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Il problema della dipendenza, del craving e dell’overdose nel film “Radiofreccia” – Cinema & Psicologia

Nel film viene affrontato il tema delle dipendenze da sostanze stupefacenti, del craving e della possibile morte per overdose - Cinema & Psicologia

Di Manuela Agostini

Pubblicato il 22 Ott. 2015

Ma cos’è la dipendenza? È la condotta legata all’uso distorto di una sostanza, un oggetto o comportamento, caratterizzata da incoercibilità e modalità ripetute e compulsive.

Era il 16 ottobre 1998 e usciva nei cinema “Radiofreccia” di Luciano Ligabue. All’epoca Luciano Ligabue era un cantante di Correggio che, per la prima volta, si stava cimentando come regista, raccontando la storia di un gruppo di ragazzi di una piccola provincia emiliana, alla fine degli anni settanta. Il film, ispirato al libro “Fuori e dentro il borgo” dello stesso regista, è autobiografico.

La maggior parte dei telespettatori, me compresa, andò a vedere il film senza particolari aspettative, con uno stato d’animo leggero, ridendo e scherzando mentre faceva la fila al cinema. “E’ il film di Liga”, si pensava, senza badare troppo alla trama, canticchiando “ Ho perso le parole…” e commentando il fascino di un giovane Stefano Accorsi che compariva col suo bel profilo nei cartelloni. Contro ogni aspettativa, Radiofreccia vinse tre David di Donatello, due Nastri D’Argento e quattro Ciak D’Oro.

Nel cast, oltre al già nominato Stefano Accorsi nella parte di Ivan Benassi, detto Freccia, c’erano attori e personaggi conosciuti e sconosciuti: da Serena Grandi a Francesco Guccini. Il film inizia con l’ultima messa in onda di “Radiofreccia”, nome dato ad un’emittente libera creata da Bruno, un amico di Freccia. Era il periodo delle cosiddette “Radio libere”. L’escamotage che Liga usa per parlarne è la domanda del cinico barista di provincia Adolfo, interpretato da Francesco Guccini, che risponde a Bruno servendo un perfetto asset: “Libere da cosa?” La risposta di Bruno è evasiva, ancora incerta – per lui l’avventura in radio era solo all’inizio. “Libere”, rimanendo volutamente evasivo quasi a sottolineare un mood presente in tutto il film: quell’idea di libertà -e di liberazione- di quegli anni ’70, diversi da tutte le altre epoche.

Bruno è anche la voce narrante del film, quello che deciderà di non far diventare maggiorenne la Radio, spegnendo il segnale un minuto prima del compimento del diciottesimo anno di trasmissione. A chi gli chiede il perché, risponde: “Perché è ora”. Bruno racconta in prima persona la storia di Freccia attraverso la storia di una radio, di un gruppo di amici di una provincia italiana degli anni ’70. Offre un’istantanea su un’epoca, sulle aspettative di un gruppo di giovani, sulle abitudini dei vecchi, dei fantasmi e della morte di Freccia per overdose, in onore del quale cambierà il nome alla sua radio: da Radio Raptus a Radio Freccia. Erano gli anni settanta, l’eroina e le sue conseguenze non si conoscevano ancora troppo bene, la leggerezza nel voler colmare i “buchi grossi” con l’utilizzo di sostanze psicoattive la faceva da padrona. In modo molto semplice, il film tocca tutti gli elementi chiave della dipendenza, senza troppo appesantirne il carico e attraverso le parole di un dialogo in particolare tra Freccia e Bruno. Tra i più significativi:

Io mi sono lasciato cominciare. È stata una tipa a farmi provare. A me non sarebbe mai venuto in mente di infilarmi un ago in vena… quella volta più che chiedermi perché, mi sono chiesto perché no“.

Sulla dipendenza, il craving e il ritiro sociale, Freccia dice: «Quella volta lì, (la prima) bellissimo. È arrivata una gran botta e sono sparite di colpo tutte le sciocchezze. Un gran calore e poi… e poi come tanti orgasmi tutti insieme: lungo la schiena, sulle gambe, dappertutto»

Bruno: «E poi?»

Freccia: «E poi ho fatto come fanno tutti. Mi sono detto: mi buco ancora una volta o due, tanto poi smetto come mi pare»

Bruno: «È andata così?»

Freccia: «No, mi sa che non va mai così. Io, almeno, dopo un paio di volte, c’ero già dentro».

Bruno: «Cioè?»

Freccia: «Vuol dire che vuoi sempre di più. E più te ne fai, più te ne serve. E allora è facile mandare all’aria tutto»

Bruno: «Cioè?»

Freccia: «Cioè… cioè devi rubare, hai capito? Perché non te la regala nessuno. Comunque dopo un po’ smette anche di darti piacere… però stai male se non ti buchi e allora… allora ti fai solo per essere normale. Comunque alla fine diventa una cosa tra te e lei. Tutto il resto non conta più niente»

Sulla disintossicazione fisica e apparentemente mentale Bruno chiede: «Come sei riuscito a smettere?»

Freccia: «Cagandomi addosso… cagandomi addosso con lo stomaco che si spaccava e il cuore a mille. Gran botte di caldo e poi di freddo… e una gran paura di morire di dolore. Ho passato dieci giorni in un letto che continuavo a sporcare e che una persona continuava a pulire. Se non era per lei, sicuramente non ne venivo fuori. Però sai… non so se posso dire di aver proprio smesso. Cioè, sì… da qualche mese non mi faccio più, però… forse è meglio se non ci penso troppo».

Ma cos’è la dipendenza? È la condotta legata all’uso distorto di una sostanza, un oggetto o comportamento, caratterizzata da incoercibilità e modalità ripetute e compulsive. Diverse teorie legate alla psicopatologia delle dipendenze cercano di spiegare la motivazione di un primo contatto: 1. Predisposizione a condotte “novelty-seeking”/”risk-taking”; 2. Atteggiamento culturale o “etnico”; 3. Disponibilità della sostanza; 4. Effetto di rinforzo rispetto a gruppi sociali (peer pressure); 5. Automedicazione o trattamento prescritto.

Detto questo, qualsiasi motivo possa spingere un soggetto a far uso di una determinata sostanza, l’assunzione della stessa mette in moto meccanismi predeterminati a livello del circuito di reward che partono con un incremento meso-limbico e meso-corticale di dopamina. Questo cosa vuol dire? Le sostanze cosiddette d’abuso hanno in comune questo rilascio di dopamina nella parte “inferiore” del cervello (mesencefalo) e in alcune aree frontali del cervello “superiore”. Il rilascio di dopamina funziona come un segnale, che ha come conseguenza la fissazione di una memoria: la sostanza “mi ha fatto stare bene” merita di essere riutilizzata. Tutte le diverse sostanze psicoattive sebbene abbiano diversi interruttori cerebrali hanno in comune due cose quindi: 1)Sensazione di piacere ed euforia; 2)La fissazione del desiderio nella memoria che sfocia nel comportamento di ricerca ossessiva, che crea il cosiddetto rinforzo. Memoria e rinforzo sono gli elementi chiave della dipendenza e da qui scivoliamo nel craving, un termine che non indica altro che il desiderio ossessivo di assumere la sostanza.

Tra le conseguenze nell’assunzione cronica di sostanze psicoattive troviamo: Impoverimento delle funzioni cognitive superiori; Alterazioni dello stato di coscienza; Psicosi; Disturbi dell’Umore e dell’Affettività in generale; Suicidio; Disturbi ed Alterazioni della Personalità; Disturbi della Sfera Sessuale; Altre Complicanze Mediche.

Freccia è morto per overdose, ma cosa significa? Il termine overdose indica non altro che un’ assunzione eccessiva di una certa sostanza. A seconda della droga utilizzata la morte per overdose è diversa, non volendo entrare troppo nello specifico possiamo ad esempio avere overdose da cocaina che si manifesta con: 1) Rapidità di insorgenza 2) Convulsioni tonico-cloniche 3) Arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare (Il decesso per intossicazione può essere scambiato per un “attacco cardiaco”e bisogna ricercare nel sangue la cocaina). Oppure l’overdose avviene per l’assunzione di eroina, è quella più conosciuta ed è il caso di Freccia, qui descritta nella forma acuta come “sovradosaggio accidentale o intenzionale, o per nuova assunzione dopo un periodo di astinenza prolungata, in cui l’organismo ha ridotto la tolleranza (Si verifica quando una data dose di sostanza, dopo somministrazioni ripetute, produce un effetto minore di quello ottenuto alla prima somministrazione).

La sindrome da overdose è specifica e inconfondibile, diagnosticabile dalla presenza di tre sintomi: 1)Miosi; 2)respirazione ridotta o assente; 3)coma.

Questo 1977 è un gran casino. C’è un gran movimento in giro. Non so dire se è bello o brutto, però è veloce. C’è il movimento studentesco, ci sono le radio libere. Ci sono i genitori che sono sempre più come tu giuri non sarai mai. Ci sono le utopie, le religioni. E ci sono appunto quelli che non si lasciano stare” quelli che non si lasciano stare non si sono estinti alla fine degli anni settanta, c’erano prima e ci sono oggi, non sono alieni. La droga, le dipendenze in generale, riguardano tutti. Credo sia indispensabile insegnare ai nostri figli che certe cose non si vedono solo nei film e che come dice Bonanza: [blockquote style=”1″]La vita non è perfetta, le vite nei film sono perfette, belle o brutte, ma perfette, nei film non ci sono tempi morti, la vita è piena di tempi morti, nei film sai sempre come va a finire, nella vita non lo sai mai! [/blockquote]

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Manuela Agostini
Manuela Agostini

Dott.ssa in Psicologia della salute clinica e di comunità

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