvero svelargli, che non sentiva essersi creata un’alleanza valida: “Ho la sensazione di non riuscire a fare o dire la cosa giusta, ovviamente vorrei capire se questa sensazione sia da lei in qualche modo condivisa oppure se non è così… E’ come se ci fosse una distanza che non si riesce ad accorciare. Lei che ne pensa?”. Simone, dopo essersi irrigidito, ha risposto: “Cerco sempre di valutare attentamente le cose prima di adottarle, acquistarle… ma non ce l’ho con lei. Spesso le persone mi accusano di essere uno stronzo. Io cerco solo di fare le cose bene, di valutare attentamente quello in cui mi imbatto, per non sbagliare”.
A questo punto la terapeuta ha compreso di avere trovato una breccia e il focus del trattamento è diventato l’esplorazione delle conseguenze temute: perché Simone era così concentrato sul tentare di non sbagliare? Il clima in cui si è svolta questa parte della terapia è cambiato, Simone era concentrato sul capire i motivi della propria tendenza ad evitare gli errori e meno a testare la capacità della terapeuta. L’impasse relazionale a questo punto ha assunto la valenza di un qualunque episodio narrativo, ovvero il luogo principale attraverso cui la TMI opera per ricostruire gli schemi interpersonali maladattivi del paziente. È emerso rapidamente che Simone adottava il controllo come forma di coping perfezionistico per evitare lo stato mentale di fallimento e con un’idea di sé privo di valore.

Si deve tuttavia notare che il disvelamento è un’operazione che presenta dei rischi: non sempre interventi di disvelamento portano gli effetti voluti. In alcuni casi l’intervento del terapeuta può apparire intrusivo e ancora peggio inserirsi a rafforzare un ciclo interpersonale disfunzionale del paziente non intercettato dal terapeuta, come nell’esempio che segue.

Federico, aveva un disturbo evitante di personalità. In quel momento parlavamo dei suoi evitamenti legati alle relazioni sociali e la terapeuta ha pensato che per ridurre il suo timore del giudizio fosse opportuno raccontare un proprio episodio personale che aveva lo stesso tema. Il paziente, dopo qualche seduta, ha raccontato di aver trovato disorientante ed anche negativo quell’intervento. “Ma come? Io ho questo problema e lei me lo rinforza dicendomi che è capitato anche a lei? Così non mi sento aiutato, bensì affossato ulteriormente”. Più tardi la terapeuta capirà il motivo dell’errore. Nella storia di Federico a fronte delle proprie manifestazioni di malessere, il padre rispondeva con ansia, il che accentuava le proprie preoccupazioni sociali e in più lo facevano sentire in colpa per avere turbato il padre. Lo svelamento della terapeuta lo aveva portato a costruirla come il padre, fragile e incapace di mostrarsi forte, sicura e tranquillizzante.

 

Conclusioni

Nel complesso, il disvelamento è un intervento terapeutico prezioso, potente e a volte risolutivo. Allo stesso tempo va eseguito con cautela: il terapeuta deve essere capace di scegliere nella propria storia personale cosa è bene svelare sulla base di ciò che padroneggia emotivamente e in parallelo di formulare previsioni sul modo in cui il paziente inserirà lo svelamento all’interno dei propri schemi, rompendoli o rinforzandoli o attivandone di altri che non erano emersi. L’aspetto chiave di un disvelamento ben eseguito è nella prontezza del terapeuta di lavorare sul modo in cui il paziente reagisce alla propria apertura. Riflettere in modo congiunto sulla reazione del paziente al disvelamento è un’opportunità unica di migliorare l’assetto della relazione.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio G., Semerari A., (a cura di), 2003, I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali, Laterza, Roma-Bari.
  • Dimaggio G., Montano A., Popolo R., Salvatore G., 2013, Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Kernberg, O.F., 1965, Notes on controtransference, in “Journal of the American Psychoanalytic Association”, 13, pp. 38-56.
  • Safran J., Muran J.C., 2000, Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica, trad. it. Laterza, Roma-Bari 2003.
  • Weiss J., (1999), Come funziona la psicoterapia, Bollati Boringhieri, Torino.
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