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Cambiamenti neurologici nel praticante mindfulness

Le ultime ricerche suggeriscono come la Mindfulness promuova cambiamenti funzionali nel cervello mediante la neuro plasticità - Neuropsicologia

Di Anna Scala

Pubblicato il 18 Set. 2015

Aggiornato il 16 Lug. 2019 12:40

Anna Scala, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

 

Le ultime ricerche suggeriscono come la Mindfulness promuova cambiamenti funzionali nel cervello mediante la neuro plasticità.

Il concetto di Mindfulness ha una storia di oltre 2.500 anni e affonda le sue origini nelle tradizioni contemplative buddhiste.
Deriva dal buddismo theravada, una delle due maggiori correnti del pensiero buddista, diffusa in Asia meridionale e sudorientale, in particolare in Birmania, Cambogia, Laos, Sri Lanka e Thailandia, sia nell’ambiente monastico che laico. Il termine Mindfulness è la traduzione in inglese della parola “Sati” in lingua Pali, che significa “attenzione consapevole” o “attenzione nuda”.

L’idiogramma cinese per “Mindfulness” è “nian” (念) che è la combinazione di due caratteri diversi, ognuno dei quali ha il suo significato. La parte superiore dell’idiogramma significa “adesso”, mentre la parte inferiore significa “cuore” o “mente”. Letteralmente l’idiogramma completo indica l’atto di vivere il momento presente con il cuore. La parola Sati rimanda anche al verbo Sarati che vuol dire ricordare. In particolare lo sviluppo di Sati aumenta la capacità di ricordarsi dei propri pensieri e comportamenti e delle loro conseguenze su di sé e sugli altri, permettendo di imparare dai propri errori e quindi di progredire sul cammino dell’etica.

Lo sviluppo della Mindfulness o sati come “presenza mentale” e come “ricordarsi” porta all’aumento della consapevolezza delle proprie intenzioni, emozioni, pensieri, parole e azioni e delle conseguenze che possono avere su di sé e sugli altri.
In questo modo la persona può raggiungere una maggiore chiarezza riguardo a ciò che deve essere fatto (ciò che è salutare) e a ciò che non dovrebbe essere più fatto (pensieri e azioni non salutari).
In sintesi, la tradizione buddhista definisce la Mindfulness come la consapevolezza del momento presente e il ricordarsi dei propri pensieri, emozioni e azioni.

L’utilizzo, da parte della medicina occidentale, della Mindfulness per la promozione della salute è invece un’acquisizione relativamente recente: è iniziato negli anni ’70 negli Stati Uniti da parte del medico Jon Kabat-Zinn. (Rainone,2012)
Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn, Mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante” (Kabat-Zinn,1994, p. 63). Si tratta cioè di dirigere volontariamente la propria attenzione a quello che accade nel proprio corpo e intorno a sé, momento per momento, ascoltando più accuratamente la propria esperienza e osservandola per quello che è, senza valutarla o criticarla.

Jon Kabat-Zinn in particolare ha messo a punto il protocollo Mindfulness based stress reduction. Benché l’origine della pratica Mindfulness derivi dal pensiero buddista non è necessario abbracciare la religione buddista per praticare lo sviluppo della consapevolezza.
Essa è infatti una forma di meditazione non concettuale universalmente accessibile e non dipende da alcun sistema di credenze, né da alcuna ideologia.

Mindfulness è, nella pratica, una forma di meditazione, pertanto richiede tempo, energia, determinazione, fermezza e disciplina.
Dal punto di vista dei processi mentali essa si sostanzia nel prestare nel momento presente attenzione  a quattro elementi: il proprio corpo, le proprie percezioni sensoriali (fisiologiche, fisiche e psicologiche appartenenti agli ampi domini del piacevole, spiacevole, misto e neutro), le formazioni mentali (ad es. la rabbia, il dolore o la compassione) e gli oggetti della mente (ogni formazione mentale ha un oggetto, si è arrabbiati con qualcuno e per qualcosa ecc.…).

L’osservazione di questi elementi della propria esperienza soggettiva avviene in uno stato di autentica calma non reattiva, nel quale si accetta ciò che viene osservato per quello che è, consentendo ai cambiamenti di avvenire naturalmente, senza ostacolarli né promuoverli ed evitando la solita resistenza o il solito giudizio che causano ulteriore sofferenza.

Alcune pratiche che si possono incontrare all’interno della Mindfulness sono la meditazione del respiro (osservare il proprio respiro, concentrandosi su di esso e rimanendo in osservazione di quello che accade mentre lo facciamo) e l’esplorazione del corpo o body scan (eseguire una rotazione sistematica della attenzione di consapevolezza nelle varie parti del corpo, con l’obiettivo di  “sentire” autenticamente ogni parte del corpo e soffermarsi su ciascuna di esse).

La Mindfulness può essere praticata da seduti (sitting meditation) oppure camminando (walking meditation). La meditazione da seduti consiste nell’assumere una posizione seduta dignitosa, su una sedia o un panchetto da meditazione o per terra aiutati da un cuscino. La meditazione camminata (adatta alle persone particolarmente agitate, come preparazione a quella seduta) consiste nel coltivare l’osservazione interna e la consapevolezza delle sensazioni, mentre si cammina, concentrandosi su ciascun passo.

La pratica costante della Mindfulness si è dimostrata efficace nella riduzione dello stress e delle patologie ad esso correlate, nel sollievo di sintomi fisici connessi a malattie organiche e, in generale, nella promozione di profondi e positivi cambiamenti dell’atteggiamento, del comportamento e della percezione di se stessi, degli altri e del mondo.

Tali cambiamenti sono ravvisabili in (Rainone,2012):
– una maggiore capacità di padroneggiare le situazioni difficili della vita,
– un maggiore potere di gestione dei conflitti e dei problemi ordinari e straordinari,
– un incremento dell’accettazione e della pazienza nei confronti del proprio stato di malattia o delle proprie infermità psicologiche e fisiche,
– una nuova capacità della mente di sostituire le emozioni distruttive, che portano ansia e depressione, con modi di essere più costruttivi, che promuovono l’equanimità, l’amore e la saggezza.

Via via che la Mindfulness si è diffusa nel mondo scientifico e psicologico e si è imposta anche all’interno del Cognitivismo le Neuroscienze hanno iniziato a occuparsene per studiarne gli effetti sul cervello dei praticanti. Le ultime ricerche suggeriscono come la Mindfulness promuova cambiamenti funzionali nel cervello mediante la neuro plasticità.

Haselkamp in uno studio del 2012 conferma questa ipotesi e asserisce che questi cambiamenti nella connettività funzionale siano duraturi nel tempo.
Dimostra infatti come praticanti con molti anni di meditazione siano caratterizzati da una maggiore connettività all’interno delle reti attenzionali e tra queste e le regioni prefrontali mediali. Questi dati secondo Haselkamp causerebbero un maggior sviluppo nei praticanti mindfulness delle abilità cognitive, nel mantenere l’attenzione e nello svincolarsi dalle distrazioni.

Taren e colleghi (2015) hanno evidenziato come tre giorni intensivi di meditazione mindfulness possano ridurre l’attivazione del circuito neurale “amigdala destra-corteccia cingolata anteriore” in un campione di adulti disoccupati (N=35) e che presentavano elevati livelli di stress.
Il circuito neurale “amigdala destra- corteccia cingolata anteriore” funziona da radar emotivo, attirando l’attenzione su ogni elemento nuovo, incerto o importante. Agisce sul sistema precoce di avvertimento del cervello, esaminando ogni avvenimento, controllando ogni fatto emotivamente saliente, in particolare quelli potenzialmente minacciosi.
In questo senso è collegato alla formazione dello stress.
Dunque, sebbene lo stress possa aumentare la connettività funzionale a riposo di tale circuito neurale, un breve training di mindfulness può invertire questo effetto almeno a breve termine.

È stato dimostrato come meditatori esperti siano in grado di modulare volontariamente il loro stato di coscienza e attenzione (Hauswald ,2015).
In particolare Hauswald e colleghi hanno segnalato la presenza di onde Alpha durante la meditazione (anche se gli occhi dei soggetti erano aperti) che aumentavano in ampiezza e in diminuzione in frequenza con la progressione della sessione di meditazione.
Le onde Alpha sono caratterizzate da una frequenza che va dagli 8 ai 13.9 hertz e sono tipiche della veglia ad occhi chiusi e degli istanti precedenti l’addormentamento.
Durante l’ultima parte della sessione di meditazione si modificavano i ritmi delle onde theta principalmente in meditatori con molti anni di esperienza.
Le onde Theta vanno dai 4 ai 7.9 hertz e caratterizzano gli stadi 1 e 2 del sonno REM.

In modo similare Luders nel 2012 ha condotto una ricerca in cui voleva indagare gli effetti cerebrali della meditazione a seconda del numero di anni di pratica. I risultati suggerivano come meditando per molti anni avvenisse un aumento di spessore e un potenziamento dei lobi frontali e in particolare della corteccia prefrontale mediale. Quest’ultima dialoga ricevendo informazioni e dando indicazioni con il cervello emotivo (sistema limbico) e con il più arcaico cervello rettile (rinencefalo), favorendo l’integrazione fra le funzioni esercitate da queste aree. Le modifiche al cervello avvengono per mezzo di cosiddette pieghe corticali dette “girificazioni”, ossia la formazione di giri e solchi cerebrali. I ricercatori ritengono che la formazione di queste pieghe possa promuovere e valorizzare l’elaborazione neurale (Luders , 2012). E più girificazioni si formano più il cervello riesce a lavorare meglio – un’efficienza che si mostra in una migliore elaborazione delle informazioni, facilità nel prendere decisioni e migliore memoria.

Luders nel suo studio aveva dimostrato una correlazione tra gli anni di meditazione e la quantità di piegature corticali formatesi nel tempo: l’osservazione delle scansioni ha mostrato significative differenze in base agli anni di pratica meditativa.
Nello specifico si sono riscontrate maggiori girificazioni nelle persone che praticavano la meditazione, rispetto a coloro che non meditavano.
In più questi solchi corticali erano maggiori con l’aumentare degli anni di pratica meditativa.
«La correlazione positiva tra la girificazione e il numero di anni di pratica sostiene l’idea che la meditazione aumenta la girificazione regionale del cervello», conclude Luders.

Di conseguenza coloro che meditano da più anni tramite una maggior profilatura della corteccia cerebrale sarebbero in grado di trattare più velocemente le informazioni rispetto a chi medita da meno anni e a chi non pratica la meditazione.
Questo è stato confermato da Hauswald che nel 2015 ha trovato ulteriori conferme di come lo spessore corticale sia aumentato per i praticanti di mindfulness.

In aggiunta Hauswald ha dimostrato come meditando sia possibile ridurre la perdita della materia grigia che avviene solitamente con l’avanzare dell’età.
Le analisi dei dati ottenuti dalla Risonanza Magnetica hanno confermato l’aumento di concentrazione di materia grigia (neuroni) nell’ippocampo sinistro e nella corteccia cingolata posteriore, nella giunzione temporo-parietale e nel cervelletto nel gruppo che aveva seguito il programma MBSR.
I risultati suggeriscono che la partecipazione al programma Mindfulness-Based Stress Reduction è associata a cambiamenti nella concentrazione di materia grigia nelle regioni coinvolte nei processi di apprendimento e memoria, nei processi auto-referenziali e decisionali.

Questi e altri studi dimostrano come le Neuroscienze utilizzando le loro conoscenze e strumenti come la Risonanza Magnetica e l’Elettroencefalogramma possano chiarire sempre più il ruolo che le pratiche meditative come la Mindfulness possono avere anche sul cervello dei praticanti.

Per raggiungere un livello conoscitivo sempre più elevato in effetti all’interno delle Neuroscienze è nata una branca che si occupa in modo specifico della Mindfulness. Norman Farb in questo senso può essere considerato il capostipite di questo settore delle neuroscienze con il suo contributo “Mindfulness meditation reveals distinct neural modes of self-reference” del 2007.
Visto che si parla di Rivoluzione Mindfulness è giusto indagare in profondità da un punto di vista sperimentale e scientifico la portata di queste pratiche sull’essere umano.

 

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