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Il club degli incorreggibili ottimisti (2010) di J. M. Guenassia – Recensione

Parigi, anni 50, personaggi diversi tra loro si ritrovano al bistro Balto accomunati da un unico destino: essere sfuggiti alle dittature del proprio Paese.

Di Luca Calzolari

Pubblicato il 10 Apr. 2015

Quello che conta nella Terra promessa non è la terra, è la promessa: il cuore del romanzo è ambientato nel retro di un bistro parigino, il Balto, vera base sicura per personaggi tra di loro così lontani e diversi ma accomunati dallo stesso destino: essere sfuggiti alle dittature del proprio paese.

Ci troviamo la Parigi di fine anni 50, quella della Francia imperialista che invia i propri figli a combattere in Africa. Ma se vogliamo essere più precisi il cuore del romanzo è ambientato nel retro di un bistro parigino, il Balto, vera base sicura per personaggi tra di loro così lontani e diversi ma accomunati dallo stesso destino: essere sfuggiti alle dittature del proprio paese che si ritrovano in quel luogo, tra una partita a scacchi ed una bella bevuta, a parlare della propria vita.

Hanno dovuto abbandonare tutto trovando un lavoro nella notte, chi tassista e chi portantino, perché nel loro paese non potevano permettersi di dormire, le bombe erano pronte ad esplodere e l’ansia compagna inseparabile.

Sono persone tradite dalla storia ma che ancora credono nei propri ideali difendendoli tra le mura del Balto tra mille discussioni e litigi. 

Se non ne parlo, se non dico ciò che abbiamo vissuto, chi mai lo saprà?

Tanti sono i personaggi che abitano il Balto e che rimarranno nel cuore del lettore. Come Timbor, famosissimo attore di Budapest, scappato durante l’eccidio ma che nessuno a Parigi vuol fare recitare per quel suo particolare accento ungherese. Sasa che se ne sta in disparte ma che si rivela un consigliere prezioso per i primi problemi sentimentali di Michel scrivendogli delle poesie da novello Cyrano. Orecchioni, evitato da tutti perché agente di sicurezza mandato per spiare potenziali segnali di rivolta dei frequentatori del bistro ma che continuamente finge di non sentire perché li fanno compagnia. Leonid, aviatore dell’Armata Rossa abbattuto innumerevoli volte, che nessuno vuole assumere come pilota ed infine Igor, medico russo con un cuore grandissimo, che si ritrova a fare il tassista notturno col suo carattere ruvido e polemico.

Ecco come un giorno Michel, un adolescente e vero protagonista del romanzo, si arma di coraggio e valica quel retro del bar scoprendo un club di scacchi abitato da persone di varia nazionalità che non sono più nessuno, senza più un’identità con valigie piene di storie toccanti ma che hanno nel proprio dna quella voglia infinita di prendersi in giro tra una bevuta ed una partita.

Finché si può bere approfittiamone mentre siamo vivi

Il motivo per cui Michel si rifugia in quel di Balto non è molto differente da quello delle persone che impara a conoscere; allontanarsi da un luogo per lui non più fonte di sicurezza, nel suo caso una famiglia immersa in mille conflitti culturali ed affettivi, per poter iniziare ad esplorare il mondo. E’ in questo contesto che Michel impara a conoscere come può nascere l’amicizia pur tra la complessità degli ideali.

Come un luogo possa diventare una coperta che scalda un po’ tutti, dove rifugiarsi quando si ha un problema, sicuri di avere una voce amica capace di aiutarti grazie ad un’idea geniale ed inverosimile. Tutto intorno a questo la scoperta del rock a volume altissimo e dell’amore di Michel per la sorella di un suo caro amico partito al fronte e che non farà più ritorno nella Parigi degli anni sessanta, tra le strade del quartiere latino respirando un’atmosfera da eterna speranza.

 

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