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Sergio Mattarella: il punto di forza psicologico del nuovo Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella, neoeletto Presidente della Repubblica e le sue radici politiche: la forza di una figura soddisfatta di sè e della sua storia politica

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 04 Feb. 2015

Malgrado la sua trasognata lentezza di vecchio democristiano, Mattarella forse è la persona giusta: non rimugina su occasioni perdute, su rivoluzioni mancate, su errori passati e su passate illusioni, su sogni di essere qualcos’altro o di essere nato altrove.

Quale potrebbe essere il punto di forza psicologico del nuovo presidente della Repubblica, l’onorevole Sergio Mattarella? Per carità, nessuna (psico-)analisi a distanza di una persona che non conosco per nulla, che ho visto solo in fotografia e di cui ho potuto leggere solo qualche dichiarazione politica. Però si può dire qualcosa di psicologico sul retroterra politico di Mattarella, sull’ambiente emotivo in cui è cresciuto. È l’ambiente del cattolicesimo democratico che s’incarnava nella corrente politica della sinistra DC, quella corrente del vecchio partito più attenta a politiche democratiche e perfino progressiste, almeno nel campo dell’economia e dei diritti dei lavoratori.

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L’ambiente emotivo della sinistra democristiana mi sembra diverso da quello di altre tradizioni politiche progressiste. Non ci sono state fratture, non è stato necessario rinnegare il passato. È vero: anche la Democrazia Cristiana cambiò nome, come aveva già fatto il Partito Comunista, e anch’essa infine si estinse quando confluì nel Partito Democratico. Tuttavia i cattolici democratici, i vecchi politici della sinistra DC non mi sembrano in preda a quella eterna crisi di identità che affligge gli ex comunisti e gli ex socialisti. E nemmeno li vedo eternamente agitarsi a vuoto -come succede a destra- su immaginarie svolte ora liberiste ora conservatrici. Anzi, mi paiono guidare con una certa sicurezza il partito democratico, dare il tempo alla musica più e meglio dei progressisti laici.

La forza di Mattarella, come forse anche di Renzi, è di provenire da un ambiente in fondo soddisfatto di se stesso e della sua storia.

La sinistra DC ha guidato la svolta sociale degli anni ’60 e l’apertura ai socialisti. Ha i suoi padri fondatori di cui non si vergogna, da Giorgio La Pira (a cui si richiama anche Matteo Renzi) ad Aldo Moro. Sono sicuramente responsabili delle lentezze di sviluppo dell’Italia, ma vivono questo difetto come un problema che condividono con il resto della società italiana, anch’essa pigra e lenta. Un difetto di cui essere consapevoli, magari da sopportare e cattolicamente, troppo cattolicamente perdonare; non una tara genetica su cui flagellarsi pubblicamente come si fa da sempre a destra e come, purtroppo, anche a sinistra da qualche decennio, magro regalo di Montanelli.

Non hanno un rapporto conflittuale con l’Italia, non sognano svolte rivoluzionarie, liberiste e/o conservatrici come accade alla loro destra o egualitarie come avviene alla loro sinistra. Non hanno bisogno di chiamarsi “Forza Italia” perché sono l’Italia, con tutte le sue lentezze ma –pensateci- senza complessi d’inferiorità. Non riesco a immaginare Moro che dice “se fossimo un paese normale…” Semmai si sarebbe limitato a un triste sorriso di compatimento e auto-compatimento in attesa del treno in ritardo. Al tempo stesso la sinistra democristiana aveva un’aria perbene che mancava al resto della DC: vedi le fotografie di Dossetti, La Pira, Zaccagnini, Moro, Andreatta, Galloni, Prodi e non vedi i machiavellismi di Andreotti o l’aria ambigua dei Gava.

Insomma, non c’è quel rimuginio depressivo sulla propria identità o su se stessi che affligge i depressi cronici, come ci ha insegnato il buon Aaron T. Beck (1978). Quel sentimento di stanchezza di se stessi, di auto-denigrazione o addirittura di vergogna di sé che affligge altre tradizioni politiche e che poi può tracimare in auto-denigrazione personale e nazionale. Se c’è qualcosa che un ex democristiano non fa è desiderare di essere altro da sé. Un liberale alla Montanelli trascorrerebbe la vita a rimpiangere di non essere nato inglese, qualcun altro preferirebbe essere nato francese o tedesco, invidiando ai primi l’illuminismo laico e ai secondi il rigore calvinista.

E in alcuni la stanchezza di se stessi e l’auto-denigrazione possono trasformarsi in odio di sé stessi. È un concetto questo più psicoanalitico che cognitivo: che la depressione sia frutto di una vera e propria aggressività verso il proprio sé, fino ad arrivare al desiderio di morte e autodistruzione (Freud, 1917-1980; Klein, 1940-1994; Rado, 1928). È anche un concetto sociologico e antropologico, che storicamente risale alla riflessione del filosofo ebreo Theodor Lessing che nel 1930 pubblicò un libro sull’odio verso se stessi che –a suo parere- nutrivano all’epoca gli ebrei.

Oggi gli italiani sono un po’ stanchi di se stessi. Non credo che odino se stessi come pare facessero gli ebrei tedeschi per tutto l’ottocento fino a Hitler. Non non è necessario essere così drammatici come Melanie Klein o Theodor Lessing. Però gli italiani sono inclini ad auto-denigrarsi in maniera non sempre produttiva.

Malgrado la sua trasognata lentezza di vecchio democristiano, Mattarella forse è la persona giusta: non rimugina su occasioni perdute, su rivoluzioni mancate, su errori passati e su passate illusioni, su sogni di essere qualcos’altro o di essere nato altrove. Insomma, malgrado le apparenze, i democristiani non erano depressi. Erano solo un po’ lenti. In questi ultimi vent’anni, gli altri non si sono dimostrati più veloci.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Beck, A.T. (1978). La depressione. Torino: Boringhieri. ACQUISTA ONLINE
  • Freud, S. (1917-1980). Lutto e Melanconia. Opera completa di Sigmund Freud, Volume VIII. Torino, Boringhieri.
  • Lessing, T. (1930). Der jüdische Selbsthaß, Berlin, Jüdischer Verlag.
  • Klein, M. (1940-1994). Mourning and its relation to manic-depressive state. In R.V. Frankel (a cura di), Essential Papers on Object Loss. Essential Papers in Psychoanalysis, pp. 95-122. New York: State University of New York Press. DOWNLOAD
  • Rado, S. (1928). The Problem of Melancholia. International Journal of Psychoanalysis, 9, 420-438.
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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