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Io non mi adeguo! Fenomenologia del Whistleblower

Il whistleblower è colui che rivela comportamenti scorretti, messi in atto dall'organizzazione in cui lavora, che rappresentano un pericolo per la comunità.

Di Mauro Grillini

Pubblicato il 11 Giu. 2014

Aggiornato il 08 Ott. 2014 09:31

 

 

Con il termine whistleblower si fa riferimento a un individuo che, internamente o esternamente all’organizzazione in cui lavora, rivela comportamenti scorretti commessi all’interno della stessa, i quali rappresentano un pericolo per la comunità.

 

[blockquote style=”1″]Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo (Sandro Pertini).[/blockquote]

Con il termine whistleblower (lett. soffiatore di fischietto) si fa riferimento a un individuo che, internamente o esternamente all’organizzazione in cui lavora, rivela errori o comportamenti scorretti commessi all’interno della stessa, i quali rappresentano un danno o pericolo per la comunità.

Questa figura – ben rappresentata nell’omonimo film del 2011 –  e spesso al centro di notizie di cronaca giudiziaria, italiana e non – si trova a fronteggiare un’autorità superiore, che decide consapevolmente di sfidare, rischiando probabili ritorsioni e la perdita del lavoro stesso.

Come notano Nemeth e Goncalo (2004) molte organizzazioni, aziende e istituzioni tendono infatti a prediligere al proprio interno atteggiamenti di conformismo e coesione, inquadrando gli individui non allineati come minaccia (Collins e Porras, 1994) verso cui attivare meccanismi di persuasione o di vero e proprio rifiuto ed espulsione dal gruppo (Levine, 1989; Nemeth, 1997). I celebri studi di Milgram (Milgram, 1963; Milgram, 1965; Milgram, 1974) inoltre hanno dimostrato che vi sono fattori di natura situazionale che favoriscono massicciamente comportamenti acquiescenti verso un’autorità riconosciuta, anche di fronte a richieste lesive dell’integrità altrui.

Può essere dunque interessante dal punto di vista psicologico capire cosa spinge il whistleblower a denunciare e in quali dimensioni si distingue dai colleghi che, a parità di condizioni esterne, prediligono il silenzio.

Bocchiaro e Zimbardo, in due recenti lavori, si prefiggono quest’obiettivo, allargando il focus degli studi sull’obbedienza all’autorità, concentrandosi sulla figura del disobbediente (ossia colui che rifiuta di eseguire le consegne dello sperimentatore) e del vero e proprio whistleblower.

Nel primo disegno sperimentale ai soggetti veniva richiesto di criticare il proprio compagno di prove (in realtà complice dello sperimentatore) in modo progressivo e sempre più oltraggioso, per ogni errore commesso nelle stesse, con una penalità fittizia nel caso di abbandono, in modo da rendere più difficile e sconveniente la disobbedienza; il compagno avrebbe reagito agli insulti con una serie programmata di lamenti e segnali di disagio.

Le misure di personalità, in questo caso, non giustificherebbero gli alti livelli di disobbedienza riscontrati (70% dei partecipanti), che sarebbero invece riconducibili tanto a fattori situazionali, quali la vicinanza tra i partecipanti e la distanza fisica tra questi e l’autorità, quanto ad elementi di carattere valoriale: in altre parole, considerando prioritaria la tutela dell’integrità del compagno, i disobbedienti tendevano a percepire come necessaria una propria azione diretta ed immediata, attribuendo priorità a segnali di minaccia, pericolo o immoralità.

Risultati analoghi sono emersi nel secondo studio, nel quale la consegna era di scrivere, dietro adeguata ricompensa, commenti favorevoli circa la necessità di un esperimento sulla deprivazione sensoriale, potenzialmente pericoloso per l’incolumità psicofisica dei partecipanti, in modo che il Comitato Etico dell’Università approvasse il progetto; in una stanza separata era posizionato un computer da cui scrivere e una cassetta della posta dove eventualmente segnalare al Comitato la potenziale pericolosità dell’esperimento in forma anonima. Tale accorgimento era finalizzato a fornire la possibilità di disobbedire attivamente all’autorità, oltre che il mero evitamento del compito.

Anche in questo caso chi sceglieva di denunciare mostrava un orientamento preferenziale verso valori morali internalizzati (E’ anti-etico, va contro i miei principi) piuttosto che verso istruzioni esterne. Sarebbe dunque tale orientamento, piuttosto che caratteristiche di personalità, ad influire sul senso di responsabilità individuale di fronte a situazioni non ordinarie e conflittuali, e sulla conseguente probabilità di comportamenti di disobbedienza attiva, a prescindere dalla presenza di premi o punizioni materiali.

Anche studi di natura cross- culturale (Morselli, 2009) evidenziano il ruolo dell’atteggiamento valoriale del singolo nei confronti dell’autorità. In questi veniva distinta un’obbedienza acritica – caratterizzata cioè da un’aderenza incondizionata alle regole imposte dall’alto – e un’obbedienza responsabile, basata invece su un senso interno di responsabilità personale (Bierhoff e
Auhagen, 2001): mentre nella prima condizione le misurazioni correlavano positivamente con dimensioni di autoritarismo, nel secondo caso gli individui sembravano mostrare un orientamento più favorevole verso l’autonomia personale, la prosocialità, l’inclusività sociale e un maggiore coinvolgimento personale in azioni di protesta e disobbedienza attive, quali petizioni, boicottaggi, occupazioni di edifici ecc.

Obbedienza e disobbedienza non sembrerebbero dunque costrutti completamente antitetici ma andrebbero inquadrati come elementi complementari, mediati, tra gli altri fattori, dall’orientamento valoriale del singolo: per dirla con Bocchiaro e Zimbardo, il punto non è disobbedire o meno all’autorità, ma a quale tipo di autorità scegliere di obbedire.

 

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BIBLIOGRAFIA

  • Bierhoff, H.W. (2001). Responsibility and altruism. The role of volunteerism. In Auhagen, A.E., Bierhoff, H.W. (Eds.), Responsibility. The many faces of a social phenomenon (149-166). London: Routledge.
  • Bocchiaro, P., Zimbardo, P.G. (2010). Defying Unjust Authority: An Exploratory Study. Current Psychology, 29(02), 155-170.
  • Bocchiaro, P., Zimbardo, P.G., Van Lange, P.A.M. (2012). To defy or not to defy: An experimental study of the dynamics of disobedience and whistle-blowing. Social Influence, 1, 1-16. DOWNLOAD
  • Collins, J.C., Porras, J.I. (1994). Built to last. Successful habits of visionary companies. New York: Harper Collins.
  • Levine, J.M. (1989). Reaction to opinion deviance in small groups. In Paulus, P.B. (Eds.) Psychology of group influence, 2, 187-231. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
  • Milgram, S. (1963). Behavioral study of obedience. Journal of Abnormal and Social Psychology, 67, 371-378.
  • Milgram, S. (1965). Some conditions of obedience and disobedience to authority. Human Relations, 18, 57-76.
  • Milgram, S. (1974). Obedience to authority: An experimental view. New York: Harper & Row.
  • Morselli, D. (2009). Obbedienza e disobbedienza: dinamiche psicosociali per la democrazia. [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Dottorato di ricerca in Psicologia sociale, dello sviluppo e delle organizzazioni, Ciclo 21.
  • Nemeth, C.J. (1997). Managing innovation: When less is more. California Management Review, 40 (1), 59-74.
  • Nemeth, C.J., Goncalo, J.A. (2004). Influence and persuasion in small groups. Berkeley: Institute for Research on Labor and Employment. DOWNLOAD

 

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Mauro Grillini
Mauro Grillini

Psicologo e Psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di Specializzazione "Psicoterapia Cognitiva e Ricerca", Milano

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