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E se essere empatici significasse in realtà essere egoisti?

L’empatia possiede un lato negativo, mediante cui l’osservatore empatico agisce al solo fine di mettersi in salvo dal malessere provocato dall’altro

Di Chiara Carlucci

Pubblicato il 26 Mar. 2015

Provare empatia per qualcuno significa provare le emozioni che l’altro sta vivendo e viverle a propria volta, provando le sue ragioni. Si tratta di un fenomeno complesso, che comprende diversi ambiti della nostra vita e non facile da definire (Albiero, Matricardi, 2006).

L’empatia rappresenta uno degli strumenti basilari di una comunicazione interpersonale davvero efficace. Nelle relazioni interpersonali diviene una “chiave d’accesso” ai sentimenti e agli stati d’animo dell’altro.

In psicologia esistono due diversi modi di concettualizzare l’empatia: uno la considera un’esperienza di partecipazione emotiva, e quindi in questo caso empatizzare con qualcuno significa condividere l’emozione che l’altro vive, provando la medesima sensazione; l’altro modo concepisce l’empatia come capacità di comprendere il punto di vista dell’altro, quindi comprendere le sue intenzioni e i suoi pensieri, riuscendo a vedere la situazione che l’altro sta vivendo dalla sua prospettiva.

Nel 1994, Davis ha proposto un approccio integrato che vede congiunto il ruolo di cognizione ed affetti. Secondo tale approccio le componenti che caratterizzano le risposte empatiche sono quattro: l’abilità di adottare il punto di vista dell’altro (Perspective Taking), la tendenza a immaginasi situazioni fittizie (Fantasia), la condivisione dell’esperienza emotiva altrui (Considerazione Empatica), la consapevolezza dei propri stati di ansia in situazioni relazionali (Disagio Personale). Le prime due componenti riguardano le abilità cognitive, mentre le altre due si riferiscono alla reazione emotiva del soggetto.

È interessante notare le due differenti modalità con cui può verificarsi la componente emotiva dell’empatia: la prima reazione è originata dal disagio personale ed è caratterizzata da una motivazione egoistica: in questo caso l’osservazione della sofferenza altrui determina nell’osservatore uno stato di tensione e di conseguenza il comportamento indirizzato a favore dell’osservato ha come finalità la liberazione di quel disagio che l’osservatore in prima persona prova.

La seconda modalità è al contrario caratterizzata da una motivazione altruistica: in tal caso l’osservatore condivide gli stati emotivi dell’altro e mette in atto dei comportamenti prosociali affinché possano migliorare le condizioni dell’osservato.

L’empatia possiede quindi un lato negativo, mediante cui l’osservatore empatico agirebbe al solo fine di mettersi in salvo dal malessere provocato dall’altro.

Da uno studio condotto nel 2011 (Di Michele e all.) in quattro scuole medie inferiori di Chieti e provincia è stato possibile ritenere che l’empatia messa in atto solo al fine di placare il proprio disagio diminuisce con l’andare avanti dell’età; sembrerebbe invece aumentare (seppure in modo poco significativo) la Considerazione Empatica. È ipotizzabile che con l’evolversi del tempo diminuiscono le motivazioni egoistiche le quali fanno in modo che il comportamento prosociale indirizzato verso la sofferenza altrui abbia come finalità solo la liberazione di uno stato di tensione personale, in favore delle condotte finalizzate nei confronti dell’altro al semplice fine altruistico e disinteressato, accompagnato da sentimenti di tenerezza e simpatia.

Dal medesimo studio, mettendo in relazione l’empatia e l’autostima, è inoltre emersa una significativa correlazione negativa tra le condotte empatiche dovute ad un fine egoistico e l’autostima, sia interpersonale che emotiva.

Ciò potrebbe essere riconducibile al fatto che quei soggetti caratterizzati da una bassa stima di sé abbiano scarso entusiasmo, reagiscano poco di fronte agli insuccessi e siano spesso disinteressati. Potrebbe inoltre essere probabile che, non sentendosi in grado di intervenire, abbiano una scarso senso di autoefficacia, e che ciò possa contribuire a metterli in ansia. Per cui, in quelle situazioni in cui proverebbero stress, aiuterebbero l’altro solo al fine di smorzare il proprio disagio, in tutti quei casi dove è per loro impossibile la fuga.

Al contrario, è probabile che quei soggetti caratterizzati da un’alta stima di sé siano fiduciosi delle proprie capacità e riescano a valutarsi secondo un’ottica più positiva; essi reputano di conseguenza meno importanti i propri sentimenti di ansia e tensione, per cui l’assunzione di prospettiva altrui sarebbe dovuta a un coinvolgimento disinteressato verso l’altro, piuttosto che a un desiderio egoistico di sfuggire a dei sentimenti avversi come senso di colpa, vergogna, tristezza o disapprovazione sociale.

Tutte queste considerazioni sono utilissime al fine di analizzare al meglio le relazioni interpersonali. La maggior parte degli studiosi si trovano concordi sul fatto che l’empatia sia una molla importante per mettere in atto dei comportamenti prosociali e altruistici. Ma a quanto pare il saper capire e condividere le emozioni altrui non sempre ha un fine disinteressato.

L’empatia potrebbe infatti scaturire da una motivazione egoistica, che induce il soggetto ad aiutare l’altro solo per sfuggire a dei propri sentimenti spiacevoli.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Albiero, P., Matricardi, G. (2006). Che cos’è l’empatia? Roma: Carocci.
  • Davis, M. H. (1983). A Multidimensional Approach to Individual Differences in Empathy. JSAS Catalog of Selected Documents in Psychology, 10, 1 – 19. DOWNLOAD
  • Di Michele, C., Granieri, A.L., Carpinelli, A., Vitiello, M. A., Trabucco, C., Romano, G.,  Capparruccini, O., Melfi, A., Carlucci, C., Camodeca, M., Mazzatenta, A. (2011). Bullismo, autostima ed empatia: un intervento innovativo con gli animali. Atti del XVII Congresso Nazionale della Psicologia Sperimentale, Catania
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