Negli ultimi anni associazioni, giornali e ricercatori hanno documentato il problema del calo delle adozioni internazionali. Si è di fronte quindi ad un fenomeno sociale importante da riconoscere e soprattutto da valutare.
Dal 2010, anno in cui si è registrato l’ultimo trend positivo nell’adozione internazionale, si è assistito ad una diminuzione del 30% degli ingressi dei minori (Cai 2013, report statistico). A livello internazionale il calo delle adozione raggiunge cifre importanti che superano il 50%. Si è di fronte quindi ad un fenomeno sociale che è importante riconoscere e soprattutto valutare.
Le associazioni e i giornali riportano come motivazione la crisi economica del nostro paese, i costi delle adozioni internazionali, un percorso di valutazione della coppia vissuto in modo eccessivamente intrusivo, l’età dei bambini che si attesta attorno ad una media dei 5,5 anni e l’alta presenza di bambini con special needs.
Sicuramente tutti questi fattori hanno contribuito al calo delle adozioni, ma non sono gli unici responsabili di questo fenomeno: infatti, in gioco non c’è semplicemente la valutazione di situazioni che rendono complessa l’adozione, ma la scelta stessa dell’adozione e, quindi, di un percorso di genitorialità sociale.
Il dato importante da tenere presente riguarda la diminuzione delle dichiarazioni di disponibilità all’adozione nazionale e internazionale da parte degli aspiranti genitori adottivi, anch’essa in picchiata. E’ quest’ultima, infatti, che ci permette di capire che siamo di fronte ad una transizione culturale che investe la scelta di intraprendere un percorso di genitorialità sociale.
L’entusiasmo che ha coinvolto famiglie, operatori e associazioni degli anni 90, i valori legati all’istituto dell’adozione hanno lasciato il posto alle preoccupazioni per un percorso di genitorialità comunemente rappresentato come complesso.
Inoltre negli ultimi anni il dibattito generale ha contribuito alla formazione di una rappresentazione sociale del bambino adottato intrisa di immagini negative. Gli aspiranti genitori adottivi sono bombardati da notizie sulla complessità del comportamento del bambino adottato: i blog, gli articoli scientifici, divulgativi sono pieni di riferimenti ai bambini adottivi descritti come difficili, passivi, anaffettivi, reattivi, incontenibili. A questa si aggiunge il dibattito sulla crisi e i fallimenti adottivi che in assenza di una valutazione puntale dei fattori che concorrono alla formazione di queste situazioni, incrementa una rappresentazione sociale di timore e paura nelle famiglie.
Il risultato finale è il calo delle adozioni, espressione di una società sempre più resistente ad implicarsi in percorsi che hanno anche un risvolto sociale; non è un caso che le motivazioni comuni ampiamente riportate nei giornali riguardano i costi, i problemi, le difficoltà come se la genitorialità, anche biologica, potesse essere una scelta scevra da questi aspetti.
Eppure l’adozione di un figlio è una scelta che ha come principale ricaduta sociale la protezione dell’infanzia e il diritto del bambino a vivere in una famiglia, in assenza della propria. La genitorialità adottiva è una scelta di genitorialità sociale centrata sull’accoglienza di un figlio che ha subito un abbandono che dovrebbe essere incoraggiata e supportata dalla società. Infatti, a fianco alla dimensione privata della scelta adottiva, che riguarda la storia della coppia e le difficoltà legate alla procreazione di un figlio biologico, esistono anche motivazioni di carattere sociale che, se oggi magari sono meno visibili rispetto alle informazioni sulla crisi e il fallimento dell’adozione, rappresentano comunque la finalità principale dell’adozione. Le coppie che arrivano a scegliere l’adozione partono da una dimensione privata per arrivare a conoscere il significato sociale dell’adozione relativo all’accoglienza di un figlio che ha subito il trauma dell’abbandono e per comprendere il significato e l’impegno realistico della genitorialità adottiva.
Lavorare sulla rappresentazione sociale dell’adozione riprendendo i valori della legge 184/1983 permette di ricordarsi delle importanti funzioni protettive di questo istituto che è principalmente orientato al bambino. E’ per questo che è importante divulgare non solo i temi legati alla crisi dell’adozione, ma anche quelli relativi al benessere della famiglia adottiva: si ricorda che i successi adottivi, infatti, sono meno rappresentati nel dibattito nonostante i dati confermino che rappresentano il 90/95% della realtà dell’adozione. Quindi è fondamentale lavorare per diffondere una cultura dell’adozione positiva, riparativa e resiliente fondata su un un percorso psico-sociale in grado di sostenere in modo concreto la genitorialità e la filialità adottiva.
Su questa linea diventano strategici i percorsi di preparazione all’adozione che devono essere concepiti come percorsi di maturazione della scelta adottiva, di preparazione alla genitorialità adottiva e di sviluppo delle competenze genitoriali; il percorso di indagine psicosociale orientato ad accompagnare la coppia nella auto-valutazione delle competenze genitoriali richieste in questo percorso; i percorsi di sostegno post-adozione nella fase dell’abbinamento – adozione per permettere alla coppia di accogliere quel figlio nella consapevolezza della sua storia, dell’impegno genitoriale richiesto in tutte le fasi del ciclo di vita della famiglia adottiva; il sostegno alla filialità adottiva che possa accompagnare il bambino nei momenti cruciali del proprio percorso di crescita e di elaborazione della storia personale. Il sostegno alla filialità adottiva è un aspetto che non è stato approfondito pur avendo implicazioni importantissime sul benessere personale e delle relazioni famigliari; a titolo di esempio si ricorda l’importanza della preparazione all’adozione del bambino e del sostegno nella fase di inserimento del nucleo famigliare.
L’adozione, in questa prospettiva, ritorna ad essere uno strumento psicosociale protettivo per l’infanzia, con un’importante funzione riparativa nei confronti delle esperienze sfavorevoli vissute dal bambino, resiliente rispetto al suo percorso di vita, ad alto valore sociale per il bambino, per i genitori e per la comunità. Affrontare il tema dell’ adozione come esperienza positiva, protettiva, resiliente e ad alto valore sociale non significa evitare di considerare le problematiche che influenzano la crisi dell’adozione, ma circoscriverle sia sul piano statistico, sia sul piano psicosociale per valutare i fattori di rischio, ma soprattutto i fattori protettivi del percorso adottivo ( Palacios J. 2007, Brodzinsky D.M, Palacios J., 2010, Paradiso, 2015).