Valentina D’Acquisto
SOPSI 2014
Report dal Simposio:
Ai Confini delle Diagnosi: La Disforia di genere
Si è compreso quanto la Disforia di Genere sia una patologia dall’eziologia, dall’inquadramento e dalla valutazione estremamente complessi.
L’esempio del C.I.D.I.Ge.M. e di molti centri simili insegna tuttavia come un approccio multidisciplinare, nel quale lavorano in sinergia psicologi, psichiatri, endocrinologi, urologi, medici chirurghi, possa portare a un sensibile e significativo miglioramento della qualità di vita della persona transessuale.
All’interno del Presidio Ospedaliero “Molinette” di Torino è presente, dal 2005, il centro C.I.D.I.Ge.M (Centro Interdipartimentale Disturbi dell’Identità di Genere – Molinette) che si occupa della valutazione e del trattamento dei Disturbi dell’Identità di Genere. Si è strutturato come polo d’eccellenza riconosciuto dalla Facoltà di Medicina e come punto di riferimento per l’intera regione Piemonte.
Nel primo intervento (Dott.ssa C. Baietto ) è stata messa in luce la difficoltà che comporta una diagnosi in età pediatrica di Disforia di Genere.
I criteri del DSM-V per DIG (Disturbo dell’Identità di Genere) in età infantile sono rigidi. Il DIG è una condizione poco conosciuta e dall’eziologia incerta: si applica uno modello interpretativo bio-psico-sociale. Pochi sono gli studi che si sono occupati di indagarne l’insorgenza trattandola in alcuni casi come una sindrome molto rara, in altri come frequente, con un’incidenza che si aggira attorno al 2-3% della popolazione pediatrica.
Nella fascia di bambini che va dai 2 ai 12 anni vi è un’incidenza doppia nei maschi rispetto alle femmine, mentre in adolescenza il divario si appiana. L’insorgenza può essere molto precoce (intorno ai 2 anni), oppure tardiva (9-10 anni), con caratteristiche differenti.
I bambini del primo gruppo possono esprimere con molta forza i propri comportamenti crossgender e si arrabbiano molto se ostacolati. Col passaggio all’età puberale, tuttavia, si è stimato come in circa l’80% dei soggetti con diagnosi accertata vi sia una graduale accettazione del proprio sesso biologico e una strutturazione omosessuale nell’orientamento di genere.
Diversa è la situazione per i bambini con un’insorgenza tardiva, per i quali vi sarebbe una tendenza a mantenere nel tempo le caratteristiche della disforia e a rinforzarle al momento della comparsa dei caratteri sessuali secondari.
Seguono gli interventi della Dott.ssa G. Zullo (psicologa) e della Dott.ssa A. Gualerzi (psichiatra) nei quali è stato illustrato il lungo percorso di valutazione diagnostica e presa in carico del soggetto adulto con Disturbo dell’Identità di Genere.
Sono stati innanzitutto declinati i significati di sesso, genere e identità sessuale:
Sesso: rimanda a criteri biologici, ovvero tutte quelle caratteristiche anatomiche e fisiologiche che indicano se si è maschi o se si è femmine;
Genere: costrutto psicologico che cambia e si modifica a seconda delle epoche e dei contesti culturali;
Identità sessuale:
− identità di genere – continuo e persistente senso di sé come maschi o femmine
− ruolo di genere – espressione esteriore dell’identità di genere, ovvero tutto ciò che facciamo per comunicare agli altri la mascolinità o femminilità
− orientamento sessuale – modalità di risposta agli stimoli sessuali: può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale.
Nel caso di un DIG i tre costrutti sopra elencati non coincidono e il soggetto transessuale può esperire una grande sofferenza e un disagio, al punto da desiderare di modificare il proprio corpo per rientrare nel genere desiderato.
Presso il centro C.I.D.I.Ge.M. il percorso di transizione si enuclea in diversi step:
− valutazione psicodiagnostica – durata 6 mesi:
i soggetti che afferiscono al servizio sono sottoposti a colloqui di accoglienza nei quali vengono specificati l’iter di adeguamento e prenotate le prime visite. In un secondo momento iniziano la valutazione psicologica, psichiatrica ed endocrinologica per l’accertamento dell’idoneità al percorso di riassegnazione del sesso. Concludono questa prima fase un’accurata anamnesi (con particolare attenzione al periodo infantile, all’esordio, ai giochi, all’abbigliamento, ecc.), un’esplorazione dell’area della sessualità e una somministrazione di reattivi psicologici (Rorschach, MMPI II, test di livello come WAIS-R e Matrici di Raven)
− Real Life Experience (RLE) – durata 12 mesi:
inizia con l’assunzione della terapia ormonale e la persona comincia a sperimentarsi nel ruolo di genere verso cui si orienta. Durante questo periodo vengono effettuati colloqui individuali espressivo-supportivi volti all’esplorazione dei vissuti del transessualismo e di sostegno in merito ai cambiamenti corporei.
Le modificazioni corporee comportano un cambiamento nella propria identità fisica con un forte investimento sul corpo, per il cui esito vi è incertezza. Vi è, inoltre, una ridefinizione del proprio ruolo di maschi e di femmine a seguito della comparsa dei caratteri sessuali secondari femminili nelle MtF e maschili nei FtM.
Presso il Centro, da maggio 2005 a dicembre 2013, vi sono stati circa 400 ingressi. Ci sono stati 39 drop-out e 47 dimissioni per non congruità con i criteri diagnostici di Disforia di Genere. Attualmente in psicodiagnosi ci sono 21 pazienti (con prevalenza di FtM), mentre in Real Life Experience il numero sale a 70 con prevalenza di pazienti MtF.
Durante il dibattito sono emerse alcune questioni interessanti relative alla valutazione e all’inquadramento psichiatrico del Disturbo dell’Identità di Genere:
1. deve essere utilizzata una certa cautela diagnostica poiché, a differenza degli altri disturbi, questi pazienti non arrivano all’attenzione con dei sintomi specifici quanto piuttosto con una diagnosi autoriferita;
2. si tratta di uno sviluppo psicologico atipico oppure di uno sviluppo in senso psicopatologico? E come si spiega il fatto che sia l’unico disturbo sul quale si interviene chirurgicamente? Si è di fronte a una condizione medica o psichiatrica? Il dibattito in tal senso è ancora aperto ma ci si sta confrontando su una eventuale depatologizzazione della Disforia di Genere;
3. è assente una testistica specifica e l’obiettivo del clinico e dell’equipe non è la guarigione o la remissione dei sintomi, ma l’adeguamento del sesso al fine di un miglioramento della qualità di vita del paziente.
Segue, infine, l’intervento della dott.ssa C. Manieri, endocrinologa, che affronta la disforia di genere da un punto di vista medico.
L’obiettivo del paziente è quello di acquisire le sembianze del sesso desiderato attenuando quelle del sesso di appartenenza: ciò è possibile grazie all’assunzione della terapia ormonale a base di testosterone per i pazienti FtM (Female to Male)e a base di antiandrogeni ed estradiolo per le MtF (Male to Female).
I pazienti iniziano la terapia ormonale prima dell’intervento chirurgico nel periodo della Real Life Experience per poi assumerla in dosi ridotte ma costanti per tutto il resto della vita.
I cambiamenti negli FtM e nelle MtF sono progressivi: negli FtM già dal primo mese si assiste alla scomparsa del ciclo mestruale con possibili spotting successivi dei quali è importante informare i pazienti. Il peso corporeo, in condizioni alimentari corrette, aumenta solitamente di 1 o 2 kg., si assiste a un aumento della massa magra e della peluria, all’abbassamento del tono della voce e a una distribuzione del grasso corporeo in senso maschile. Già nei primi 6 mesi la cute diventa più seborroica e il clitoride aumenta considerevolmente di volume.
Nelle MtF, invece, i cambiamenti vanno nella direzione di una riduzione nella crescita dei peli e della barba, di una scomparsa delle erezioni e del blocco della spermatogenesi; si assiste anche a una riduzione del peso corporeo e a una ridistribuzione dell’adipe in senso femminile. L’unica modificazione sulla quale gli ormoni hanno un’azione relativa è il tono della voce.
Mentre per i cambiamenti sopra citati la tempistica è di circa 6 mesi, per l’aumento del volume della mammella i pazienti dovranno attendere l’anno.
A conclusione del simposio si è compreso quanto la Disforia di Genere sia una patologia dall’eziologia, dall’inquadramento e dalla valutazione estremamente complessi.
L’esempio del C.I.D.I.Ge.M. e di molti centri simili insegna tuttavia come un approccio multidisciplinare, nel quale lavorano in sinergia psicologi, psichiatri, endocrinologi, urologi, medici chirurghi, possa portare a un sensibile e significativo miglioramento della qualità di vita della persona transessuale.