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Genitori social ai tempi di Facebook e Whatsapp – Psicologia

I genitori appaiono disorientati rispetto all'utilizzo delle nuove tecnologie che se da un lato offrono opportunità di crescita, dall'altro pongono insidie.

Di Manuela Ramundo

Pubblicato il 01 Giu. 2015

Aggiornato il 17 Giu. 2015 09:41

L’ampio panorama informatico attuale offre vastissime opportunità alla community adolescenziale, ma anche altrettante possibili insidie.

Di fronte a questa ambivalenza, è legittimo un certo disorientamento da parte dei genitori e delle figure educative in generale che, se da una parte vorrebbero sostenere l’utilizzo costruttivo della rete, dall’altra si preoccupano di tutelare la sicurezza dei giovani dai pericoli in essa insiti. Ma come fare per essere genitori e allo stesso tempo “social”?

La linea proibizionista, privando l’adolescente di un bagaglio esperienziale utile alla costruzione della propria identità, ne limiterebbe lo spazio di crescita e lo esporrebbe anche al rischio di emarginazione da parte del gruppo dei coetanei, minando così il profondo bisogno di appartenenza tipico di quest’età. Per la generazione 2.0, per la quale questa prospettiva risulta tanto anacronistica quanto irrealizzabile, l’unica strada percorribile secondo gli autori consisterebbe in una corretta informazione e in un’ educazione all’utilizzo equilibrato e responsabile della rete.

Ma come? Se la credenza comune dei giovani è quella secondo cui il “cyberspazio” sia una terra dove tutto è lecito e impunito, occorre invece fare chiarezza sulle infrazioni della legge in cui si può incorrere da autore e di cui si può essere vittima. Tra i reati informatici più frequenti troviamo: il furto dei dati personali, il reato di sostituzione di persona, di diffusione di contenuti pornografici o violenti, di adescamento, di ingiuria, di diffamazione, di stalking e di cyberbullismo.

Di fronte a questi pericoli tendenzialmente sottovalutati, i ragazzi si trovano spesso impreparati e, dunque, ingenuamente vulnerabili e indifesi. Tutelare i propri figli allora significa dunque anche informare, illustrando nella quotidianità le potenziali trappole della rete prendendo spunto da un fatto di cronaca o dalla visione condivisa di un film. Non demonizzare, ma invitare ad avere uno sguardo critico verso i molteplici utilizzi possibili, conformi e non, del web.

Secondo gli autori, sia di fronte ai rischi on-line sia a quelli off-line, “la protezione si realizza sempre attraverso il dialogo”, con una disponibilità all’ascolto, alla sintonizzazione emotiva e alla comprensione che risultano certamente le misure preventive privilegiate e più efficaci.

 

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Manuela Ramundo
Manuela Ramundo

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale

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