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La sindrome del brutto anatroccolo. Perché ci si sente brutti e come recuperare l’autostima

PSICOLOGIA: vi sono persone che hanno imparato a vedersi brutte, sminuiscono i propri pregi e rinforzano l’immagine svalutante di sè - Psicologia

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 15 Lug. 2015

Aggiornato il 27 Apr. 2016 15:05

Un meccanismo non molto differente da quello che si attiva in molte persone che, per le motivazioni più varie, hanno imparato a vedersi brutte e come tali si comportano, sminuendo i propri pregi e rinforzando sempre di più l’immagine svalutante che hanno di loro stesse.

Tutti noi conosciamo la fiaba di Andersen in cui il brutto anatroccolo, diverso dagli altri, è fermamente convinto di essere, per l’appunto, brutto, e comprende solo alla fine della storia di non essere un’anatra malriuscita bensì un cigno. Decisamente un notevole cambiamento di prospettiva.

Il brutto anatroccolo ha imparato, sin da piccolo, a considerarsi inadeguato, ed è così convinto della sua visione delle cose che, quando vede riflessa nell’acqua la propria immagine di cigno, sul principio non si riconosce nemmeno.

Un meccanismo non molto differente da quello che si attiva in molte persone che, per le motivazioni più varie, hanno imparato a vedersi brutte e come tali si comportano, sminuendo i propri pregi e rinforzando sempre di più l’immagine svalutante che hanno di loro stesse.

Da dove nasce un simile atteggiamento? Lo psicoterapeuta Luca Saita cerca, prendendo spunto dalla propria esperienza clinica, di fare luce sulle ragioni che conducono le persone ad agire da brutti anatroccoli, nonostante in ognuno di noi ci sia un cigno che vuole emergere.

In altre parole, come mai una persona impara -perché di un processo di apprendimento si tratta- a vedersi brutta? Perché distorcere la propria immagine corporea, facendosi tiranneggiare da una smania di irrealistica perfezione?

L’autore individua tre meccanismi che interferiscono negativamente nella creazione dell’immagine corporea:

  • attacco diretto o indiretto;
  • proiezione;
  • etichettamento.

Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o non, al proprio corpo (“oggi hai davvero un aspetto orribile!”); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi di proprie caratteristiche fisiche che non accetta, le attribuisce a qualcun altro (la madre che dice alla figlia “Non metterti quel vestito, ti ingrossa”); nell’ultimo caso vengono attribuite alla persona etichette (il “nasone”, il “roscio”, “gambe storte”).

Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima. Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi “brutti”, il percepirsi inadeguati ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.

Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, come è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo. Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.

Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando un’immagine positiva.

Per fare ciò l’autore suggerisce alcune strategie, che passano attraverso il contestare le etichette e l’imparare a difendersi dagli attacchi mossi alla propria immagine di sé, anche e soprattutto quando questi attacchi vengono da persone significative.

In ultima analisi, bisogna tenere a mente che  la mente è “come una lente: la visione di sé stessi e del proprio corpo avviene attraverso questa lente che può modificare, deformare, ampliare o distorcere ciò che osserva”.

Dobbiamo quindi imparare a conoscere questa lente e i suoi filtri, perché essa influisce non solo sul modo in cui vediamo il nostro corpo, ma sul modo in cui vediamo noi stessi in generale. A sua volta, il modo in cui vediamo noi stessi è a fondamento del nostro modo di porci rispetto all’ambiente, alla nostra vita.

Per questo dobbiamo neutralizzare le visioni distorte che non ci permettono di volerci bene per come siamo; come scrive l’autore tirando le somme “Date al vostro cigno una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un brutto anatroccolo e che niente potrà cambiarvi”.

 

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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