Tra il 1993 e il 1994 vengono realizzate tre pellicole dal regista e sceneggiatore polacco Krzysztof Kieślowski: ‘La trilogia dei colori’. I film: Film Blu, Film Bianco e Film Rosso sono ispirati ai colori della bandiera francese e agli ideali in essi rappresentati: libertà, uguaglianza, fratellanza.
Il film blu concentra la tematica sulla libertà, il film bianco sull’uguaglianza e il film rosso sulla fratellanza. Questi tre film non sono apparentemente legati gli uni agli altri se non nella costituzione finale dei colori della bandiera. Visti singolarmente assolvono tutte le tematiche in essi racchiuse, le storie non rimangono in sospeso, la morale è ben chiara, sono tutti autoconclusivi. Per poter cogliere la grandiosità dell’opera però è necessaria una visione attenta di tutti e tre i film.
Tutti i personaggi sono presenti in tutti e tre i film, si incontrano, intravedono, sfiorano, tutti sono in rapporto con gli altri, tutto è connesso, bisogna solo fare attenzione. Dialoghi e trame scritti dal regista in collaborazione con Krzysztof Piesiewicz inoltre, enfatizzano tale particolarità. Cosa vediamo nei film? Persone diverse in luoghi diversi pensano la stessa cosa, compongono la stessa musica, alcuni addirittura vivono la stessa vita, tutti influenzano in qualche modo il contenuto delle trame, da tutti dipende il tutto.
Il regista osserva la vita, la descrive attraverso le storie di gente comune. Il destino e la volontà, che a mio avviso qui può essere tradotto come acasualità, si intrecciano continuamente.
Kieślowski tratteggia i suoi personaggi, attraverso piccoli segni che poi trovano conferma nelle loro azioni. Dettagli apparentemente insignificanti, sono pensati dal regista in funzione del carattere di questi, secondo il personalissimo stile criptico e conciso. Non baderò ad accennare minimamente le trame, vorrei invece fornire una chiave di lettura particolare che magari porterà ad una più godibile visione del tutto per chi lo vorrà.
L’attenta osservazione delle tre pellicole non ha potuto non farmi pensare alla teoria Junghiana della sincronicità e a come siamo tutti inevitabilmente collegati gli uni agli altri. Cos’è la sincronicità?
Credo si possa spiegare in parole semplici come assenza di casualità nelle cose che si inserisce in uno spazio/tempo aspaziali e atemporali. Ciò che pensiamo possa essere un caso è in realtà accaduto per una forza, un’ energia inconscia collettiva e personale che cerca di portarci là dove dobbiamo arrivare. E’ una sorta di cammino del tutto personale che ci portiamo da generazioni e influenza i nostri pensieri. La nostra vita ci parla attraverso gli oggetti noi parliamo loro attraverso un legame che ignoriamo ma che esiste. (Teodorani M, 2006)
Discente di Freud, Jung si distacca ad un certo punto dalla visione pulsionistica del maestro arrivando alla sua psicologia analitica. Assecondando le sue intuizioni, che trovarono conferma partendo addirittura dalla teoria di Ippocrate secondo la quale l’universo è legato in tutte le sue parti da quelle che lui chiamava affinità nascoste affermando che tutte le cose sono in simpatia e che le coincidenze significative possono essere spiegate come null’altro che elementi simpatetici che si cercano gli uni con gli altri, Jung arriva a concepire la psicologia come una dottrina non rivolta esclusivamente all’ambito della salute mentale.
Nella psicoterapia Junghiana il fine ultimo è la guarigione dell’anima, i suoi studi si rivolgono a tutti, si estendono a tutti, poiché tutti necessitano di arrivare al concepimento e chiarificazione del proprio mondo interno, arrivare quindi al sé, attraverso il processo di Individuazione. Alla teoria di questo processo Jung ci arriva dopo aver affrontato un percorso personale e dopo aver ampliato il campo di azione, se cosi vogliamo dire.
Affascinato e incuriosito infatti dalle diverse discipline scientifiche, tra concetti di inconscio collettivo, archetipi e simbologia dei sogni, inizia una epistolare collaborazione con il Nobel per la Fisica, Pauli e si convince che l’essere umano fa parte di un tutto imprescindibile e arriva a concepire quel processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui distinti dalla generalità, prendendo spunto anche dalla fisica quantistica.
L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale. La necessità dell’individuazione è una necessità naturale, ostacolarla pregiudica l’attività vitale dell’individuo e porterebbe in casi estremi alla psicopatologia. (Jung, 2011)
Dal momento che la sincronicità è la manifestazione di una relazione diretta tra la mente e la materia questo significa che il mondo fisico e il mondo psichico sono interconnessi. Gli eventi sincronici sono manifestazioni in cui i mondi interno ed esterno vengono improvvisamente messi alla luce. La capacità di essere consapevole di queste invisibili leggi e di essere in armonia con esse è alla fine proprio quello che Jung chiamerà processo di individuazione e che prende origine dall’interpretazione degli archetipi e della loro azione attraverso i sogni ed eventi sincronici. Inconscio collettivo e soggettivo alla fine quindi saranno integrati arrivando cosi al sé.
Il parallelismo tra la visione Junghiana dell’uomo e la messa in scena del regista ha un certo fascino e pone una chiave di lettura quindi tutt’altro che banale.
Le pellicole mostrano il viaggio individuale di ogni protagonista attraverso le idee iniziali di fratellanza, uguaglianza e libertà ma nella scena finale del Film Rosso (ultimo) si palesa a mio avviso la chiave di lettura di sincronicità e individuazione. In questa ultima scena sono presenti tutti i protagonisti, unici supersiti di una tragedia, che evidenzia cosa? Null’altro che, a parer mio, solo chi è stato in grado di assecondare il proprio destino, è stato anche poi in grado di salvarsi.
I Film di Kieslowski e in questo caso ‘la trilogia dei colori’, non lasciano nulla al caso, ogni azione e singolo oggetto sono sistemati con criterio e scopi ben precisi, un allegoria continua con la vita che non ha nulla di casuale.