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Io speriamo che me la cavo: come spieghiamo ciò che ci accade?

Andrà tutto bene o tutto male? Centrale, negli ottimisti e/o nei pessimisti, è lo stile esplicativo: il modo in cui ci spieghiamo quello che affrontiamo.

Di Redazione

Pubblicato il 13 Giu. 2014

Vincenzina Porretta

 

Io speriamo che me la cavo!: cos’è che ci porta a pensare che tutto è destinato a evolvere in maniera negativa? Cos’è invece che ci spinge a credere che il futuro ci sarà favorevole? La differenza sta in quello che viene chiamato stile esplicativo: il modo in cui spieghiamo a noi stessi quello che ci troviamo ad affrontare nella nostra vita.

Io speriamo che me la cavo è il titolo di un libro degli anni novanta del maestro Marcello D’Orta che raccolse i temi dei suoi studenti di una scuola elementare in provincia di Napoli. Il testo volge lo sguardo al disagio dei giovani del sud attraverso l’innocente sguardo dei bambini.

Il titolo, seppur ironico, è quanto mai voluto perché anche noi, ogni giorno, siamo chiamati a districarci nella nostra quotidianità … e forse anche noi  pensiamo : “Io speriamo che me la cavo!”

Ma cos’è che ci porta a dire questa frase o piuttosto a pensare che tutto è destinato a evolvere in maniera negativa, che i problemi che incontriamo sono destinati a perdurare per molto tempo, o a dirci che noi non saremo mai abbastanza per fare una determinata cosa, riuscire in un determinato obiettivo, etc.? Cos’è invece che ci spinge a credere che il futuro ci sarà favorevole?
La differenza sta in quello che viene chiamato stile esplicativo, o per chiarirci, nel modo in cui interpretiamo gli eventi che ci accadono, cioè come spieghiamo a noi stessi quello che ci troviamo ad affrontare nella nostra vita.

Gli individui che comunemente definiamo pessimisti tendono a pensare che la situazione traumatica sia permanente (questa cosa non finirà mai!), e pervasiva (nella mia vita succede sempre così!) e si incolpano per quanto avviene. La spiegazione data è quindi pervasiva, permanente e personale.

Come sottolinea Seligman

[blockquote style=”1″]Quando si spiega un fallimento in modo permanente e pervasivo lo si proietta nel futuro e in tutte le situazioni.[/blockquote]

Quando invece accade un evento positivo, i pessimisti tendono a pensare che non siano stati loro gli artefici ma fattori esterni (ho avuto un colpo di fortuna!), e credono che la situazione piacevole sarà temporanea, quindi non durerà, e circoscritta esclusivamente ad uno specifico evento.

Viceversa gli ottimisti di fronte ad una situazione negativa forniscono solo spiegazioni temporanee e circoscritte. Pensano quindi che le cose si sistemeranno rapidamente e che tale situazione coinvolgerà una parte della loro vita non tutti i suoi ambiti.
A fronte di questa diversa interpretazione degli eventi, i pessimisti adotteranno strategie di coping evitante, laddove invece gli ottimisti utilizzeranno uno stile di coping attivo.

Il diverso modo di interpretare gli eventi inevitabilmente porta con sé delle ripercussioni in diversi ambiti: a scuola, ad esempio, un bambino che crede di non poter far niente di buono, di fronte alla difficoltà smetterà di provare ed inevitabilmente prenderà voti più bassi. Di conseguenza il potenziale può arrivare a perdere la sua rilevanza se non affiancato da uno stile esplicativo positivo. Inoltre il livello di pessimismo può avere ripercussioni sulla salute indebolendo il sistema immunitario.

Viceversa l’ottimismo può influenzare la salute in maniera positiva in diversi modi: ad esempio, gli ottimisti fanno meno esperienza di episodi duraturi di impotenza appresa e questo gli consente di mantenere difese immunitarie più attive. L’impotenza appresa indica le reazioni di rinuncia che scaturiscono dal credere che qualsiasi cosa si faccia non sia importante ed in grado di influenzare gli eventi; tale atteggiamento non influisce solo sul comportamento ma diminuisce anche l’attività del sistema immunitario.

Un’altra ragione per cui gli ottimisti dovrebbero avere una salute migliore sta nel fatto che essi affrontano più rapidamente gli eventi, e quindi con più probabilità agiscono per prevenire l’insorgenza della malattia o per debellarla quando ne sono colpiti.
Un ulteriore fattore che tutela lo stato di salute è legato al supporto sociale; la capacità di instaurare forti legami di amicizia e amore sembra essere importante per la salute fisica.

I pessimisti, invece, diventano facilmente passivi di fronte alle difficoltà e non ricercano supporto negli altri. Le persone che si isolano quando sono malate tendono a peggiorare, in quanto anche il contatto sociale costituisce un fattore di prevenzione nei confronti della malattia.

Lo stile esplicativo è il modulatore dell’impotenza appresa, e dato il modo in cui un pessimista abitualmente si spiega gli eventi che vive (cioè in modo permanente e pervasivo), in seguito ad un fallimento egli tenderà a estendere il senso d’impotenza oltre lo specifico evento.

Per comprendere meglio come noi possiamo distorcere la realtà con il nostro stile esplicativo riporto l’esempio di una paziente proposto da Seligman.
Mentre era terapia, nel ricordare alcuni eventi della sua vita, la donna disse che quando un professore espresse i propri complimenti per un suo commento, pensò: «Prova ad essere carino con tutte», quando apprese la notizia dell’assassinio di Indira Gandhi pensò: «In un modo o nell’altro tutte le donne al potere sono condannate». Quando il suo compagno una notte si rivelò impotente,  lei pensò: «Sono io che gli faccio schifo».
Ma quando Seligman le chiese: «Se un ubriaco per strada ti dicesse che sei ripugnante tu ci crederesti?», la sua risposta fu: «Sicuramente no». Di fronte a questa risposta lui le disse:«Tuttavia quando dici le stesse cose irragionevoli a te stessa ci credi. Questo perché ritieni che la fonte delle informazioni, ossia tu stessa, sia più attendibile. Ma spesso noi distorciamo la realtà più degli ubriachi».

Seligman, in questo modo, portò la sua paziente a mettere in discussione i suoi pensieri automatici. Quello che cominciò a sviluppare fu la capacità di condurre un dialogo personale ottimistico, nella consapevolezza che l’aspettativa del fallimento non fa altro che renderlo  più probabile.

Comprendere che dietro ogni sentimento c’è un pensiero che lo ha generato, e sviluppare una maggiore coscienza di quest’ ultimo, serve a interrompere il loop che porta ad adottare sempre i medesimi comportamenti disfunzionali. Quindi, in questa prospettiva, le emozioni come la tristezza, la paura e la rabbia non sono da ritenersi immutabili ma derivanti dalle credenze della persona, e pertanto non sono inevitabili e permanenti.

 

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Imparare la felicità – Psicologia & Benessere

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Seligman M.E.P. (1990). Learned optimism. How to change your mind and your life. New York: Pocket Books (Trad. it. Imparare l’ottimismo. Firenze:Giunti). ACQUISTA
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