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United States of Tara: il Disturbo Dissociativo di Identità sul grande schermo

Il Disturbo Dissociativo dell'Identità proiettato sul grande schermo, un quadro patologico che scinde l'Io dominante e dà vita a personalità autonome

Di Chiara Polizzi

Pubblicato il 25 Giu. 2014

Aggiornato il 05 Dic. 2018 11:48

Il Disturbo Dissociativo dell’Identità diviene il risultato delle forme più estreme di violenza cronica e perpetrata che il soggetto può subire a partire dalla primissima infanzia, al punto che tale evidenza viene oggi inclusa nella nosografia del disturbo stesso da Manuale Diagnostico.

Una Stanza Piena di Gente (2009) è l’emblematico titolo del libro scritto nel 1981 dall’autore americano Daniel Keyes, il quale ripercorre la biografia di William Stanley Milligan (meglio conosciuto come Billy Milligan), un ragazzo di soli 26 anni condannato a pena carceraria dopo esser stato arrestato per rapimento, stupro e rapina di tre studentesse universitarie nel 1977.

Ciò che intriga della vicenda non riguarda tanto il fatto di cronaca di per sé, quando la scoperta, fatta proprio durante l’incarcerazione, della coesistenza nell’imputato di ben 24 personalità differenti, parti emotive del soggetto così dissociate dal suo Io Dominante (altrimenti detto ANP, Apparently Normal Person), strutturate e scisse tra loro.

Settembre 1977. Columbus, Ohio. Billy Milligan, interrogato dopo l’arresto, non nega le accuse che gli vengono mosse, semplicemente afferma di non ricordare e si dimostra sinceramente confuso a riguardo. Tramite numerose perizie psichiatriche, verrà appurato che il giovane Milligan è affetto da un disturbo relativamente misconosciuto nel panorama scientifico del tempo, ma che dal 1980 era stato introdotto con riserve anche all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM III) con l’etichetta di Disturbo della Personalità Multipla (attualmente, DID – Disturbo Dissociativo dell’Identità, dalla IV edizione del DSM – 1994).

In attesa del processo, Milligan viene trasferito all’ospedale psichiatrico Harding Hospital, dove viene messo di fronte a tutte le sue personalità, permettendone così una seppur fragile “fusione” (integrazione). Questo gli consente di affrontare il processo, il cui verdetto finale porta alla dichiarazione di non colpevolezza per infermità mentale (viene difatti riconosciuto come responsabile dei fatti, ma non mentalmente presente al momento della loro commissione).

Da qui, il trasferimento all’Athens Mental Health Center, sotto le cure del Dottor David Caul. L’evento mediatico che si scatena sul caso Milligan mette lo stesso Billy sotto una pressione tale da rompere il delicato equilibrio di fusione raggiunto e ne provoca nuovamente la dissociazione delle personalità.

Nonostante la regressione, tutte le EP (Emotional Parts) di Billy si dimostrano collaborative, tanto da permettere l’emergere di un’ultima personalità: quella del Maestro, la somma di tutte le identità, la loro fusione, il vero Billy. Il Maestro, unico possessore di tutti i ricordi di ciascuna personalità, racconta la vera storia di Billy Milligan (dalla primissima infanzia, alle sevizie ed abusi subìti, fino agli ultimi eventi), rendendo così possibile la stesura di questo libro, redatto proprio grazie alla collaborazione tra tutte le EP in cui il protagonista si è scisso.

Biografie analoghe non sono nuove nella letteratura internazionale: uno dei primi scritti riguardanti questo disturbo è difatti Sybil (Schreiber, 1973), storia romanzata della vita di Shirley Ardell Mason (alias, Sybil), giovane donna tra le prime a vedersi riconosciuta la diagnosi di DDI.

Sybil convive con 16 differenti personalità, le quali hanno caratteristiche, connotati e specificità tanto uniche da non poter essere spiegate come tratti di un’unica persona. Perdite di temposplitting, e fusione divengono dunque termini ricorrenti per descrivere questo controverso disturbo che, come ormai sembra assodato, si struttura su una base traumatica molto severa, legata a esperienze infantili precoci e alla relazione con caregivers abusanti, maltrattanti e gravemente negligenti.

Questo quanto accaduto a Sybil, questo quanto accaduto a Billy Milligan: la psicopatologia diviene una forma estrema di dissociazione, la quale raggiunge un livello disintegrazione tale da scindere (letteralmente) l’Io dominante, l’ANP, al punto da dare vita a personalità autonome, indipendenti e tutte coesistenti all’interno di un unico organismo (Liotti & Farina, 2011), in un processo di perdita della capacità della mente di integrare vere e proprie parti di sé e delle sue funzioni superiori (Dutra et al., 2009).

Il Disturbo Dissociativo dell’Identità diviene quindi il risultato delle forme più estreme di violenza cronica e perpetrata che il soggetto può subire a partire dalla primissima infanzia, al punto che tale evidenza viene oggi inclusa nella nosografia del disturbo stesso da Manuale Diagnostico.

Diverse sono le tendenze che tentano di spiegare questa disintegrazione del Sé: per alcuni, la dissociazione non è che un meccanismo di difesa, dedito a proteggere l’Io da esperienze estremamente dolorose e fortemente destabilizzanti, accompagnate da un senso di insottraibilità alle stesse esperito dal soggetto (Bordi, 1999); per altri, unitamente a questo, sembra intervenire un complesso processo che parte dalla disregolazione degli stati emozionali e di arousal, innescando meccanismi prettamente biologici (evoluzione della teoria polivagale di Porges) e spegnendo il soggetto, che giunge alla scissione nei casi più gravi – in queste circostanze si parla di un particolare tipo di dissociazione che viene detta terziaria – (Tagliavini, 2011).

Naturalmente, il Disturbo Dissociativo dell’identità è decisamente più articolato: ancora oggi la letteratura non ne parla in modo approfondito, in parte a causa della rarità del fenomeno, in parte probabilmente proprio per la sua complessità.

Anche solo immaginare un paziente che presenti le caratteristiche sopra descritte pare quasi fantascientifico, pertanto non ci stupisce la reazione scettica di medici e psichiatri che, anni fa, hanno avuto a che fare con personaggi controversi quali Sybil e William Milligan.

Per aiutarci nella rappresentazione di questo gravissimo disturbo, rendendoci consapevoli delle difficoltà, conseguenze e stigma che comporta, possiamo tuttavia ammirare la convincente performance dell’attrice americana Toni Collette in United States of Tara, serie TV del 2009 (prodotta da Steven Spielberg) che narra della vita di una donna affetta da DDI.

Le vicende rappresentate concernono la vita quotidiana della protagonista e della sua famiglia, la quale si trova a convivere e dover gestire gli splitting tra una personalità e un’altra, con una figura che in un momento è madre, in un altro è figlia, in un momento è donna e in un altro è uomo.

Il viaggio che Spielberg permette di compiere è di vera e propria scoperta del disturbo e delle sue sfaccettature, aiutando l’osservatore ad averne anche meno paura (il mood della serie televisiva è difatti scherzoso e ironico, aspetto che alleggerisce molto i contenuti decisamente controversi). Ma non solo: la scoperta è anche quella di Tara, della sua infanzia, delle sue personalità, dei suoi scheletri; e stando a quanto noto in letteratura circa le origini della patologia … cosa potrà mai venire alla luce rispetto al passato della protagonista?

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Recensione del libro: Una stanza piena di gente (1998)

La diagnosi nei Disturbi Dissociativi – Intervista a Suzette Boon 

 

BIBLIOGRAFIA:

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