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Psicoterapia: Congresso APA 2014 – Report da Washington DC

Reportage dal Congresso annuale della American Psychological Association: 7-10 Agosto 2014, Washington DC. Psicologia & Psicoterapia

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 13 Ago. 2014

Congresso APA 2014:

Lo sguardo sulla REBT

APA 2014 WASHINGTON - REPORTAGE 

Mastodontico ma non dispersivo è stato il congresso annuale convocato dall’APA (American Psychological Association) a Washington negli Stati Uniti d’America dal 7 al 10 agosto 2014. Non dispersivo forse soprattutto per l’app gratuita per smartphone offerta dall’organizzazione, app che consentiva di cercare le presentazioni d’interesse, sistemarle su un’agenda e localizzarle all’interno dell’enorme Washington Convention Center, a pochi passi dalla Casa Bianca e Capitol Hill. Grazie a questo strumento ho potuto individuare gli eventi di carattere clinico che più mi interessavano.

Ho privilegiato naturalmente i simposi dedicati alla psicoterapia, dividendomi tra simposi sulla supervisione e simposi sulla Rational Emotive Behavior Therapy (REBT). In questo articolo descrivo due simposi sulla REBT. Nel primo simposio, giovedì mattina 7 agosto, ho potuto assistere a un vero e proprio duello di psicoterapie.

Un duello tra psicoterapie cognitive, la CBT (Cognitive Behavioural Therapy) contro la REBT. Un cliente volontario con problemi di ansia si è sottoposto dal vivo a due minisedute di venti minuti ciascuna, la prima con Arthur Freeman (dell’Università di Chicago) nella parte del terapeuta CBT e la seconda con Kristene Doyle (dell’Albert Ellis Institute di New York) nella parte della terapeuta REBT. Arbitro Ray DiGiuseppe. Il lancio di una moneta ha stabilito che il primo ad agire fosse Freeman, mentre la Doyle si accomodava fuori dalla stanza. Quando è stato il turno della Doyle, Freeman è rimasto ad ascoltare.

Naturalmente il metodo non è perfetto. Nella seconda seduta –la seduta REBT- il cliente aveva potuto già usufruire dell’effetto della seduta CBT. Inoltre il cliente era in verità un collega in formazione, e in formazione REBT. Quindi conosceva i principi cognitivi e quelli specifici REBT. Il cliente è infatti un giovane terapeuta in ansia per il suo futuro professionale, ansia nutrita da insicurezze personali e da dubbi sul suo livello di preparazione. E questo è il problema che ha portato, a somiglianza di tanti giovani colleghi italiani che a lezione portano l’ansia per il proprio futuro professionale come argomento di esercitazione. Ultimo limite, Freeman ha avuto sia una formazione CBT che REBT e caricava intenzionalmente l’aspetto CBT.

Malgrado queste forzature, la differenza di metodo era istruttiva. In breve, la teoria cognitiva generale descrive l’ansia come un eccesso di preoccupazione, una sopravvalutazione dei problemi e dei pericoli e una sottovalutazione della propria capacità di gestirli. All’interno di questa cornice, la CBT alla Beck lavora sugli errori di lettura della realtà, quegli errori che ci fanno credere che gli ostacoli siano più ostici di quel che sembra. Insomma, la tecnica chiave del terapeuta CBT è una valutazione critica delle difficoltà immaginate dal cliente ansioso e la loro normalizzazione, il loro ridimensionamento. Il terapeuta chiede, in maniera accogliente:

“Come fai a dire che gli ostacoli che immagini ci siano, o siano così insormontabili?”

Nel caso specifico del simposio APA, Freeman ha condotto una valutazione critica dei dubbi e dei timori del giovane collega ansioso sulla pochezza delle proprie capacità professionali e sulla rarità degli sbocchi lavorativi, per giungere alla conclusione che questi timori erano eccessivi: nessuno, in realtà, aveva espresso giudizi negativi verso il giovane collega, né i suoi superiori né i suoi primi clienti, e nemmeno i primi passi nel mondo del lavoro erano stati così deludenti e frustranti.

L’impostazione della CBT è dunque ottimista e collaborativa. Terapeuta e cliente insieme esplorano il mondo e scoprono che i mostri temuti nel buio della mente diventano –alla luce della psicoterapia- dei mostriciattoli molto meno penosi.

Può sembrare un’impostazione semplicistica e ingenua. Ed è proprio questa la critica che sempre Ellis aveva rivolto a Beck. Nella REBT la visione filosofica è meno ottimista. Gli scenari peggiori possono avverarsi e l’obiettivo terapeutico non è solo eliminare eventuali valutazioni cognitive errate sull’entità degli ostacoli, ma anche prepararsi emotivamente al peggio. Ovvero, prendere atto che le sconfitte possono avvenire e che non sta scritto da nessuna parte che le cose vadano come si desidera. È una visione stoica della vita. Per questo il terapeuta REBT lavora non tanto su: “vediamo quanto è probabile quel che temi” ma sul “e dove sta scritto che quel che temi non debba avvenire?.

Detto così, sembra un intervento ruvido che potrebbe addirittura indebolire il paziente. Espresso però con la dovuta capacità di costruire e mantenere l’alleanza terapeutica, diventa un attacco alle aspettative del cliente, alle sue pretese che non ci siano difficoltà e ostacoli tra se e i propri scopi personali.

Per la REBT, la rinuncia a queste pretese (“demands”) è il presupposto per poi smettere di immaginare in maniera terribilizzante gli ostacoli (“awfulizing”), di temere di non poter tollerare la frustrazione (“frustration intolerance”) e di formulare queste difficoltà in termini denigrativi di se o degli altri (“self-downing” e “other-downing”). Lo stile diventa più sfidante e meno accogliente.

Doyle e Freeman hanno dato una buona prova dal vivo di queste due opposte tecniche. Quale sia la migliore, è una domanda al tempo stesso interessante e oziosa. Per anni ha prevalso la CBT di Beck, anche grazie a maggiore investimento sulla ricerca mirata su disturbi specifici definiti nei termini medici e psichiatrici più rigorosi. La REBT ha invece preferito un approccio più globale e psicologico e al tempo stesso più mirato sui problemi singoli del cliente nel qui e ora. Negli ultimi anni, a seguito degli sviluppi cosiddetti di terza ondata, l’attenzione della REBT per la resilienza emotiva ai disturbi piuttosto che agli errori cognitivi ha ricevuto un ritorno d’interesse. Anche l’efficacia della REBT è stata finalmente testata, e i risultati sono promettenti, confermando che la REBT ha precorso alcuni passi avanti individuati nelle terapie di terza ondata. Al tempo stesso, la terza ondata ha sottolineato alcune deficienze teoriche della CBT. Questi sviluppi sono stati descritti e valutati criticamente da Raymond DiGiuseppe in un secondo simposio REBT tenutosi domenica 10 agosto, poche ore prima della chiusura finale del congresso.

Un terzo simposio sulla REBT era dedicato ad applicazioni specifiche. Segnalo la presentazione della collega italiana Sara Bernardelli, che ha mostrato dati sull’applicazione della REBT nei bambini.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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