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La mente orientale. Psicoanalisi e Cina, di Christopher Bollas – Recensione

La mente orientale: ampia ricognizione di natura letteraria e filosofica sulla forma mentis orientale, ricca anche di digressioni a carattere autobiografico

Di Erica Salomone

Pubblicato il 16 Gen. 2014

Aggiornato il 02 Apr. 2015 11:47

Erica Salomone.

 

Recensione

La mente orientale. Psicoanalisi e Cina

Christopher Bollas (2013)

Cortina Editore

 

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La mente orientale - RecensioneL’ultimo libro di Christopher Bollas, il cui titolo originale è “China on the Mind”, si presenta come un’ampia  ricognizione di natura letteraria e filosofica sulla forma mentis orientale, ricca anche di digressioni di carattere autobiografico; è in corso la sua traduzione in cinese presso l’Università di Pechino.

Bollas, Americano di nascita e inglese d’adozione, con questo testo si sporge verso l’Oriente per individuare passaggi culturali e riflettere sulla pratica clinica, come prima di lui Carl Gustav Jung, Wilfred Bion, Nina Coltart, Masud Khan e molti altri. La prima parte del libro, Preconcezioni, prende in considerazione i tre testi classici della cultura orientale: Il libro delle odi, Il libro dei riti, Il libro dei mutamenti  (“I Ching”: di quest’ultimo se ne occupò ampiamente Jung). La seconda parte, Realizzazioni, prende in considerazione gli autori che interpretano e rappresentano i testi madre nei propri scritti, poi diffusi nella cultura cinese; gli scritti di Lao Tzu, Confucio, Zhuangzi ed altri sono collegati da Bollas al pensiero psicoanalitico contemporaneo, in particolare a Winnicott e a Khan.

La terza parte, Concettualizzazioni, prende in esame la psicologia sociale della mente individuale e di gruppo, indagando in  particolare i possibili nessi tra il pensiero psicoanalitico di Bion sui gruppi ed esamina il fiorente interesse per la psicoanalisi in Cina.

Appartenente alla tradizione psicoanalitica britannica degli “Indipendenti”, ovvero quel gruppo di psicoanalisti che non intendevano schierarsi né con la tradizione Viennese di Anna Freud, né dalla parte di Melanie Klein, Bollas ha introdotto nei suoi primi lavori1, 2  il concetto di “conosciuto non pensato”, ovvero ciò che ci è in qualche modo noto, ma che non possiamo pensare. Conosciute ma non pensate sono le prime esperienze preverbali del bambino, così come l’interazione tra le comunicazioni transferali del paziente e il controtransfert dell’analista.

Ne La mente orientale, il “conosciuto non pensato”  del metodo psicoanalitico viene messo in relazione da Bollas con l’immediatezza dell’essere e del relazionarsi orientali, che non si affidano al linguaggio per spiegare, ma al piu’ per evocare con le immagini della poesia.. Da qui scaturisce la riflessione-avvertimento di Bollas: secondo l’autore la psicoanalisi è, per definizione, in grado di operare un’integrazione tra la struttura della mente occidentale e quella orientale; tuttavia quest’ultima componente, materna e associativa, è stata nel tempo progressivamente rimossa a favore di un causalistico, paterno pensiero occidentale.

Scrive Bollas nell’introduzione: “quando si fa riferimento alla differenza tra modo di pensare orientale e occidentale, non si parla di menti diverse, ma di diverse parti della mente. Storicamente, il pensiero orientale propende per forme di pensiero basate sull’ordine materno, mentre il pensiero occidentale riflette forme di pensiero provenienti dall’ordine paterno” (p. 13).

Oriente come pensiero presentazionale, preverbale, collettivo, correlativo e sincronico; Occidente come pensiero rappresentazionale, verbale, individuale, causale e diacronico. Tale schema non viene introdotto da Bollas come assoluto, ma come chiave di lettura per comprendere come dalla scissione di una mente originaria unica si siano generate due opposte visioni del mondo.

La psicoanalisi, quale filosofia introspettiva occidentale fondata su entrambi gli ordini di pensiero, comprende al suo interno la stessa dinamica di opposti. Se infatti nel pensiero psicanalitico classico è prevalente un’impostazione di pensiero di tipo patriarcale, in quanto il ruolo del padre nella formazione della struttura psichica sembra in Freud marginalizzare la relazione madre-bambino, quest’ultimo aspetto è comunque rappresentato secondo Bollas nell’invenzione stessa del setting, cioè quel processo e nucleo della relazione che sono il cuore della psicanalisi. Gli aspetti legati al “codice materno” che privilegia forme di comunicazione non verbale, la capacità di stare da soli, l’essere piuttosto che il fare sono ancora più evidenti nella tecnica clinica sviluppata successivamente da Donald Winnicott e Masud  Khan in Inghilterra.

La psicoanalisi contemporanea può e deve, secondo Bollas, operare una nuova integrazione interna tra gli aspetti occidentali e quelli orientali, riconciliando Freud con Winnicott. Nel libro Bollas associa la pratica psicoanalitica alle immagini della tradizione poetica orientale: la poesia, infatti, nella quale la forma prevale sul contenuto, fa da sfondo alla sua tesi secondo cui “il processo analitico ha una sua poetica della forma che si collega al modo di essere orientale” (p. 27). Bollas trova altri parallelismi tornando all’idea di “idioma”, centrale nel suo pensiero.  L’ “idioma umano”, ovvero  di “quel nucleo unico di ciascuno […] che, in circostanze favorevoli, può svilupparsi e articolarsi” (2, p.226) si costituisce gradualmente a partire dalle prime esperienze del bambino. Il nostro idioma, e l’idioma di chi incontriamo, non sono una forma statica, ma un processo, una serie di trasformazioni che avvengono nel corso della vita. È anche però una struttura integrata dell’essere, una fonte di energia psichica (come il Vero Sé di Winnicott) che protegge l’individuo dall’ambiente. Ripercorrendo i testi classici della cultura cinese, Bollas ritrova questo concetto nella “semplicità del senza nome” e nell’ “insegnamento senza parole” indicati da Lao Tzu nel Tao come ciò che ci può aiutare ad affrontare il nostro percorso individuale (Tao significa “la Via”).

Nell’ultima parte, Bollas si sofferma sulle prescrizioni rituali e convenzionali dell’Oriente: “Possiamo vedere nelle culture di Cina, Corea e Giappone migliaia di anni di sforzi per integrare l’interiorità del sé individuale con la trasparenza del sé sociale” (p.163) e cita il progetto intellettuale di Mao Zedong di creare una mente collettiva integrando Marx e Lenin con Confucio come esempio, “pur grossolano e criticabile”, di mettere in relazione Oriente e Occidente.

Il libro sembra pertanto aprire prospettive sociali e politiche che vanno al di là dell’ambito di interesse strettamente psicologico e psicanalitico.  Tuttavia, nell’epoca della selvaggia globalizzazione dei mercati a scapito dei diritti individuali e della distruzione ambientale in atto a livello planetario, l’auspicio di Bollas di avvicinarsi ad Est si riferisce ad un Oriente antico e ideale e non alle sue manifestazioni storiche concrete (come forse fa trapelare il sottotitolo, qui si parla della Cina che Bollas “ha in mente” e non dell’Oriente di oggi, come ha sottolineato acutamente Vittorio Lingiardi su Il Sole 24 Ore3).

Da un punto di vista clinico invece, Bollas si augura per la psicoanalisi che possa ritrovare gli aspetti materni rimossi e coniugare “l’inclinazione orientale per l’idioma-potenziale della forma con l’interesse occidentale per la parola detta” (p. 164).

Un approccio capace di tale integrazione sarà anche in grado, dice Bollas, di accompagnare l’interesse crescente della Cina per la psicoanalisi.

 

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PSICOANALISI E TERAPIE PSICODINAMICHE – TRANSFERT – SIGMUND FREUD

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

AUTORE: 

Erica Salomone Ph.D. Psychologist, Research Officer at Centre for Research in Autism and Education, Institute of Education, University of London

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Erica Salomone - Psicologa Ricercatrice

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