Il 29 dicembre 2016 sulla prestigiosa rivista inglese BMJ, Shonin, Gordon e Griffith hanno pubblicato un editoriale in cui hanno discusso le evidenze disponibili sull’efficacia della mindfulness e le questioni non ancore risolte sull’utilizzo di questo intervento.
La mindfulness deriva dalla pratica buddista ed è stata definita come il processo di prestare attenzione al momento presente in modo non giudicante. L’efficacia della mindfulness è stata oggetto di indagine empirica dalla fine del 1970 e solo nel 2014 sono stati pubblicati oltre 700 articoli scientifici su questo intervento.
Gli autori inglesi affermano che le evidenze più convincenti riguardano l’efficacia della mindfulness nel trattamento della depressione e dell’ansia. Per esempio, una recente meta-analisi di 36 studi randomizzati sulla riduzione dello stress basato sulla mindfulness, della terapia cognitiva basata sulla mindfulness e di altri intreventi basati sulla mindfulness, ognuno confrontato con un controllo attivo, ha riportato un effect size da piccolo a moderato (d = 0,3-0,38) nel trattamento della depressione o dell’ansia dopo otto settimane di training con la mindfulness, con una riduzione della dimensione dell’effetto (d = 0,22-0,23), a tre e a sei mesi di follow-up.
Alcune evidenze suggeriscono che gli interventi basati sulla mindfulness possono avere un ruolo nel trattamento di altre condizioni psichiatriche, tra cui i disturbi dello spettro della schizofrenia, i disturbi dell’alimentazione e i disturbi da dipendenza (sia chimici e non chimici).
Tuttavia, nonostante il fatto che la mindfulness sia stata recentemente inclusa nelle linee guida pratiche del Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrists come un trattamento non di prima scelta per il disturbo da binge-eating negli adulti, ci sono insufficienti evidenze derivate da studi randomizzati ben disegnati per supportare l’efficacia della mindfulness in condizioni diverse dalla depressione e dall’ansia.
Evidenze stanno emergendo anche sull’efficacia della mindfulness nel trattamento di condizioni somatiche come la psoriasi, il cancro, l’infezione da HIV, la sindrome del colon irritabile, le malattie cardiache, l’ipertensione, le malattie polmonari, il diabete mellito e il dolore cronico.
Gli studi sull’ efficacia della mindfulness
Le evidenze derivate da studi randomizzati suggeriscono che gli interventi basati sulla mindfulness (in particolare la riduzione dello stress basato sulla mindfulness e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness) sono poco o moderatamente efficaci nel trattamento del dolore cronico (d = 0,33) e che hanno possibili applicazioni per il trattamento di disturbi di dolore specifici, come la fibromialgia.
Tuttavia, non è chiaro se l’efficacia della mindfulness è ottenuta da un effetto di riduzione della frequenza e dell’intensità del dolore o semplicemente da un miglioramento della capacità dei pazienti di far fronte al dolore. Gli autori affermano che, con l’eccezione di dolore cronico e dei disturbi di dolore specifici, non vi siano ancora evidenze sufficienti di alta qualità per supportare l’efficacia della mindfulness nel trattamento di condizioni somatiche.
Le questioni non ancora chiarite sull’efficacia della mindfulness, secondo Shonin, Gordon e Griffiths, sono molteplici. In particolare, è possibile che i risultati di questo intervento siano stati influenzati dall’effetto ‘popolarità’ e cioè dalla convinzione dei partecipanti di ricevere una tecnica psicoterapeutica alla moda o di dimostrata efficacia. C’è anche bisogno di una maggiore chiarezza sul fatto che i risultati positivi siano mantenuti nel corso degli anni e non solo per alcuni mesi, se gli interventi di mindfulness abbiano degli effetti negativi e se sia valida la visione tradizionale che le pratiche contemplative richiedano una pratica quotidiana per molti anni per potere ottenere miglioramenti sostenibili per la salute e il benessere. Altri problemi non risolti riguardano il fatto che i vari studi hanno incluso interventi formulati con una notevole variazione di fattori, come la quantità di ore di contatto tra partecipante-facilitatore, la quantità e la durata degli esercizi di mindfulness guidati, l’utilizzo di tecniche psicoterapeutiche non mindfulness (per es. la psicoeducazione o la discussione di gruppo), l’inclusione di un giorno intero di ritiro in silenzio, l’enfasi sull’auto pratica (in genere sostenuto da CD di esercizi di mindfulness guidati), e l’uso di altre tecniche di meditazione (come lo yoga).
Gli autori concludono il loro editoriale affermando che l’efficacia della mindfulness sembra evidente quando bisogna aumentare la distanza percettiva da stimoli psicologici e somatici angoscianti e nel determinare cambiamenti neuroplastici funzionali del cervello. Tuttavia, affermano che lo status di ‘intervento alla moda’ di questa pratica tra l’opinione pubblica e la comunità scientifica può avere oscurato la necessità di esaminare importanti questioni metodologiche e operative riguardanti la reale efficacia della mindfulness.