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Metacognizione e deterioramento del funzionamento sociale nella depressione

Gli studi hanno dimostrato la presenza di difficoltà nelle aree di cognizione sociale, metacognizione, teoria della mente e percezione sociale - Psicologia

Di Caterina Conti

Pubblicato il 29 Gen. 2015

Aggiornato il 07 Set. 2015 14:23

 

Il malfunzionamento metacognitivo è presente in tutte le fasi del disturbo depressivo? Le abilità cognitive e metacognitive continuano a peggiorare dopo il primo impatto con i sintomi? In che modo? Che ruolo hanno la severità dei sintomi e la durata del disturbo?

Il Disturbo Depressivo Maggiore è considerato uno dei disturbi più debilitanti. L’impatto sulla qualità della vita è profondo e associato ad un deterioramento importante del funzionamento sociale. Numerose ricerche in letteratura documentano la presenza di problemi interpersonali sia come causa che come conseguenza del disturbo; le persone depresse sono meno attive e soddisfatte della loro vita sociale e frequentemente riportano difficoltà nella relazione con i propri compagni, figli e amici.

C’è un crescente interesse intorno alla possibilità che deficit nella cognizione sociale possano contribuire alle difficoltà interpersonali riscontrate nei pazienti depressi.
La ricerca in quest’area ha documentato un malfunzionamento nella teoria della mente (ToM) e nella codifica di stimoli emotivi mentre pochi studi hanno indagato il ruolo di abilità di ordine superiore, come la metacognizione o la mentalizzazione, nel deterioramento del funzionamento sociale nei pazienti depressi.

Un recente studio che mette in rilievo questo aspetto è quello di Ladegaard e colleghi (2014).
Gli autori esaminano un campione di quarantaquattro pazienti durante il primo episodio depressivo attraverso un’ampia gamma di strumenti, compresa la MAS (Metacognition Assessment Scale) nella sua versione abbreviata (MAS-A).
I risultati indicano difficoltà presenti in tutte le aree di cognizione sociale esaminate, metacognizione, teoria della mente e percezione sociale, con differenze significative rispetto ai quarantaquattro pazienti del gruppo di controllo. In un precedente studio su caso singolo Carcione e colleghi (2008) riportano un miglioramento delle capacità metacognitive progressivo e parallelo al recupero dalla sintomatologia depressiva in una giovane donna, come evidenziato dalla MAS.

Questi risultati sono in linea con lo studio di Fischer-Kern e colleghi (2013) che, utilizzando la RFS (Reflective Functioning Scale) sulla Adult Attachment Interview, ritrae un deterioramento significativo nell’ identificazione e nell’ interpretazione dei propri e altrui stati mentali, in un campione di quarantasei pazienti donne con Disturbo Depressivo Maggiore, rispetto al gruppo di controllo.
Pur con alcune discordanze tra gli studi, le evidenze disponibili suggeriscono un deterioramento ad ampio raggio della cognizione sociale durante la fase acuta del disturbo e aprono la strada a possibili implicazioni terapeutiche, come la necessità di valutare il malfunzionamento metacognitivo in fase diagnostica e di includere nella cornice di trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore strategie terapeutiche focalizzate al recupero delle abilità implicate nella cognizione sociale.

Diverse domande restano aperte. Per esempio, il malfunzionamento tracciato è presente in tutte le fasi del disturbo? Le abilità cognitive e metacognitive continuano a peggiorare dopo il primo impatto con i sintomi, in che modo? Che ruolo hanno la severità dei sintomi e la durata del disturbo?

Ladegaard e colleghi (2014), ponendosi queste domande, cercano di far luce sulla traiettoria su cui si muovono le abilità coinvolte nella cognizione sociale a partire dalla comparsa del primo episodio.
Ventisette pazienti con Depressione Maggiore Cronica (che, secondo la classificazione del DSM-IV soddisfano continuativamente i criteri di diagnosi per il Disturbo Depressivo Maggiore per un periodo minimo di due anni) sono messi a confronto con quarantaquattro pazienti al primo episodio di Depressione Maggiore su diversi strumenti di valutazione in grado di descrivere le funzioni implicate nella cognizione sociale, tra le quali la ToM e la metacognizione.

Gli autori ipotizzano un funzionamento peggiore della cognizione sociale dei pazienti cronici rispetto ai pazienti al primo episodio, come conseguenza della lunga esposizione al disturbo, e un’associazione tra severità dei sintomi e deterioramento delle abilità cognitive utilizzate nella comprensione sociale, ipotesi coerente con studi che documentano un’associazione tra durata degli episodi depressivi e atrofia di alcune aree cerebrali.

Nessuna ipotesi è confermata. Deficit nella cognizione sociale sono presenti in egual misura in entrambi i gruppi e non si evidenzia alcuna significativa associazione tra gravità sintomatologica e abilità cognitive sociali. La presenza di un disturbo depressivo da moderato a grave potrebbe essere quindi sufficiente per prevedere la presenza di deficit nelle abilità coinvolte nei processi di comprensione sociale.
Seguendo i descrittori della MAS-A emerge che entrambi i gruppi hanno difficoltà nel collegare pensieri, emozioni, comportamenti e processi interpersonali. Entrambi i gruppi riconoscono gli altri come portatori di pensieri ed emozioni ma faticano a riconoscere il legame esistente tra pensieri, emozioni e comportamenti nell’altro. Entrambi i gruppi faticano a comprendere che l’altro adotta punti di vista diversi dal proprio nella comprensione degli eventi. Infine, in egual modo, i soggetti esaminati utilizzano il supporto dell’altro ma falliscono nel gestire stati di sofferenza soggettiva mutando la loro prospettiva sul problema.

In modo simile, van Randenborgh e colleghi (2012), esaminando la ToM in pazienti con depressione cronica e pazienti con depressione episodica, non riportano differenze tra i gruppi mentre altri studiosi (King et al., 2010) riportano la tendenza dei pazienti depressi a produrre memorie generiche indipendentemente dalla severità dei sintomi.
Tuttavia, in contrasto con queste evidenze, una significativa associazione tra deterioramento nelle capacità di mentalizzazione, durata del disturbo e numero di accessi ospedalieri è descritta nello studio di Fischer-Kern e colleghi (2013) prima citato.
Interessanti sono le spiegazioni avanzate da Ladegaard e colleghi di fronte agli inaspettati risultati.

I ricercatori ipotizzano la presenza di un processo di adattamento: con il perdurare della sofferenza i pazienti cronici avrebbero avuto più tempo a disposizione per adattarsi ad una condizione di difficoltà, tempo che avrebbe permesso loro di funzionare a pari livello dei pazienti durante il primo episodio depressivo. Seguendo lo stesso filone di pensiero gli studiosi avanzano l’idea che l’impatto iniziale del disturbo possa assorbire le risorse cognitive, sottraendole così al processo di comprensione sociale.
Un processo simile è emerso nei pazienti schizofrenici all’esordio; quando confrontati con pazienti schizofrenici con un tempo di malattia prolungato alle spalle, mostrano simili o peggiori abilità meta cognitive (Vohs et al., 2014).
Resta da considerare, per quanto riguarda l’assenza di associazione tra severità dei sintomi e abilità cognitive sociali, se ampliando la forbice entro cui considerare la severità dei sintomi possano emergere associazioni non evidenziate nello studio attuale.

Infine, un accenno alla farmacoterapia. Mentre nessuno dei pazienti al primo episodio assume farmaci, il 93% dei pazienti con Depressione Cronica è sottoposto a trattamento farmacologico, con terapie e dosaggi diversi, che potrebbero giocare un ruolo nel consentire prestazioni migliori rispetto alle aspettative.
Tra i limiti da considerare vi sono le dimensioni ridotte del campione e possibili problemi di classificazione dei pazienti. Gli autori sottolineano la necessità di studi futuri con campioni più numerosi e diversificati, che considerino tra altri aspetti, la presenza di Disturbi di Personalità e traumi nella storia personale, in quanto importanti predittori di un povero funzionamento metacognitivo (Dimaggio et al., 2007).
Per il momento, sottolineano gli autori, è difficile trarre conclusioni definitive ma un dato emerge con chiarezza; la necessità di lavorare sin dall’esordio, sin dal primo episodio depressivo, sul funzionamento cognitivo e metacognitivo coinvolto nei processi di comprensione sociale.
Se questi risultati dovessero essere replicati potrebbero di certo avere importanti implicazioni terapeutiche. Inoltre, studi prospettici potranno gettare luce sui rapporti di causalità tra cognizione sociale e Disturbo Depressivo Maggiore.

 

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Caterina Conti
Caterina Conti

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale

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