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Il senso della vita in Still life (2013) di Uberto Pasolini – Cinema & Psicologia

Still life (2013) di U. Pasolini. È questo il senso tragico della vita che non ha ricompensa ma trova la risposta ogni momento nella moralità di ogni gesto?

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 21 Gen. 2014

 Still life

di Uberto Pasolini (2013)

RECENSIONI DI STATE OF MIND

Still-Life-film-2013. - immagine: Locandina

E ci si chiede, è questo il senso? È questo il senso tragico della vita che non ha ricompensa ma trova la risposta ogni momento nella moralità di ogni gesto?

Guardando il film “still life”, film bellissimo di uberto pasolini che non si può perdere,  colpisce fin quasi dalla prima scena l’ossessività e la ripetitività dei riti quotidiani del protagonista, come  appende il suo cappotto, come sistema le penne sulla scrivania, come risponde a ogni telefonata.

John May è un piccolo impiegato comunale che ha il compito di rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine tentando di coinvolgerli per seguire il funerale. Quando non li trova o quando i parenti si rendono irreperibili o non desiderano essere coinvolti, (le persone che muoiono sole spesso avevamo dei terribili caratteracci) John May ha il compito di seppellire dignitosamente le persone sole. E John lo fa in modo serio scrupoloso, ossessivo per ciascuno, cerca la religione, le preferenze musicali per l’ultima cerimonia, e appoggia gli oggetti preferiti dentro la tomba delle persone scomparse. 

A John May che parla pochissimo, questo lavoro piace, è come se rispondesse al suo bisogno di mettere in ordine il mondo, non solo da un punto di vista estetico, ma soprattutto morale. John May è uno Giusto che pensa che ogni persona abbia valore e ogni morte sia degna di essere ricordata. Il film è la descrizione della fine di questo mondo e della sua uscita dal lavoro.

Il municipio si modernizza, le tecnologie cambiano, e lui, si lui è un po’ lento. In questa promessa di fine John May ha  un ultimo caso, quello di Billy Stoke, un rissoso,  violento, anche se a tratti eroico personaggio, che è morto completamente solo e separato dal mondo.  Alcolista, incapace di mantenere gli affetti importanti,  è stato anche mendicante, paracadutista e probabilmente pessimo padre.

In uscita dal lavoro John chiede alcuni giorni al suo municipio per completare il suo ultimo caso, e lentamente ricostruisce la trama affettiva di questa vita perduta, un vecchio amico paracadutista, la figlia offesa e ferita, una vecchia amante. Questo peregrinare ha nel film il colore solenne e sublime della giustizia, della responsabilità umana, del ringraziamento alla vita.  Lui percorre tutta la strada fino alla fine brusca e inaspettata della sua stessa vita.

E ci si chiede, è questo il senso? È questo il senso tragico della vita che non ha ricompensa ma trova la risposta ogni momento nella moralità di ogni gesto?

Pasolini in realtà chiude il film con una scena che non serve. Ma questo è a volte il problema della letteratura e del cinema, e forse della nostra stessa vita, la difficoltà ad accettare una fine talmente tragica e l’idea che la speranza occorra per dare un senso finale alle nostre esistenze.

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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