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True Detective (2014): una Pastorale Americana nella Lousiana Cajun

La serie televisiva americana (2014) è ambientata in Louisiana dove i detective Hart e Cohle indagano su omicidi con apparenti connotazioni anticristiane...

Di Mauro Bruni

Pubblicato il 20 Feb. 2015

Senza mai diventare invadente, la critica che l’autore porta a quelle società rurali prevalentemente incardinate sui principi morali è costante e fa da sfondo a un’umanità decadente, affaticata, fallita nei suoi buoni propositi di rettitudine e creatrice essa stessa dei mostri che combatte.

True Detective è una serie televisiva statunitense trasmessa per la prima volta nel 2014. Venti anni dopo Twin Peaks, in maniera più concisa e meno surrealista di Twin Peaks, la serie ripropone uno dei grandi temi thriller cari a letteratura e cinematografia americana: la caccia al mostro. Questa volta al posto del metodico Cooper e della sfuggente Diane troviamo i detective Martin Hurt (Woody Harrelson)e Rustin Cohle (Mattew McConaughey), rispettivamente e per loro stessa ammissione un tipo “normale” e un tipo “critico”.

Tra i principali poli attrattivi c’è sicuramente l’interazione tra le due personalità, dove la normalità del primo nasconde il compromesso che lo pone in conflitto tra bisogni sessuali extraconiugali e bisogni affettivi familiari e dove il cinismo del secondo svela l’introversione tipica di un assetto schizoide di personalità, che favorisce il rimuginio e allontana dai valori affettivi comuni.

Nic Pizzolatto, ideatore e sceneggiatore della serie, ambienta la vicenda nella Louisiana degli uragani atlantici Andrew (1992), Katrina (2005), Irene (2011), terra dalle tipiche acque lente e fangose per secoli palude di diritti civili. La regia propone suggestive vedute aeree che svelano un territorio desolato fatto di alberi spogli, case modeste senza fondamenta e cumuli di detriti. La colonna sonora squisitamente folk (The Handsome Family), country (Cuff the Duke),  blues (John Lee Hooker), con incursioni psichedeliche (13th Floor Elevator, The Black Angels), alternata a gospel laici e musica nera popolare, lega indissolubilmente con le immagini. Il risultato di sintesi è una pastorale americana persino più acida e amara di quella raccontata da Philip Roth (Pastorale Americana, 1997), dove al posto delle buone famiglie e dei college prestigiosi troviamo i bar per camionisti e l’accademia cristiana.

L’atmosfera prevalente che si è voluta rappresentare in True Detective è la diretta emanazione di un luogo dalla genetica complessa, con radici religiose afferenti al protestantesimo, all’evangelicalismo, alla santeria e al voodoo dei creoli del sud; immersi in questa “psicosfera” (come la definisce qualcuno) i detective Hart e Cohle indagano su una serie di omicidi con apparenti connotazioni anticristiane.

La serie ha ricevuto decine di nomination e incassato già diversi premi, non ultimo quello per la migliore sigla di apertura.

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Anche se la maggiore attrattiva della serie è rappresentata dal personaggio del detective Cohle, intelligente e alienato, ipercontrollato, dalla personalità  oscura e profonda direbbero i profani ma spesso a confine tra la genialità deduttiva e l’originalità delirante tipica di chi dà prova di avere forzato la soglia dello spettro autistico, episodio dopo episodio emerge che il legante che sorregge efficacemente la trama e accomuna tutto rispecchiandosi nelle persone, nei luoghi e persino nella sigla di apertura dove la pelle suggestivamente si presta alla commistione con altre entità, sembra essere una compromissione dell’integrità.

L’integrità della pelle, quell’entità biologica con funzioni psicologiche descritta da Anzieu che opportunamente mantiene il giusto grado di separazione tra contenuti mentali e mondo esterno; nei diversi personaggi di volta in volta l’integrità perduta sarà quella morale, quella familiare o quella psichica di chi è stato sottoposto troppo a lungo a fattori stressanti.  E’ questo il caso del detective Cohle, tra le altre cose portatore di un lutto, irrisolvibile come può esserlo la perdita di una figlia, che si riflette nella predisposizione all’isolamento e all’alcolismo.

L’unico in grado di condurre le indagini a una svolta, grazie anche a un apparato percettivo particolare, sarà proprio il personaggio più sofferente e provato dagli eventi, dannato e senza Dio in quanto libero da influssi romantici e creazionisti, poiché come converrebbe a qualsiasi mente seriamente dedita all’analisi, esiste un indubbio vantaggio nel guardare ai fenomeni da una prospettiva dove l’Uomo è una specie animale al pari di altre, dove le emozioni e i sentimenti, in senso darwiniano, sono strumenti pre-programmati per la conservazione della specie e dove la coscienza, da una prospettiva illuminista, è un dispositivo di manipolazione tecnica dell’esistenza.  

In questa prima stagione di otto episodi sembra esserci in seno alla sceneggiatura un esercizio latente di crocifissione del protagonista interpretato da McConaughey, operazione che lo rende più appetibile allo spettatore perché conferisce quell’aria spiccatamente dannata che piace e forse anche perché apre la strada all’idea perturbante che chiunque si spinga troppo oltre nell’evoluzione (delle idee) rischia di perdere tutto, famiglia, affetti, contatto con la realtà. Effettivamente alcuni monologhi somigliano a una predica metafisica che fa perno sulla suggestione tanto quanto qualsiasi omelia ortodossa. Ma è un valore aggiunto a tutta la produzione.

Alla fine il mondo disegnato da Pizzolatto sembra popolato da personaggi in malinconica lotta contro sé stessi, incastrati tra il passato e il presente di una terra che lava costantemente i peccati con gli uragani ma che lascia intatta la contraddizione tra una fervente comunità religiosa e il suo esatto opposto fatto di dissolutezza, alcolismo e prostituzione.

Senza mai diventare invadente, la critica che l’autore porta a quelle società rurali prevalentemente incardinate sui principi morali è costante e fa da sfondo a un’umanità decadente, affaticata, fallita nei suoi buoni propositi di rettitudine e creatrice essa stessa dei mostri che combatte.

 

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Mauro Bruni
Mauro Bruni

Psicologo Psicoterapeuta

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