Guido Veronese
‘Counseling e psicoterapia con arabi e musulmani’ è un libro attento alle differenze e alle esigenze pratiche, grounded, che un operatore arabo immerso in un contesto occidentale si trova quotidianamente ad affrontare nel trattamento di individui, gruppi e famiglie di etnia arabo-palestinese in Israele.
Israele è crocevia di culture, di lingue, di etnie che non si fondono, enclave altamente segregate ove le minoranze, spesso discriminate, faticano ad armonizzare con il contesto maggioritario di matrice europea, moderno ed efficiente, certamente eurocentrico. In questo sfondo si delinea il lavoro terapeutico di Marwan Dairy, terapista operante sulla popolazione di lingua araba residente in Galilea, Nazareth e di origine palestinese.
‘Counseling e psicoterapia con arabi e musulmani’, la cui traduzione italiana è curata da Alfredo Ancora, tradotta da Ala Yassin, psicologo e mediatore interculturale di origine israelo-palestinese, laureato e residente a Padova ed edito da Franco Angeli, è un libro attento alle differenze e alle esigenze pratiche, grounded , che un operatore arabo immerso in un contesto occidentale si trova quotidianamente ad affrontare nel trattamento di individui, gruppi e famiglie di etnia arabo-palestinese in Israele. Il risultato è un libro piacevole, di facile lettura anche ai non addetti ai lavori e di utilità pratica per chi si spende nella relazione di aiuto in ambito interculturale.
Diversità e barriere culturali, differenze religiose costituiscono vincolo, ma possono diventare risorsa. L’autore racconta la propria esperienza multiculturale alle prese con pazienti ebrei, musulmani, cristiani e appartenenti alla minoranza etnico-religiosa drusa. Il concetto di positioning, di posizionamento e di ri-posizionamento del terapeuta in continua interazione con la diversità, costituisce una chiave di lettura efficace per entrare nel mondo di significati peculiare di clienti appartenenti a diverse culture.
Collettivismo versus individualismo, religione versus laicità, sistemi di cura tradizionali e modernità sono poli semantici entro cui chiunque si trovi a lavorare in ambito interculturale deve continuamente e interattivamente comporsi per garantire efficacia al proprio intervento, tanto in chiave psicoterapeutica quanto formativa. Vengono dettagliatamente analizzati stereotipi e pregiudizi con i quali i terapeuti occidentali debbono inevitabilmente confrontarsi nell’incontro con il paziente musulmano e strumenti idonei alla diagnosi e cura di un tale paziente. Il libro potrebbe essere erroneamente tacciato di ecclettismo, se nonché a modellizzare la serie di tecniche mostrate viene in aiuto un approccio di matrice narrativa capace di attribuire coerenza e originalità all’intervento proposto. Anche derive di tipo orientalista sono controllate da un’attenzione evidence based che conferisce rigore e serietà agli interventi.
Si tratta della sintesi di 25 anni di lavoro dell’autore in ambito clinico e in psicologia dell’educazione e medica. Termini come Sè, attualizzazione, ego appaiono del tutto estranei al senso comune arabo, e incomprensibili nel lavoro terapeutico dove trovano maggiore spazio le aspettative e l’approvazione altrui, desiderabilità sociale e approvazione familiare. Nella conversazione con il cliente arabo, il compito di distinguere tra esigenze personali del cliente, le sue opinioni, i suoi atteggiamenti e quelli della famiglia è compito arduo se non impossibile. La rideclinazione collettivista di pratiche occidentali orientate all’individuo costituisce lo sforzo più genuino ed interessante dell’autore, a volte un po’ forzata nel nobile sforzo di adattamento dei modelli psicologici dominanti. Il lettore più esperto potrebbe, infatti, chiedersi se proprio sia sempre necessario e dovuto questo sforzo di integrazione. Probabilmente, in un contesto occidentalizzato come quello israeliano questo sforzo è dovuto, ma sorgono dubbi che sempre sia possibile. L’autore volutamente, e onestamente, dichiara di non voler entrare nei sistemi di cura tradizionale e dichiara tutto il suo credo verso l’efficacia dei modelli psicologici dominanti in Occidente.
Nella prima parte del testo l’autore incornicia alcuni aspetti storico-culturali e demografici della presenza musulmana in Occidente, aiutando a contestualizzare. La seconda parte si occupa di una revisione culturalmente sensibile delle teorie dello sviluppo e della personalità, dei processi di valutazione psicologica e della psicopatologia, nonché del counseling e della psicoterapia nel mondo arabo musulmano. Khawla Abu Baker, terapeuta familiare e coniuge dell’autore ha contribuito alla stesura di questi capitoli, portando la sua esperienza in Israele e Palestina. Il libro descrive alcune caratteristiche psico-culturali di base di Arabi e Musulmani mettendo in guardia da possibili errori e banalizzazioni generalizzanti.
Nello specifico due errori che Hare-Mustin e Marecek (1988) delineano nel dibattito sulle differenze di genere vengono discussi: i cosidetti errori alfa beta. L’errore alfa, trasferito alle discussioni sull’interculturalità, descrive un’ipervalutazione delle differenze esistenti fra le culture. Differenze psico-culturali rilevabili in alcune caratteristiche emotivo, cognitivo e comportamentali di gruppi diversi non escludono, d’altro canto, la presenza di queste stesse caratteristiche in altre culture, né l’esistenza di alcune caratteristiche umane condivisibili universalmente. Le caratteristiche culturali sono sempre relative, mai assolute, se aspetti di autoritarismo-collettivismo sono rintracciabili in culture di matrice arabo-musulmana, ciò non toglie che questi stessi aspetti possano essere presenti in altre culture.
L’errore di tipo beta è di tipo implogenetico, annulla e elimina le differenze, negandole. Una sorta di color blindness fra culture, in nome di un’universale e poco realistica eguaglianza. Un terzo errore, più facilmente percorribile, è quello che vede prevalere il pregiudizio e le generalizzazioni, per evitare tale bias è bene che peculiarità e ridondanze tra culture vengano pensate come caratteristiche ineludibili embricate le une nelle altre. A partire dal 2001 fino ai più recenti fatti di Parigi, la strage a Charlie Hebdo e Bataclan, l’immagine di Islam e arabi è stata profondamente distorta, un libro come quello di Marwan Dairy, ci aiuta a rileggere pregiudizi e stereotipi, a promuovere la salute mentale globale al di là delle differenze, affinando le sensibilità di quegli operatori che si trovino a lavorare con la popolazione araba nello specifico, con le diversità più in generale.
Il libro si compone di tre scorrevoli sezioni, scritte con un linguaggio semplice e fruibile anche ai lettori non esperti. La prima parte ci parla di eredità Psico-culturale, con un’introduzione storico culturale del mondo musulmano per i nostri operatori, l’autore pone l’accento sulle caratteristiche collettiviste e autoritarie delle norme comportamentali e sociali delle società arabo/musulmane. La lettura della sezione può aiutare il professionista ad aumentare la propria consapevolezza del mondo musulmano per una migliore comprensione del cliente, nelle sue forme comportamentali ed emotive.
Nel capitolo tre si entra nel dettaglio della descrizione del migrante musulmano in costante confronto tra tradizionalismo arabo e individualismo delle società moderne occidentali, orientato verso l’uno o l’altro polo a seconda del livello di acculturazione e assimilazione del cliente al mondo occidentale. L’azione terapeutica richiede un attento assessment del grado di occidentalizzazione del cliente arabo musulmano.
Nella seconda parte si tratta di sviluppo psico-sociale e personalità nelle società collettiviste, e di come essi siano influenzati ancora una volta da processi globali occidentalizzanti. Il lettore è accompagnato nella rilettura di alcuni pregiudizi teoretici di matrice occidentale che rischierebbero di patologizzare erroneamente alcune delle reazioni emozionali, attitudinali e comportamentali del cliente musulmano. Spinte all’autonomia, distinzione mente corpo e tra individuo e famiglia sono costrutti che devono essere decostruiti e ricostruiti in un contesto arabo-musulmano. L’autore si sofferma sulla necessità di costruire nuovi strumenti, non solo adattando quelli a noi noti, per isolare dimensioni culturalmente sensibili, come potrebbe essere il livello di individuazione, capaci di orientare il benessere della persona sia essa patologica o non patologica.
La terza parte descrive il lavoro terapeutico con musulmani in US e in Occidente. Interessante come l’autore, muovendo dalle considerazioni emerse nei capitoli precedenti, delinei un paradigma costruttivista e strutturale di terapia familiare, in cui rieccheggiano, purtroppo senza citarle, le voci dei pionieri delle TF e sistemiche in contrapposizione allo strapotere dell’inconscio, che l’autore definisce pericoloso nel gestire la sofferenza di un paziente arabo a rischio di giudizio sociale qualora i desideri inconsci emergano alla coscienza.
La parte conclusiva ribadisce i rischi dell’indossare lenti occidentali nel lavoro terapeutico con il paziente arabo, rischi di incomprensione da parte del terapeuta e di disinvestimento nel paziente arabo. Il paziente musulmano è diviso tra tradizione e modernità, l’intervento, dunque, vieppiù si delinea case sensitive. Il lavoro sui tratti individuali deve essere ricondotto a un controllo esterno sociale e familiare. In un’epoca globalizzante, l’attenzione alla cultura in campo terapeutico ci aiuta a ripensare al locale e alla violenta spinta colonizzante di molti dei nostri modelli di cura. Approcciare con mente aperta la salute mentale del cliente musulmano, aiuta l’operatore a promuovere culture della reciproca conoscenza, dell’empatia, dei diritti umani e dell’universalizzazione del genere umano, in un epoca di contrapposizioni, di scontro e guerra tra religioni e civiltà. Da leggere.