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Obbedienza all’Autorità: una nuova ricerca approfondisce gli studi di Stanley Milgram

Psicologia: un buon numero dei soggetti che resisteva allo sperimentatore lo faceva in modi simili a quelli tentati dagli individui che obbedivano...

Di Laura Pancrazi

Pubblicato il 26 Gen. 2015

Aggiornato il 03 Giu. 2015 14:27

FLASH NEWS

I risultati mettono in luce che anche le persone categorizzate da Stanley Milgram come obbedienti hanno in realtà tentato di resistere alle istruzioni dello sperimentatore. Non è che immediatamente e in modo naturale le abbiano seguite. Essi stavano cercando davvero di combattere qualcosa che avveniva dentro di loro, non si sono piegati ad una cieca obbedienza.

Nel 1961, sul ricordo delle atrocità naziste e sulla scia del processo di Norimberga ancora fresco, lo psicologo Milgram condusse una serie di scomodi esperimenti sul tema dell’obbedienza all’autorità e dei comportamenti riprovevoli che a questa conseguono. Tuttavia, nei suoi esperimenti, Milgram divise i partecipanti allo studio in due sole categorie: obbedienti e disobbedienti. Hollander, un giovane laureato in sociologia presso l’University of Wisconsin – Madison, ha studiato l’esperienza di più di 100 dei soggetti che hanno preso parte agli esperimenti di Milgram, effettuando un’analisi più sottile dei dati e giungendo a conclusioni maggiormente approfondite.

Circa due terzi degli 800 individui reclutati da Milgram erano disposti a somministrare scariche elettriche sempre più potenti ad uno sconosciuto che non gli era dato di vedere, nonostante egli emettesse grida atroci e spaventosi lamenti.

“Milgram era convinto di aver trovato una sorta di lato oscuro dell’umanità” , dice Matthew Hollander. “I soggetti obbedivano molto di più e molto più spesso di quanto egli si sarebbe aspettato, e questo è stato per lui un risultato inaspettato e incomprensibile. Forse per questo ha trovato difficile entrare profondamente in merito alla questione”. Ma il giovane studente è andato oltre, cogliendo sfumature più sottili nei dati raccolti che forse permetterebbero di prevenire che i comportamenti di cieca obbedienza all’autorità prevalgano su una valutazione etica in situazioni reali: “La maggioranza dei partecipanti cedeva e seguiva le istruzioni dello sperimentatore. Ma un buon numero di queste persone resisteva, e molti dei modi in cui lo facevano erano simili a quelli tentati dagli individui che alla fine obbedivano”.

Gli studi di Hollander, pubblicati online dal British Journal of Social Psychology, si basavano su un’approfondita analisi delle registrazioni audio effettuate da Milgram.  Da tale analisi emerge che le pratiche messe in atto per contrastare l’insistenza dello sperimentatore a somministrare scariche elettriche sarebbero molte e diverse tra loro. Esse sono inoltre condivise tra i partecipanti che alla fine cedono e obbediscono, e quelli che invece resistono e disobbediscono. Ma con alcune differenze: i primi le mettono in atto più tardi, meno spesso e con meno convinzione rispetto ai secondi.

Alcune delle pratiche attuate dai soggetti sono soft e poco aggressive: consistono spesso in lunghi silenzi, esitazioni, lamenti e risate isteriche, a rappresentare il grande sforzo che tale collusione richiedeva. Altre modalità sono invece più esplicite, come ad esempio inveire contro il macchinario che somministra le scariche o esprimere la preoccupazione e il disagio allo sperimentatore. Se espresse in forma fortemente assertiva, vanno a costituire quelli che Hollander chiama “stop try”. Altre variazioni di “stop try” consistono in affermazioni del tipo “Non posso continuare” o “Non posso fare questo”.

“Prima di esaminare queste registrazioni”, dice il moderno sociologo, “mi aspettavo dei modi più aggressivi di interrompere la pratica. Che so, tentare di aprire la porta dove la vittima dovrebbe essere rinchiusa, aggredire lo sperimentatore, cercare di scappare. La verità è che sono messi in atto molti tentativi di porre fine all’esperimento, ma sono tutti meno violenti di quanto ci aspetteremmo”.

Aggiunge Douglas Maynard, professore di sociologia presso l’University of Wisconsin – Madison e direttore del Garfinkel Laboratory for Ethnometodology and Conversation Analysis: “Tali risultati mettono in luce che anche le persone categorizzate da Milgram come obbedienti hanno in realtà tentato di resistere alle istruzioni dello sperimentatore. Non è che immediatamente e in modo naturale le abbiano seguite. Essi stavano cercando davvero di combattere qualcosa che avveniva dentro di loro, non si sono piegati ad una cieca obbedienza”. In questo sta una possibile applicazione futura dei risultati di Hollander. Se fosse possibile addestrare le persone a delle reali e più assertive pratiche di resistenza, si preverrebbe il rischio di obbedienza ad azioni che comunque dentro di noi giudichiamo immorali, illegali ed inumane.

Non si tratta solo di eventi eclatanti come le torture naziste, quelle nelle prigioni irachene o quelle che avvengono in certi interrogatori della CIA, come riportato nella recente relazione del Senato americano. Si tratta anche del rapporto tra uno studente e il suo insegnante, per esempio. O di qualsiasi caso in cui la subordinazione possa utilmente essere rispettosa, ma anche resistente e se necessario disobbediente quando ciò si renda necessario per ragioni etiche, morali, politiche e sociali.

 

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Laura Pancrazi
Laura Pancrazi

Psicologa clinica. Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.

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