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La scienza del dialogo interiore – Psicologia

Studiare il fenomeno del dialogo interiore è complicato poiché quando si cerca di indagare tale attività mentale si attua un’interferenza con il fenomeno.

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 08 Gen. 2014

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheStudiare dal punto di vista empirico il fenomeno del dialogo interiore, o inner talk, e cioè il processo per cui le persone mentalmente parlano a sé stesse, è oltremodo complicato poiché nel momento in cui si cerca di indagare tale attività mentale mediante self-report retrospettivi si attua un’interferenza con il  fenomeno oggetto di studio.

Per diversi anni lo studioso Russell Hurlbert ha utilizzato una tecnica particolare per indagare questo self-talk o dialogo interiore nella quotidianità. La tecnica consiste nel fornire ai soggetti un dispositivo che emette un suono  (beep) che si attiva diverse volte durante il giorno e non appena suona si richiede ai partecipanti di riportare in maniera dettagliata la loro attività mentale immediatamente prima del suono del beep. Tale approccio viene definito “descriptive experience sampling” (DES) e implica una collaborazione stretta tra soggetti e ricercatori affinchè il soggetto sperimentale  apprenda a distinguere e a descrivere puntualmente le diverse tipologie di attività mentale.

In un recente articolo il team di ricercatori guidati da Hurlbert fanno il punto dei loro risultati di ricerca sul tema del dialogo interiore. Anzitutto la voce del dialogo interiore – che è un dialogo silente puramente mentale- viene solitamente percepita come la nostra stessa voce e soltanto in rarissimi casi con la voce di altri. Anche se in alcuni casi sono emersi esempi di dialogo interiore a più voci che dicono cose differenti (forse in relazione a un processo di disputing di credenze?E’ un aspetto ancora da verificare). Proprio come la nostra voce vera, la voce del nostro dialogo interno viene percepita a livello fenomenico con caratteristiche sovrasegmentali non verbali differenti in funzione dell’emozione che stiamo provando. 

Vi sarebbe poi una grande variabilità nella frequenza con cui le persone parlano a sé stesse nelle loro menti: mediamente al 23% dei beep sono stati rilevati dialoghi interiori, però con elevate deviazioni standard. Interessante è anche il tema della localizzazione: alcune persone localizzano il processo del dialogo interiore nella testa, mentre altri nel petto.

In alcuni casi un self-talk con una velocità così elevata da essere impossibile da riprodurre a voce alta (per inevitabili vincoli fisiologici del nostro sistema fonatorio).

Vale la pena sottolineare che cosa non è dialogo interiore. Va distinto dal fenomeno di ascolto interiore, in cui una voce viene esperita passivamente. E’ anche differente dal “pensiero non simbolizzato”, esperienza mentale riguardo uno specifico concetto che però non implica parole e simboli. 

La tecnica di indagine “descriptive experience sampling” (DES) secondo i ricercatori avrebbe il vantaggio – rispetto a indagini retrospettive mediante questionari – di rimanere più ancorata temporalmente al momento in cui si verifica il fenomeno di inner speaking.

Diversi aspetti sono ancora da indagare, dalle differenze individuali riguardo alla presenza del dialogo interiore, al processo di sviluppo ontogenetico, alle differenze cross-culturali, così come la comprensione di questo costrutto rispetto ad altri quali il rimuginio e la ruminazione.

 

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Redattrice di State of Mind

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