Il contesto lavorativo e sociale sta cambiando, questo porta con sé sfide nuove e molto diverse da quelle in cui si adoperano lavoratori assunti che occupano il famoso posto fisso.
Si valuta che nel 2020 il 50% della forza lavoro negli USA sarà costituita da liberi professionisti. Se ci guardiamo indietro, invece, nel 1995 solo il 10% dei lavoratori americani era freelancer, non assunto. Cosa significa freelancer? Freelancer è un lanciatore libero, un soldato libero insomma, che combatte la sua battaglia senza un’azienda di riferimento. Nei secoli scorsi si sarebbe detto mercenario, assoldato da un diverso committente ogni volta, che non risponde a nessuno se non a se stesso e alle proprie scelte.
Il contesto lavorativo e sociale sta cambiando, quindi, e questo porta con sé nuove sfide che anche intuitivamente possiamo immaginare molto diverse da quelle in cui si adoperano lavoratori assunti che occupano il famoso posto fisso.
Il burnout, invece, è una sindrome psicologica riferita al soggetto-lavoratore che letteralmente descrive il suo bruciarsi, il fatto di mettere a rischio la propria salute psicologica a causa di un contesto lavorativo invalidante per diverse ragioni (modalità di leadership, richieste dell’ambiente, difficoltà interpersonali con i colleghi, ansia e stress).
Parliamo quindi di una sindrome che può connotarsi con diverse caratteristiche, ma che prende ossigeno dal contesto lavorativo. Va da sé che se il contesto lavorativo è in così grande cambiamento e fermento, sarà da rivedere anche tutta la psicopatologia che ad esso si riferisce. Un recente studio dell’Australian Institute of Business, ad opera della dottoressa Barclay, ha identificato un particolare tipo di burnout, da riferirsi ai lavoratori liberi professionisti che quindi non possono contare su un contratto di dipendenza e sulle garanzie (e i vincoli) che questo comporta.
La ricerca ha compreso una fase bibliografica iniziale di analisi degli studi precedenti, sottolineando la mancanza di letteratura inerente la particolare situazione lavorativa dei freelancer, una raccolta dati attraverso questionari e infine la conduzione di interviste approfondite di un’ora circa ciascuna, interpellando lo stesso campione che aveva risposto ai questionari nella fase precedente.
Da un’analisi qualitativa delle interviste raccolte sono emersi alcuni fattori cruciali nella descrizione da parte dei liberi professionisti della loro sintomatologia legata al burnout. Il primo fattore è il sonno: si va da una generale fatica a spegnere l’interruttore e prendere sonno, alla sensazione di dormire sempre e comunque troppo poco, fino a un pattern intermittente, in cui a un paio di ore di sonno si alternano un paio di ore di veglia.
Il secondo fattore è costituito da tempo e controllo, ma in un senso positivo: la prima ragione per cui gli intervistati hanno deciso di diventare lavoratori autonomi non è il guadagno economico, ma la possibilità di gestire in modo indipendente e flessibile il proprio tempo; di conseguenza, le risposte alle interviste hanno evidenziato un maggiore senso di agency e una maggiore percezione di significato personale che deriva dall’avere il controllo del proprio programma lavorativo.
Un terzo fattore è costituito dallo stress e dalla pressione: mentre gli intervistati hanno fatto fatica a identificare una precisa fonte di stress, hanno definito bene quale fosse la principale area su cui questo si ripercuoteva: la relazione di coppia.
Il quarto fattore è relativo al supporto e all’isolamento, anche in questo caso in un senso positivo: la maggior parte dei freelancer percepiva una buona dose di sostegno e di persone o enti a cui chiedere un supporto e ha riportato la sensazione di isolamento come difficoltà tipica del passato lavoro da dipendente.
Infine, l’ultimo fattore degno di nota ha a che fare con la personalità introversa o estroversa dei rispondenti: mentre i soggetti che si definivano come introversi, coerentemente, hanno anche specificato di preferire lavorare da soli, gli estroversi erano per lo più alla ricerca di partner in affari, o al massimo momentaneamente soli ma in transito da un partner all’altro.
I risultati dei dati raccolti hanno mostrato che i liberi professionisti hanno una percezione fondamentalmente diversa rispetto ai lavoratori dipendenti di alcuni costrutti cruciali per il rischio di burnout. Controllo, tempo, lavoro e supporto sociale. Ne deriva che anche la loro percezione del burnout e di cosa voglia dire bruciarsi lavorativamente parlando sia molto diversa rispetto alla concezione canonica che deriva dalla letteratura finora raccolta: di fronte a questa consapevolezza, anche le strategie gestionali o psicologiche utilizzate per prevenire e alleviare questa sindrome vanno riviste e adattate per questa particolare categoria di lavoratori.
Riassumendo, i dati raccolti dalla Barclay hanno rilevato tre tipi di sintomi relativi al burnout nei freelancer, che si scostano qualitativamente dal burnout rilevato nei dipendenti e riportato nella letteratura: sintomi fisici di esaurimento di risorse, con ricadute in particolare sul sistema immunitario e digerente; affaticamento cerebrale, caratterizzato da poca concentrazione, distraibilità, poca memoria e sensazione di essere mentalmente esausti; mancanza di sfida e iniziativa, con disinteresse nel proprio lavoro una volta raggiunta una soddisfacente stabilità economica.
Al contrario, le dimensioni tipiche identificate dalla letteratura e riferite in particolare al burnout nei lavoratori dipendenti hanno a che fare con l’affaticamento emotivo, la depersonalizzazione e un minore senso di autoefficacia.
Infine, la maggior parte dei soggetti intervistati riportava esperienze di burnout precedenti, nel periodo in cui lavoravano alle dipendenze di qualcun altro, e la carriera da freelancer in questo senso ha rappresentato più una cura a questo burnout, che non una causa.
La Barclay conclude la sua disamina con 5 suggerimenti con cui i freelancer possono prevenire il rischio di burnout:
- Conoscere i propri segnali precoci rispetto al rischio di burnout (sia mentali che fisici)
- Imparare a spegnere il cervello disconnettendolo dal lavoro e intervallando la produttività con l’inattività e il relax
- Bilanciare il proprio lavoro per avere la possibilità di lavorare sia soli che in team
- Definire compiti sulla base delle proprie energie mentali e delle proprie capacità cognitive, ma NON dell’urgenza
- Assecondare i cicli di sonno veglia canonici, senza forzare la mano ai ritmi circadiani