“La clownterapia. Teoria e pratiche” è un volume scritto a più mani e curato da Alberto Dionigi e Paola Gremigni che si struttura come un’ottima introduzione al tema per gli addetti e i non addetti ai lavori.
Dopo un primo excursus sulla figura del clown a tutto tondo, viene approfondito il suo ruolo in ambito sanitario, con la presentazione della figura del clowndottore. Le sue origini risalgono agli anni 90, dall’interesse per la psicologia positiva, intesa come settore finalizzato allo studio delle risorse della persona, del suo benessere e della sua resilienza. In una parola, insomma, lo studio della felicità e delle altre emozioni positive, dopo decenni di interesse verso gli stati emotivi negativi o disturbanti, che dir si voglia. Se da una parte la psicologia positiva ha approfondito il ruolo del piacere, delle emozioni positive e dei tratti positivi tout court (la capacità di organizzarsi, l’auto-direttività e l’adattamento), dall’ altra ha cercato di definire una loro possibile applicazione per aumentare il benessere individuale, approfondendo la comunità e le istituzioni positive. Sono state inoltre definite sei virtù personali che possono definire la “buona vita” (Peterson & Seligman, 2004), e in particolare: saggezza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza e trascendenza. Come si arriva a possedere queste virtù? Secondo gli autori, attraverso ben 24 punti di forza del carattere, tra cui si annovera l’umorismo.
All’ interno degli ospedali purtroppo non sempre c’è spazio e modo di fare ricorso all’umorismo; tuttavia, gli anni ’80 hanno visto l’ingresso in ospedale di clown professionisti, ad opera di Michael Christensen e Jeff Gordon, battezzando così la figura del “clowndottore”. Questa attività, inizialmente preposta alle équipe pediatriche, è diventata ben presto presente in tutti i tipi di reparti e con pazienti di ogni età, vedendo anche la nascita di diverse organizzazioni di clowndottori in tutta Europa. Nel contesto della psicologia positiva, l’obiettivo del clowndottore è utilizzare l’ironia e l’umorismo per umanizzare le pratiche di cura, al fine di sdrammatizzare lo stato di angoscia che può pervadere tanto la persona malata quanto chi la assiste.
Facendo leva sulla resilienza, le attività del clowndottore sono quindi finalizzate a rafforzare la componente sana sempre presente nel malato, per aiutare questa parte ad accelerare la guarigione della componente in difficoltà. Nello specifico, esistono due modalità di utilizzo dell’attività del clowndottore: mentre una mira alla distrazione e alla sostituzione (temporanea) di un’emozione negativa con un’emozione positiva, una seconda e più strutturata versione è quella del “clown maestro”, che prevede l’utilizzo della clownerie come strumento di formazione in diversi settori. Nello specifico, il clown mira a ribaltare il sistema di valori di riferimento, consentendo alle persone di riscoprire le parti infantili ancora presenti e svincolandole dalle regole e dai divieti imposti da se stessi e dall’ambiente. Il movimento è in questo caso duplice: da una parte mira a esprimere le emozioni in modo sempre più accentuato, dall’ altra invita le persone a scoprire e rendere espliciti i propri difetti con lo scopo di scoprire un senso di libertà dai vincoli e dal giudizio.
I curatori del volume sottolineano più volte come il tentativo di questo libro sia discostarsi dalla visione più comune del clown al servizio della persona come “terapeuta della risata”, identificandolo invece come una figura che utilizza soprattutto il corpo per sollecitare l’intelligenza emotiva e aiutare gli altri a riconoscere i propri difetti, familiarizzare con essi e giocarci vincendo gradualmente il senso di vergogna.
Il volume prosegue con una disamina del ruolo del clown all’interno di contesti sanitari, che per loro stessa struttura si connotano come ambienti difficili e a volte traumatici, soprattutto nel caso in cui i pazienti siano pediatrici. In questo caso, il ruolo del clown diventa importante nel favorire il cambiamento di vita (seppure temporaneo) che l’ingresso in ospedale comporta, connotandosi a volte come un vero e proprio evento traumatico. Il clowndottore si rivolge così tanto al degente quanto alla struttura ospitante in tutte le sue figure, con il fine di migliorare la qualità della vita all’interno del reparto seguendo pratiche e protocolli ben definiti.
Il volume prosegue con una disamina degli strumenti del clowndottore, per poi passare in rassegna gli studi empirici che hanno approfondito questa figura all’interno dei contesti di cura sia pediatrici che con un’utenza adulta e anziana. Infine, si affronta il delicato tema della formazione dei clowndottori che si collocano in una terra di mezzo difficile da definire e che si sono configurati sempre di più come una nuova figura professionale che si crea seguendo in particolare tre livelli di intervento (competenze professionali, conoscenze e abilità, talenti personali); viene quindi sottolineato come la formazione in questo ambito implichi e coinvolga in grande parte le caratteristiche personali ancor prima che professionali, richiedendo una buona capacità di mettersi in discussione e di integrare e trasformare se stessi e la propria personalità per ricostruirsi in un modo più utile, il tutto con una plasticità emozionale notevole.
L’ultima parte del libro, infine, è dedicata agli aspetti psicologici dei clowndottori, con particolare riferimento alla motivazione, al carico emotivo che questo ruolo comporta, all’ansia da prestazione e alla possibilità di prevenire il rischio di burnout.
Complessivamente questo volume si propone come un’utile sintesi di un ruolo altamente complesso e in Italia ancora non troppo conosciuto da parte dei non addetti ai lavori, che può tuttavia assumere un’importante funzione integrando i contesti di cura tradizionali e permettendo a questi ambienti di assumere una configurazione del tutto nuova, facendo leva sulla positività anziché sulle difficoltà che per loro natura i contesti ospedalieri comportano.