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Psicologia politica: le basi cognitive delle scelte di voto

La psicologia politica studia le basi cognitive del comportamento di voto basandosi sul costrutto dell’atteggiamento come organizzatore della conoscenza.

Di Romina Edith Monteleone

Pubblicato il 13 Gen. 2016

Aggiornato il 05 Lug. 2019 12:44

La psicologia politica, sulle scie delle ricerche svolte nell’ambito della social cognition, ha studiato le basi cognitive del comportamento di voto basandosi sul costrutto dell’ atteggiamento come organizzatore della conoscenza e precursore della scelta di voto.

Romina Edith Monteleone – Open School Studi Cognitivi Milano

In concomitanza con le radici teoriche del cognitivismo, queste ricerche postulano un modello di uomo, quale soggetto attivo, che seleziona ed elabora l’informazione dall’ambiente esterno. Questo filone di ricerca presuppone l’idea di un uomo come economizzatore cognitivo – Cognitve miser – (Redwask, 2004). La social cognition mette l’accento soprattutto sui processi di conoscenza, ovvero sulle modalità di elaborazione della conoscenza in ambito sociale: codifica, organizzazione e recupero.

Lo studio della struttura della conoscenza politica, secondo Mc Graw (2000), può essere diviso in due filoni: quelli che si occupano della struttura in termini di rappresentazioni mentali e quelli che si focalizzano nella struttura in termini di processo (information-processing). In ogni modo, questa divisione è solo teorica perché entrambi formano parte dell’organizzazione della conoscenza:

…The procedural contributions receive more attention…..To some extent , the “structure vs process” distinction is artificial; both are often jointly considered in the same project; as they are both necessary for a full understanding or political thinking.

Mc Graw (2000) pagina 810.

Ruswell, Fazio & Petty (2006) propongono di concepire gli atteggiamenti politici come una struttura cognitiva costituita dai legami in memoria fra la rappresentazione di un oggetto e la sua valutazione. L’atteggiamento viene stabilito come una struttura che filtra la percezione e l’interpretazione della situazione, orientando la conoscenza verso l’azione. Questi procedimenti sono regolati in base al livello di accessibilità (accessibility) ovvero alla facilità o difficoltà di richiamare alla memoria questo legame quando l’individuo si trova di fronte all’oggetto.

Gli atteggiamenti accessibili orientano la categorizzazione degli stimoli. Uno stimolo può essere categorizzato secondo diversi criteri in diverse categorie. A seconda della categoria, lo stimolo assume una connotazione valutativa: se la valutazione di un attributo è altamente accessibile, lo stimolo sarà categorizzato secondo quel preciso attributo e non su altri (Cavazza, 2005). Di contro, di fronte ad una scelta fra alternative (atteggiamento ambivalente), se l’individuo non dispone di un atteggiamento accessibile in memoria con cui confrontarlo, sarà costretto a formarsi una rappresentazione dello stimolo che sarà ampiamente influenzata dalle caratteristiche salienti in quel momento ed in quel contesto (frame) .

Rudolph & Popp (2007) analizzano le determinanti degli atteggiamenti ambivalenti verso i partiti politici ed i candidati. Il lavoro degli autori parte dalla critica del Modello HSM – il Heuristic Systemtic Model- (Chaiken & Egly, 1999; in Rudolph & Popp 2007) che presuppone che l’ambivalenza sia prodotta dai procedimenti euristici, caratterizzati da basso impegno cognitivo, a detrimento di processi cognitivi più elaborati che genererebbero atteggiamenti polarizzati (univalenti). Gli autori, di contro, postulano che il grado di ambivalenza è correlato allo sforzo cognitivo che l’individuo realizza durante l’ information process: a maggior impegno, maggior ambivalenza.

I risultati suggeriscono che la partecipazione politica modera l’impegno cognitivo. Il modello dell’ ambivalenza proposto inoltre ipotizza che i soggetti sono situati su in continuum psicologico: da una parte gli elettori univalenti (univalent citizens) che esprimono un atteggiamento unilaterale verso i partiti/candidati. Nell’ estremo opposto si trovano gli individui che hanno un atteggiamento polivalente verso i soggetti politici.

Secondo Rudolph & Popp (2007), l’interesse che gli studiosi dedicano a questo aspetto, può essere dovuto al fatto che gli atteggiamenti ambivalenti assolvono funzioni diverse rispetto a quelli monovalente. Dal punto di vista cognitivo, l’alta ambivalenza si associa prevalentemente a scarsa accessibilità, moderazione e scarsa certezza. Questa costellazione di caratteristiche fa si che l’atteggiamento bivalente non sia molto funzionale ad orientare la conoscenza ed il comportamento di voto. In questo elaborato, di contro, noi sosteniamo che questo genere di atteggiamenti servano a rafforzare una azione prosociale. A supporto delle nostre asserzioni:

A nostro avviso diversi indizi fanno propendere per l’ipotesi secondo la quale questo genere di atteggiamenti servono ad una funzione adattativa, proprio grazie la loro flessibilità strutturale che consente alle persone di esprimere la propria posizione enfatizzando quella componente che meglio si accorda con il contesto normativo specifico, senza per questo sentirsi incoerenti…

 in Cavazza (2005) pagina 53-54.

Per fare un esempio pensiamo a due militanti (A e B) che si trovano in un’assemblea a discutere con un gruppo tutti d’accordo nel rifiutare un dato provvedimento del partito.

Poniamo il caso che il militante A abbia un atteggiamento nettamente positivo su tale provvedimento, mentre il militante B possa avere un atteggiamento ambivalente. Il militante A ha diverse possibilità di azione: affermare il suo punto di vista nettamente minoritario in quel contesto, immettendo il conflitto nella discussione, tacere, sopportando la frustrazione di non aver espresso la propria posizione, o addirittura mentire, ed esprimersi in accordo con gli altri, favorendo l’insorgere di una tensione emotiva propria della dissonanza cognitiva (penso una cosa e ne faccio un’altra). Invece per il militante B, la situazione è più semplice: egli potrà esprimere con particolare enfasi gli aspetti negativi sia positivi che associa a quel provvedimento, senza che tutto ciò rifletta, in modo rilevante, sul concetto di sé ed altri costrutti psicologici (autoefficacia, e cosi via).

Nelle ricerche di Cavazza & Buttera (2003), (in Cavazza, 2005), si osserva che il cambiamento dell’atteggiamento ambivalente dipende della percezione della normatività del messaggio persuasivo, per esempio, le persone ambivalenti nei confronti delle politiche di welfare si esprimono maggiormente in accordo con la posizione sostenuta dalla maggioranza rispetto le persone non ambivalenti.

In conclusione, abbiamo visto come la psicologia cognitiva e le ricerche nell’ambito della social cognition, abbiano prodotto una quantità significativa di teorie sull’atteggiamento come costrutto cardine nello studio del comportamento del voto. Gli atteggiamenti politici guidano il soggetto verso un determinato candidato. Per ultimo, le teorie sull’atteggiamento ambivalente assumano una rilevanza fondamentale nella costruzione delle campagne elettorali poiché gli indizi di flessibilità cognitiva che ci fanno propendere per un’ipotesi (scelta del candidato) esprimono una vulnerabilità al cambiamento che può essere facilmente manipolata tramite l’esposizione ad una comunicazione persuasiva ( Caprara, 2007).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Caprara G.V (2007) Politici ed elettori: Psicologia delle scelte di voto, Giunti, Firenze.
  • Cavazza N (2005) Psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni, Il Mulino, Bologna.
  • McGraw K .(2000) Contributions of the Cognitive Approach to Political Psychology, in Political Psychology Volume 21 Issue 4 pp. 805-832.
  • Redlawsk D (2004) What Voters do: Information Search during election campaigns, in Political Psychology Volume 25 Issue 4 pp. 595-610.
  • Rudolph T, Popp E. (2007) An Information Processing Theory of Ambivalence, in Political Psychology Volume 28 Issue 5 pp. 563-585.
  • Ruswell H, Fazio R, Petty E. (2006) Attitudes: Their Structure, Function and Consequences, Psychology Press, New York.
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