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Ernst Jünger (2015) a cura di Luigi Iannone – Recensione

Luigi Iannone ha curato un libro sulla controversa figura di Ernst Jünger, romanziere e saggista appartenente alla cosiddetta rivoluzione conservatrice.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Ott. 2015

Luigi Iannone ha curato un libro collettivo sulla controversa figura di Ernst Jünger, romanziere e saggista tedesco appartenente alla cosiddetta rivoluzione conservatrice.

Luigi Iannone ha curato un libro collettivo sulla controversa figura di Ernst Jünger, romanziere e saggista tedesco appartenente alla cosiddetta rivoluzione conservatrice (konservative revolution), termine coniato da Hugo von Hoffmanstahl per denominare quella corrente di pensiero che in Germania, dopo la sconfitta della prima guerra mondiale, rifiutò la svolta democratica della repubblica di Weimar e aspirò a rifondare lo stato tedesco su una base fortemente identitaria e a criticare aspramente il sistema parlamentare e democratico, ritenuto servo del capitalismo e della visione economicistica del mondo.

La principale perplessità rivolta contro questa corrente intellettuale è il sospetto che essa abbia fornito terreno di coltura al nazismo che si svilupperà pochi anni dopo. Ed è vero che alcuni esponenti aderirono al nazismo, come Carl Schmitt. Altri però si astennero, come Gottfried Benn, o si opposero, come Thomas Mann. Del resto, basti dire che Hugo von Hoffmanstahl, il coniatore del termine konservative revolution, fosse di discendenza ebraica.

Tra coloro che si astennero dall’aderire al nazismo, sia pure senza mai davvero opporsi, c’era anche Ernst Jünger. Emerse giovanissimo alla notorietà letteraria con Nelle tempeste d’acciaio (In Stahlgewittern), versione romanzata della sua esperienza di trincea nella guerra mondiale. Il romanzo fornisce una descrizione terribile ed eroica della guerra, lontana dalla sensibilità pacifista contemporanea. Jünger sembra immune da ogni rigetto della guerra, anche di quella meccanizzata e disumana moderna e che sembrerebbe al di là di ogni possibile processo di eroicizzazione. Jünger in qualche modo ci riesce grazie alla forza dello stile, anche se l’operazione lascia perplessi noi, immersi nel nostro tempo che giustamente non riesce a credere nell’onestà dell’eroismo guerriero.

Un autore del genere può sembrarci superato, e in parte lo è. Ma non dimentichiamo che Jünger, come altri della konservative revolution, è un figlio di Nietzsche, il quale è anch’esso padre di questa nostra modernità disincantata e senza Dio. Come Nietzsche, anche Jünger va al di là del bene e del male e pone in dubbio l’esistenza di un organo psichico che ci informi intuitivamente della moralità dei nostri atti. La legge morale non è un’intuizione interiore kantiana. Essa semmai è un istinto come un altro, non particolarmente privilegiato e che produce una pluralità di valori morali, tra i quali Jünger –almeno all’inizio del suo percorso- pone al centro l’individuo eroico.

L’obiettivo è il reincanto del mondo, il ritorno a una significatività spontanea ed emotiva dell’esistenza che superi l’utilitarismo economico e razionalistico dell’illuminismo. In questo percorso Jünger è contraddittorio, oscillando tra un superomismo individualistico e suggestioni collettivistiche quasi marxiste. A un certo punto egli giunge a vagheggiare una sorta di operaio capace di svolgere la sua missione di lavoratore con la dedizione del monaco e l’abnegazione dell’asceta. In altri momenti Jünger si rivolge al mondo contadino, come nel suo libro di viaggio in Sardegna e ancora in altri momenti sembra cercare rifugio nelle droghe, illusorio viatico per una dimensione superiore.

Iannone e i suoi collaboratori illustrano bene queste molteplici facce di questo pensatore contradittorio e poco sistematico, così tipicamente tardo-tedesco nello sviluppo rapsodico e asistematico del suo pensiero. Probabilmente la scarsa cura per la coerenza è quello che ha salvato Jünger dall’adesione al nazismo, oltre che per una nativa capacità di distanziarsi dal male, capacità che ha salvato Jünger malgrado tutte le sue nicciane aspirazioni ad andare oltre le barriere etiche.

Allo psicologo studiare Ernst Jünger può essere di aiuto per comprendere un tassello del clima culturale in cui crebbe anche Gustav Jung. I due autori hanno molto in comune. La fascinazione nicciana per le parti di ombra della personalità, per gli stati di coscienza alterati, per certe forme di sapienza iniziatica ed esoterica. Hanno in comune anche certe ambiguità iniziali nel rapporto con il nazismo. Insieme, Jung e Jünger hanno rappresentato la parabola infine perdente di una forma di modernità alternativa rispetto a quella liberale e capitalistica anglo-americana. Un’impossibile rivoluzione conservatrice.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Iannone, L. (a cura di) (2015). Ernst Jünger. Chieti, Solfanelli.
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