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Lo spettro bipolare: diagnosi o moda? (2015) – Recensione

L'autore del libro si pone la domanda se le diagnosi di disturbi bipolari talvolta non siano una moda diagnostica, data l'eccessiva frequenza delle stesse

Di Caterina Conti

Pubblicato il 13 Lug. 2015

Aggiornato il 07 Set. 2015 14:22

 

Lo spettro bipolare: diagnosi o moda? E’ questa la domanda che fa da filo conduttore al libro di Joel Paris, tradotto in Italia recentemente.

Cosa possiamo definire diagnosi e cosa una moda? Dove si pone il confine tra una diagnosi corretta e una moda diagnostica? L’autore apre una riflessione sull’eccessiva frequenza della diagnosi di disturbo bipolare e sulle conseguenze negative in termini di trattamento clinico.

Diverse sono le motivazioni analizzate dall’autore; un sistema diagnostico ancora basato quasi esclusivamente sulla fenomenologia (sintomi riferiti dai pazienti e segnali interpretati dai clinici), categorie nosografiche poco chiare considerate varianti del disturbo bipolare, l’irritabilità indicata come sintomo alternativo alla presenza di un umore anormalmente elevato, la teorizzazione di uno “spettro bipolare” che contempla forme sfumate del disturbo e l’adozione di strumenti di screening sensibili a caratteristiche non specifiche per il disturbo bipolare (alcuni di facile reperibilità tanto da essere divenuti strumenti clinici popolari).

Come retroscena non possiamo tralasciare l’inizio dell’era del litio e l’inevitabile ruolo dell’industria farmaceutica. Ricordiamo inoltre la fisiologica tendenza della psichiatria ad essere oggetto di mode, l’odierna accessibilità delle diagnosi e l’ampia disponibilità di canali di fascinazione e seduzione per la loro diffusione (pensiamo solo alla potenza di internet, alla consuetudine di attribuire disturbi psichiatrici a personaggi storici o famosi, al cinema).

Questo contesto ha dato forma a quello che Paris denomina “imperialismo bipolare”; diagnosi di disturbo bipolare costruite sulla base dell’osservazione di sintomi bipolari “minori” (sbalzi d’umore, irritabilità, impulsività), che arrivano ad includere sotto un unico ampio spettro altri disturbi o semplicemente caratteristiche presenti nella popolazione generale.

Riferendoci all’ambito della patologia, disturbi di personalità, depressione, schizofrenia, disturbi impulsivi e disturbi comportamentali infantili sono spesso unificati dal concetto di spettro bipolare e accomunati da uno stesso destino di trattamento, una risposta farmacologica composta da stabilizzatori e antipsicotici atipici, che spesso ha come beneficio un aspecifico effetto sedativo.
Il vocabolario utilizzato per riferirci a questa patologia riflette e insieme contribuisce al panorama descritto.

Dal concetto di malattia maniaco-depressiva introdotto da Kraepelin, terminologia che indicava chiaramente la necessaria presenza degli episodi maniacali e rappresentativa di un quadro nosografico grave, si è passati al concetto di bipolarità, etichetta di per sé più neutrale, fino a parlare di spettro bipolare, sufficientemente ampio da includere gran parte del campo d’interesse della psichiatria; molti dei disturbi mentali sono infatti caratterizzati da anomalie o instabilità affettive.

Il disturbo bipolare è oggi divenuto un’entità nosografica confusa, dai confini in continua evoluzione e ampliamento.
Così una persona che soffre per una depressione che non risponde ai farmaci o con tendenza a divenire irritabile o caratterizzata nel suo decorso da labilità dell’umore, un bambino con difficoltà nella regolazione delle emozioni, una persona con problemi di gioco d’azzardo patologico o dipendenza da sostanze, un paziente che ci racconta una sofferenza vissuta e alimentata all’interno delle relazioni, possono tutti in teoria ricevere un’unica diagnosi e un unico trattamento.

Doveroso a questo punto, secondo l’autore, farsi delle domande. L’instabilità affettiva osservata in molti pazienti rientra nello spettro bipolare?
Per i sostenitori dello spettro bipolare l’instabilità affettiva sarebbe una forma di bipolarità; una variante ciclica estremamente rapida, con finestre temporali su base giornaliera, o persino oraria, piuttosto che settimanali. Questa sovrapposizione si basa su somiglianze superficiali e non tiene conto di importanti aspetti che rendono l’instabilità affettiva un fenomeno psicologico più complesso, particolare e differenziato. Le evidenze in letteratura riportate dall’autore sottolineano una fenomenologia caratteristica, uno status di ereditarietà particolare, una risposta differente ai trattamenti e un esito differente rispetto al disturbo bipolare.

Solo soffermandoci sulle modalità di manifestazione dell’instabilità affettiva sono già evidenti differenze sostanziali. Gli stati d’animo disforici durano spesso poche ore e, anche se possono richiedere un po’ di tempo prima di ridimensionarsi, sono qualitativamente differenti rispetto alla stabilità interna agli episodi dei disturbi classici dell’umore (pensiamo a quanto è difficile scorgere variazioni in una persona depressa, pur di fronte ad una buona notizia, o ridimensionare l’umore durante una fase di mania o ipomania).

La percezione soggettiva dei pazienti con rapide e instabili variazioni dell’umore ha sfumature talvolta molto diverse e il contesto interpersonale ha un peso importante nel generare in queste persone stati di disregolazione emotiva, a fronte di variazioni d’umore spesso indipendenti dalle relazioni interpersonali nel caso del disturbo bipolare.

La sofferenza causata da un’affettività intensa e mutevole è spesso caratteristica dei disturbi di personalità ma ricercatori e clinici si sono spinti fino ad affermare che alcune categorie diagnostiche non hanno più ragione di esistere. Uno degli esempi è rappresentato dal disturbo borderline di personalità, che ha come tratto caratteristico proprio l’instabilità dell’umore.
Nuovamente, tuttavia, stupisce come non si prendano in considerazione evidenti indicatori che segnalano, oltre che caratteristiche cliniche diverse, percorsi differenti di costruzione delle sofferenza: una vulnerabilità ereditaria differente da quella del disturbo bipolare, fattori di rischio specifici, un decorso differente da quello tipico dei disturbi dell’umore (una prognosi migliore è conosciuta per il disturbo borderline di personalità ), prove insufficienti per raccomandare qualsiasi agente farmacologico nei casi di disturbo borderline, che risponde, d’altra parte, ai metodi terapeutici squisitamente sviluppati per trattare i disturbi di personalità.

Come afferma Paris, il riconoscimento dell’instabilità affettiva come processo separato e differente dalla bipolarità implica considerare gli affetti e le emozioni non come un “driver” primario in grado di produrre disturbi psicologici ma come aspetto di un sistema complesso e interattivo. Considerando questa variazione nell’impostazione teorica, è facilmente comprensibile l’inefficacia di risposte preconfezionate e valide su larga scala.

Concludendo, solo tollerando un certo grado d’incertezza si può resistere alla tentazione di agire soluzioni semplici a questioni più complesse.
Come sottolinea l’autore, è necessario trovare modi migliori per identificare i pazienti che hanno forme subcliniche di disturbo bipolare e trattarli di conseguenza. Il “grano di verità” insito nel concetto di spettro bipolare emerge da questa attenta analisi della letteratura sui disturbi chiamati in causa; alcuni pazienti con depressioni gravi hanno il disturbo bipolare e devono essere trattati come tali. Ma questo gruppo è costituito, probabilmente, da una piccola minoranza di casi osservati.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Paris, J. (2015). Lo spettro bipolare: diagnosi o moda? Raffaello Cortina Editore, Milano.
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Caterina Conti
Caterina Conti

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale

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