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L’utilizzo dell’EMDR nel trattamento di sintomi depressivi e da PTSD in un campione di profughi siriani

Una recente ricerca conferma l’efficacia dell'EMDR nel trattamento dei sintomi depressivi e dei sintomi da PTSD in un campione di profughi siriani adulti.

Di Claudio Nuzzo

Pubblicato il 27 Nov. 2015

Aggiornato il 14 Dic. 2015 11:25

 

Gli eventi che di sovente si accompagnano allo status di profugo predispongono la persona ad un rischio più elevato di sviluppare dei traumi. Inoltre, l’effetto combinato degli eventi stressanti e delle preoccupazioni rivolte al futuro, si sostanzia in un maggiore rischio di sviluppare depressione.

Secondo la United Nations High Commission for Refugees (UNHCR) nel 2012 si registravano a livello mondiale oltre 15.4 milioni di profughi. Negli ultimi due anni il conflitto in Siria ha costretto molte persone a lasciare le proprie abitazioni per fuggire alla ricerca di un luogo sicuro. Così, secondo le stime della UNHCR, nel 2013 si contavano oltre 2 milioni e 800 mila profughi siriani.

Gli eventi che di sovente si accompagnano allo status di profugo (i.e: rischio di morire, tortura, fame, scomparsa dei propri familiari ed amici, etc.) predispongono la persona ad un rischio più elevato di sviluppare dei traumi. Inoltre, l’effetto combinato degli eventi stressanti protratti nel tempo e delle preoccupazioni rivolte al futuro, si sostanzia in un maggiore rischio di sviluppare depressione, disturbi d’ansia ed in particolare disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

A sostegno di tale tesi, uno studio svolto su un campione di profughi cambogiani reclutati tra Thailandia e Cambogia, riscontrò un’incidenza superiore al 55% di depressione del 15% di PTSD. Una delle priorità all’interno del campo della psicologia delle emergenze, è salvaguardare la salute mentale e migliorare la qualità di vita dei profughi.

Tra le tecniche per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress, in accordo con le linee guida NICE (2005), l’EMDR (eye movement desensitization and reprocessing) ha prodotto ottimi risultati. Tale tecnica prevede la rievocazione da parte del paziente di ricordi traumatici contemporaneamente al movimento orizzontale degli occhi, che seguono uno stimolo in movimento (i.e: le dita del terapeuta) (Shapiro, 2001).

Sulla base di tali premesse, il team di Acarturk e colleghi (2015) ha indagato l’efficacia clinica dell’EMDR su di un campione di profughi siriani adulti (età compresa tra 19-63 anni), che al momento della valutazione non avevano mostrato ritardo mentale e che non stavano assumendo psicofarmaci. Così, 29 partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo sperimentale (trattamento EMDR) o al gruppo di controllo. Il gruppo sperimentale riceveva una media di 4.13 sedute EMDR della durata di circa 90min l’una, dove inizialmente il partecipante raccontava la propria esperienza di fuga dalla Siria ed in seguito era invitato a selezionare un ricordo traumatico target su cui svolgere, appunto, l’EMDR. Nello specifico, il ricordo era rievocato per circa 30 secondi e, durante tale intervallo, il paziente seguiva il movimento delle dita del terapeuta che si spostavano da destra a sinistra all’interno del campo visivo del paziente stesso; tale procedura era svolta fino a che il soggetto riportava uno stato di distress associato al ricordo target minimo.

Al termine dello studio, il gruppo sperimentale evidenziò una riduzione significativa di sintomi del PTSD (p <0.001), risultato che si manteneva a distanza di un mese dalla conclusione della ricerca. Anche i sintomi depressivi evidenziarono una riduzione significativa (p = 0.004) esclusivamente nel gruppo sperimentale.

In conclusione, quindi, tale ricerca conferma l’efficacia del trattamento EMDR dei sintomi del PTSD e depressivi in un campione di profughi siriani adulti. Tuttavia, sebbene condotto come randomized controlled trial (RCT) e quindi decisamente valevole sul piano sperimentale, tale studio non è esente da limiti, ad esempio la ridotta numerosità del campione. Le ricerche future, quindi, avranno l’onere di indagare in nuovi e più estesi campioni l’efficacia clinica dell’EMDR.

Comprese quindi le condizioni critiche alle quali i profughi sono esposti e il derivante incremento del rischio di patologie psichiatriche, risulta necessario individuare le tecniche psicoterapeutiche più adatte ad intervenire a livello clinico su questo tipo di pazienti. E’ tuttavia bene sottolineare che permangono delle difficoltà insite nel sapere culturale del popolo siriano che rendono difficile il trattamento clinico dei profughi. Un esempio potrebbe essere la sfiducia nutrita per la psicologia clinica e il conseguente timore di incorrere con più probabilità nel disturbo mentale qualora si prenda parte a delle sedute con un terapeuta (Acarturk et al., 2015).

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