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Intervista ad Allen Frances: Inflazione diagnostica e rischi del DSM5

DSM5 e Psichiatria: Intervista a Allen Frances, Professore Emerito alla Duke University, Chair del DSM IV, Autore del libro: Primo, non curare chi è normale

Di Valentina Davi, Redazione

Pubblicato il 25 Nov. 2013

Aggiornato il 22 Ott. 2021 12:04

State of Mind intervista:

Allen Frances

Chair della task force del DSM IV, Professore Emerito alla Duke University.

 

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State of Mind videointervista il Dr. Allen Frances, supervisore della task force per la stesura del DSM-IV, che nel suo nuovo libro intitolato Primo, non curare chi è normale (Bollati Boringhieri), da noi recensito in anteprima, lancia un grido di allarme nei confronti del DSM-5, definito un autentico fiasco.

 

Il DSM-5 porta con sé il rischio di un’iperinflazione diagnostica e ad una conseguente medicalizzazione di quei problemi di vita quotidiana che fanno parte dell’esistenza umana arrivando a curare anche chi è normale.

 

Prof. Frances, qual è la differenza tra il DSM-IV e il DSM-5?

Per quanto riguarda il DSM-IV eravamo tremendamente preoccupati per l’inflazione diagnostica, pertanto abbiamo stabilito dei criteri molto alti per i cambiamenti. Non volevamo che il sistema si espandesse ancora. Per tenere gli esperti sotto controllo abbiamo detto loro che dovevano portare a supporto delle proprie ipotesi una rassegna accurata della letteratura, una rianalisi dei dati, trial sul campo… tutto ciò a sostegno del fatto che queste nuove diagnosi fossero più d’aiuto che dannose. Ricevemmo 94 suggerimenti per nuove diagnosi e ne accettammo solamente 2. Non volevamo essere diversi, volevamo contenere la crescita delle diagnosi psichiatriche, non espanderla.

Il DSM-5 all’inizio aveva una fortissima ambizione: voleva rappresentare un cambiamento di paradigma nella psichiatria. Così ha dato agli esperti completa libertà: “Si può discutere di ogni cosa, siate innovativi”. E gli esperti lo sono stati. Se lasci controllare agli esperti il sistema diagnostico, lo espanderanno sempre di più. Lavoro con esperti da 35 anni, non ne ho mai visto uno saltar su e dire: “Sai, penso che la mia area diagnostica sia troppo vasta, perché non la riduciamo?”. Vogliono sempre allargarla, pensano sempre alla propria pratica. Lavorano in cliniche di ricerca, trascorrono molto tempo con i loro pazienti, hanno grande competenza riguardo al problema, e ciò che scrivono nel manuale forse può avere un senso per loro, ma è un disastro nella pratica comune.

Il DSM-5, espandendo il sistema, ha creato l’attuale inflazione diagnostica e il rischio è che l’attuale inflazione diagnostica diventi un’iperinflazione diagnostica, e sempre più persone saranno erroneamente diagnosticate affette da un disturbo.

Nella prefazione al Suo libro, “Primo, non curare chi è normale” scrive che il testo è in parte un mea culpa, in parte un j’accuse. Può spiegarci come mai?

In realtà ho detto di più: è un mea culpa, un j’accuse e un grido d’allarme. È un mea culpa perché quando abbiamo completato il DSM-IV pensavamo di aver fermato l’inflazione diagnostica, pensavamo di aver fatto davvero un buon lavoro. Il risultato è stato che negli USA sono scoppiate tre epidemie dall’uscita del DSM-IV: un’epidemia di ADHD, un’epidemia di Autismo e un’epidemia di Disturbo Bipolare. Il Disturbo Bipolare negli USA è raddoppiato in questi anni, l’Autismo è aumentato di quaranta volte e l’ADHD è triplicato. Pensavamo di aver contenuto l’inflazione diagnostica, ma abbiamo fallito. Questo è il mea culpa: non abbiamo previsto quanto fossero potenti le case farmaceutiche e 3 anni dopo la pubblicazione del DSM-IV hanno ottenuto il diritto di fare pubblicità diretta presso i consumatori. Immagina di guardare la tv o navigare su internet e vedere costantemente pubblicità inerente malattie mentali. Ciò dà una fortissima spinta alle vendite di farmaci, dando alla persone l’idea che ogni disturbo mentale ha a che fare con un equilibrio chimico e che la cura è quindi prendere le loro pillole, che la diagnosi psichiatrica è facile da formulare, largamente sottostimata, e che il medico di base può velocemente, in 7 minuti, formulare una diagnosi e prescrivere il farmaco. L’80% dei farmaci prescritti per pazienti psichiatrici è prescritto da medici non psichiatri, solitamente in 7 minuti. Credo che noi pensassimo di aver contenuto l’inflazione diagnostica, ma non è stato così, e questo è il mia culpa.

Il j’accuse è rivolto all’industria farmaceutica che confonde il pubblico, ai medici che sovra-prescrivono i farmaci per problemi di ogni giorno, e al DSM-5 che anziché contenere l’inflazione diagnostica ha spalancato le porte e ci saranno sempre più persone, milioni di persone normali – forse decine di milioni -, che riceveranno diagnosi di cui non hanno bisogno e trattamenti che probabilmente faranno loro più male che bene.

Il grido di allarme invece riguarda una questione molto triste; noi abbiamo questo tremendo paradosso: sovra-diagnostichiamo e sovra-trattiamo persone che non ne hanno bisogno, ma al tempo stesso ignoriamo terribilmente persone che soffrono di gravi malattie mentali che hanno un disperato bisogno di aiuto. Abbiamo chiuso un milione di posti letto per malati psichiatrici negli USA negli ultimi quindici anni, come per la deistituzionalizzazione in Italia. Ma c’è un’enorme differenza: in Italia i soldi risparmiati con la riduzione delle ospedalizzazioni sono stati utilizzati per prendersi cura dei pazienti nella comunità, dando loro un posto decente dove vivere; in tutto il mondo il miglior sistema che si prende cura dei pazienti gravi è quello italiano. Fate molto di più per curare i pazienti gravi in condizioni di dignità di quanto abbia mai visto fare nel resto del mondo. Negli USA accade esattamente l’opposto. Il denaro risparmiato con la chiusura dei posti letto non è stato utilizzato per prendersi cura dei pazienti, ma è stato usato in modo davvero strano: abbiamo chiuso un milione di posti letto psichiatrici e abbiamo aperto un milione di posti letto in prigione per pazienti psichiatrici che hanno commesso crimini minori, non particolarmente violenti, ma per i quali non esiste un posto dove andare per essere curati come pazienti. La polizia, la prima ad essere contattata, sa che dovrebbe portarli al pronto soccorso psichiatrico, ma non vengono accettati, non ottengono una visita; li portano invece in prigione. Abbiamo un milione di pazienti psichiatrici in prigione che sono terribilmente umiliati, che sono vulnerabili, che subiscono frequentemente violenza sessuale – 200000 abusi sessuali all’anno, la maggior parte dei quali ai danni di pazienti psichiatrici. Stiamo trattando la parte più svantaggiata di malati mentali ignorandoli e mandandoli in prigione e allo stesso tempo iper-curiamo persone che guarirebbero da sole, spendendo 18 miliardi di dollari in antipsicotici all’anno, 12 miliardi di dollari all’anno in antidepressivi, 7 miliardi all’anno in stimolanti…dovremmo spendere denaro per le persone realmente malate, non dovremmo spenderlo per persone che non ne hanno bisogno. Questo è il mio grido di allarme.

Il DSM-5 si è posto la grande ambizione, Lei ha scritto esagerata, di un cambiamento di paradigma della diagnosi psichiatrica (introducendo il contributo delle neuroscienze, la prevenzione e la valutazione dimensionale), ma ha fallito. Perché?

Riguardo ai test biologici non puoi dire “voglio dei marker biologici” e aspettarti che semplicemente compaiano. Il cervello è la cosa più complicata al mondo, abbiamo tanti neuroni nel nostro piccolo cervello da 1300 gr quante sono le stelle in una galassia (centinaia di miliardi), ognuno dei quali è connesso con altri migliaia di neuroni, ognuno dei quali scarica un migliaio di volte al secondo. E per raggiungere il posto in cui si trovano, vanno incontro ad una strana coreografia e ad una migrazione cellulare molto complicata, e sapersi connettere al giusto posto è un sistema meravigliosamente molto complesso. Stiamo gradualmente comprendendo come funzionano i neuroni, ma non abbiamo ancora trovato alcun modo per ottenere dei test biologici per i disturbi psichiatrici…siamo molto lontani dal riuscirci. È molto difficile con il cancro al seno! Venti anni fa abbiamo scoperto i geni coinvolti nel cancro al seno, eppure ancora capiamo molto poco del tumore al seno ed il seno è l’organo più semplice del corpo umano; il cervello è la cosa più complicata dell’intero universo. Ci vorrà molto tempo prima di poter comprendere biologicamente i disturbi mentali. Non esiste una sola schizofrenia, ma esistono centinaia e centinaia di cause per la schizofrenia. Non dovremmo attenderci una rivoluzione biologica nella diagnosi psichiatrica prima del tempo, il momento non è ancora arrivato. Quindi il DSM-5 ha fallito perché si è posto un’ambizione ridicola.

L’ambizione di un sistema dimensionale era utile. I numeri funzionano meglio dei nomi nel descrivere le cose, ogni qual volta si è in grado di fornire dei numeri. Ma il cervello non funziona in questo modo: i computer pensano con i numeri, ma il nostro cervello pensa con le parole. Quella che indosso è una maglietta blu…questa è sicuramente una descrizione molto vaga della maglietta, ma raggiunge il suo scopo. Se tu stessi conducendo un esperimento di fisica, ti interesserebbe sapere la lunghezza d’onda del colore della maglietta e certamente sarebbe molto più accurato. Il problema è che è molto più difficile pensare in lunghezze d’onda, la mente non lo fa! I clinici non pensano per numeri, ma per nomi (gli psicologi forse usano più i numeri rispetto agli psichiatri…).

Il DSM-5 ha cercato di sviluppare un sistema diagnostico dimensionale, soprattutto per quanto riguarda i disturbi di personalità, e questa è davvero una bella idea. Una delle prime cose che scrissi fu proprio sulla diagnosi dimensionale vs categoriale dei disturbi di personalità. Vent’anni fa scrissi un articolo intitolato Dimensional Diagnosis for Personality Disorder – Not Whether But When. L’approccio dimensionale è chiaramente superiore perché i disturbi di personalità si fondono impercettibilmente con la normalità, con i disturbi di Asse I, con le condizioni di stress situazionale… Non hanno dei confini chiari e in questo caso i numeri sono una soluzione migliore rispetto ai nomi perché le etichette implicano l’assenza di sfumature (o è bianco o è nero), mentre le dimensioni permettono di descrivere anche le sfumature di grigio. Il problema è che il DSM-5 ha sviluppato un sistema di diagnosi talmente complicato che nessuno, a parte le persone che vi hanno lavorato sopra, sarebbe stato in grado di capirlo; un sistema che non è stato mai testato, così fatto male che alla fine all’ultimo minuto è stato escluso dalla nomenclatura ufficiale, tant’è che il DSM-5 è rimasto esattamente uguale al DSM-IV per quanto riguarda i disturbi di personalità. Sarebbe stato meglio avere un sistema dimensionale molto semplice da introdurre gradualmente, permettendo alle persone di prendervi confidenza, anziché cercare di introdurre qualcosa di così rivoluzionario che alla fine si è dovuto accantonare.

I due punti di cui abbiamo parlato non procurano comunque alcun danno. Il fatto che non ci siano test biologici nel DSM-5 ce lo aspettavamo. Il fatto che la valutazione dimensionale non sia stata inclusa non determinerà la morte di nessun paziente. Ma il terzo tentativo di creare una modifica di paradigma credo crei dei danni: sto parlando del tentativo di introdurre una sorta di psichiatria preventiva. Siamo afflitti? Allora abbiamo un “Disturbo Depressivo Maggiore”. Abbiamo preoccupazioni per la salute fisica? Questo diventa “Disturbo Da Sintomo Somatico”. I miei problemi nel ricordare le cose ora che ho 71 anni? Questo diventa “Disturbo Cognitivo Minore”. La mia tendenza a mangiare tutti questi biscotti e qualsiasi cosa ci sia su questo tavolo diventa “Disturbo da Abbuffata Compulsiva”, i miei nipoti capricciosi soffrono di “Disturbo del Temperamento Irregolare”. Le definizioni dei disturbi sono state rese più lasse rendendo più facile per le persone normali essere mal etichettate. L’idea era di seguire le orme della medicina. In medicina negli ultimi 30 anni c’è stato il desiderio di diagnosticare in anticipo e di conseguenza trattare in anticipo: se riesci a prendere in anticipo il problema è meglio che prenderlo una volta che si è sviluppato; sarebbe più semplice prevenire che curare. Questa è una grande idea sulla carta, ma una terribile idea in pratica e troviamo sempre più in medicina una rivoluzione contro gli interventi precoci che sono risultati molto spesso più dannosi che di aiuto. Dieci associazioni professionali mediche hanno fatto partire una campagna di «Scelta oculata» cercando di identificare quei test e quei trattamenti che sono eccessivi. Il British Medical Journal si sta fortemente impegnando a correggere la tendenza dei giornali a pubblicare sempre risultati positivi che incoraggiano sempre più trattamenti focalizzandosi sulla sovra-diagnosi e sul sovra-trattamento in generale in medicina. La psichiatria con il DSM-5 ha imboccato la via della prevenzione proprio quando il resto della medicina si è accorta che tale via è stata ampiamente sopravvalutata. Molto spesso la prevenzione è più dannosa che d’aiuto. Per esempio, i test per lo screening del cancro alla prostata oggi sono sconsigliati a meno che non ci siano fattori di rischio particolari; questo perché il trattamento per il cancro alla prostata è peggiore del cancro stesso.

 

A proposito di cambiamenti di paradigma, come ha affermato in precedenza, riguardo i disturbi di personalità sembrava dovesse esserci una grande rivoluzione che ha scatenato molte polemiche riguardo il passaggio da un sistema categoriale ad uno dimensionale e riguardo i disturbi da mantenere. Alla fine, però, come ha detto anche Lei, nulla è cambiato perché nel DSM-5 leggiamo: “I criteri per i Disturbi di Personalità nella Sezione II del DSM-5 non sono cambiati rispetto a quelli del DSM-IV. È stato sviluppato un approccio alternativo per la diagnosi dei Disturbi di Personalità per studi futuri”, quindi per la ricerca. Secondo lei questo è un bene o un male per la psicologia clinica e per la psichiatria?

È stata un’opportunità mancata, hanno finito col dare un nome sbagliato alla dimensionalità. Se fosse stato introdotto nel DSM-5 un sistema semplice di dimensionalità, questo sarebbe stato un passo avanti nell’insegnare ai clinici ed ai pazienti a pensare in termini di sfumature di grigio, non solo in termini bianco o nero. Purtroppo è stata un’opportunità mancata e la cosa peggiore è che probabilmente scoraggerà le persone in futuro dall’includere le dimensioni nel sistema, che è il modo migliore per descrivere le persone; perché non abbiamo confini definiti per distinguere ciò che è normale da ciò che non lo è, e le sfumature possono fornire una descrizione migliore.

 

Il Prof. Kernberg in una lectio magistralis tenutasi a Milano 2 anni fa in cui si discuteva della nuova concettualizzazione proposta per i Disturbi di Personalità, ha dichiarato “Lasciatemi dire che il sistema di classificazione americano finge di essere un sistema scientifico. Non lo è. È un sistema politico e riflette la forza dell’impegno ideologico dell’American Psychiatric Association”. Qual è la Sua opinione in merito?

Non è né un sistema scientifico né solo un sistema politico. È un sistema clinico. La psichiatria descrittiva non è il modo migliore per descrivere le persone, sarebbe molto meglio avere una comprensione base delle forze biologiche, psicologiche e sociali che concorrono a creare la malattia mentale, ma non l’abbiamo. A questo punto noi facciamo una cosa molto semplice: prendiamo una descrizione molto superficiale di una persona e creiamo delle categorie. Questo perché è ciò che di meglio abbiamo, non è fantastico, ma è ciò che di meglio abbiamo. Avere un sistema descrittivo categoriale permette valutazioni affidabili tra clinici differenti e facilita la comunicazione. Tutto ciò è limitativo, ma valido. Non mi fiderei di qualcuno che crede esclusivamente nelle diagnosi del DSM e non cerca di comprendere qualcosa in più della persona, del contesto sociale; focalizzarsi solamente sui criteri è un lavoro assolutamente incompleto per comprendere l’essere umano. Ippocrate ha detto: “è molto più importante conoscere il paziente che ha la malattia che non la malattia che ha il paziente”. Abbiamo bisogno di capire i nostri pazienti, non semplicemente categorizzarli nel DSM. D’altra parte non credo mi fiderei nemmeno di chi non conosce il DSM. Capire le cose che le persone hanno in comune quando facciamo una valutazione è importante tanto quanto capire cosa li rende unici e speciali in quanto individui singoli. La diagnosi attraverso il DSM è il primo step in un processo di valutazione, uno step importante, ma non l’unico.

 

Sempre in riferimento ai Disturbi di Personalità, il Prof. Kernberg denunciava che la stesura del DSM-5 ha fortemente risentito della diatriba tra la psicologia clinica e la psicologia sperimentale e della tendenza odierna a sposare una visione neurobiologica radicale fortemente influenzata dall’industria farmacologica, alla ricerca di caratteristiche che permettano il trattamento dei sintomi con psicofarmaci. Cosa ne pensa? Si sta tentando una medicalizzazione anche dei Disturbi di Personalità?

Credo che il modello migliore sia il modello biopsicosociale che riconosce che il cervello è importante, soprattutto nei casi di malattie gravi, che i fattori psicologici hanno una forte influenza sullo sviluppo del disturbo e sul trattamento, così come il ruolo del contesto sociale. La NIH (National Institute Of Health in USA) ha criticato il DSM perché non è abbastanza biologico e voleva che si passasse ad un paradigma strettamente biologico per i disturbi psichiatrici. Che idea stupida! L’American Psychological Association e la British Psychological Society hanno suggerito che il modello biologico venisse abbandonato assieme alla diagnosi psichiatrica, e che ci si focalizzasse sui fattori psicosociali. Se ciò può avere un senso per alcuni modelli, non ha assolutamente senso per i disturbi gravi che hanno una forte componente biologica. Tutti vogliono cambiare paradigma, ma il paradigma biopsicosociale, per quanto incompleto, è il migliore che abbiamo. Credo che il problema degli USA sia che gli psichiatri si muovono verso un modello più biomedico, gli psicologi tendono a muoversi più verso un paradigma psicosociale. Entrambi sono errati ed incompleti, i tre aspetti devono essere uniti tra loro per poter realmente capire i pazienti.

Credo che l’idea che l’industria farmaceutica influenzi il DSM sia sbagliata. Le case farmaceutiche, nella mia esperienza, non lo hanno mai influenzato. Gli esperti invece hanno dei conflitti di interesse intellettuali, ma non credo che abbiano dei conflitti di interesse finanziari. Le persone che lavorano alla stesura del DSM portano dei suggerimenti che io ritengo essere pericolosi: ogni esperto ritiene che la propria area di competenza sia la più importante e vuole espanderla. Le case farmaceutiche stanno già sfruttando a proprio vantaggio il DSM-5, stanno già dicendo ai medici che l’essere afflitti spesso è un Disturbo di Depressione Maggiore. Ho visto che farmaci che vengono utilizzati per curare l’ADHD sono risultati efficaci anche nel trattamento del Binge Eating Disorder ed il fatto che il Binge Eating Disorder compaia nel DSM-5 dà la possibilità alle case farmaceutiche di promuovere gli psicostimolanti, che già sono utilizzati per l’ADHD più del dovuto, anche per il Binge Eating Disorder, anche in questo caso più del dovuto.

Perciò credo che il DSM-5 possa essere facilmente mal utilizzato dalle case farmaceutiche e questo è un grave problema che porterà allo svilupparsi di nuove epidemie. Credo che la soluzione sia fermare il marketing delle case farmaceutiche che confonde i pazienti. Ma non credo che le persone che lavorano per il DSM siano influenzate dalle case farmaceutiche.

 

Se fosse stato Lei a capo della task force del DSM-5, quali modifiche avrebbe apportato al DSM IV?

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Articolo consigliato: recensione di: Primo, non curare chi è normale.

Credo che il problema più grande in questo momento sia che il sistema è stato abusato. Sarebbe bello avere dei grandi warning box per quelle diagnosi di cui i clinici hanno abusato ampiamente con la conseguenza di eccessivi trattamenti. Penso al Disturbo Bipolare Infantile che il DSM-IV aveva rifiutato, ma che sotto la spinta delle case farmaceutiche è diventato 40 volte più comune. Io proporrei di prendere il DSM e guardare disturbo per disturbo quali sono le diagnosi più abusate, segnalare di fare attenzione indicando quali sono i criteri per un’appropriata diagnosi nel tentativo di sopprimere l’inflazione diagnostica. Credo che il problema più grosso che emerse nel DSM-III fu Il Disturbo Depressivo Maggiore: per come è descritto nel DSM, spesso non è maggiore, spesso non è depressivo, spesso non è un disturbo. Questo perché nel DSM-III erano legate insieme le forme di depressione più lieve e le forme più gravi di melanconia e depressione delirante che hanno una forte componente biologica. Queste furono messe insieme nella stessa categoria e le differenze all’interno della categoria espresse da sottotipi: sottotipo melanconico, sottotipo delirante… e dalla gravità. Ma le case farmaceutiche hanno trattato i singoli disturbi come se fossero un unico disturbo ed era facile riconoscersi nel Disturbo Depressivo Maggiore: tristezza, perdita di interesse, perdita di appetito, perdita di energia, insonnia per almeno due settimane. Facile riconoscersi! Le persone che soffrono di depressione stagionale non dovrebbero essere inserite nella stessa categoria dei pazienti che soffrono di grave depressione delirante o di melanconia. Io avrei cercato di separarle, togliendo la possibilità alle case farmaceutiche di dire che è tutto una questione di equilibrio chimico. L’11% della popolazione adulta fa uso di antidepressivi, il 25% ne ha fatto uso. La depressione è ampiamente sovra-diagnosticata nelle forme più lievi e sovra-trattata, in parte a causa dei difetti del DSM. E allo stesso un tempo un terzo delle persone che soffrono di grave depressione non è giunto all’attenzione del sistema sanitario nell’anno precedente. Io avrei focalizzato il sistema diagnostico sui disturbi più severi, che spesso vengono mancati, dando minore attenzione alle manifestazioni più lievi che fanno alla fine parte della vita di ogni giorno e vengono invece ingigantite.

 

Il grande pericolo che il DSM-5 porta con sé è l’iperinflazione diagnostica. Nel suo libro rimarca più volte il ruolo giocato dalle case farmaceutiche. Non ritiene che mettersi contro i colossi farmaceutici sia una lotta contro i mulini a vento?

È la battaglia di Davide contro Golia, ma alla fine Davide ha vinto! Davide ha recentemente vinto la battaglia contro le compagnie del tabacco, una battaglia molto simile a quella contro le case farmaceutiche. Se si togliesse alle case farmaceutiche la possibilità di fare pubblicità e marketing nel modo in cui lo fanno, si darebbe un grosso taglio al loro potere e alle loro vendite. Stanno già abbandonando la psichiatria, gli sforzi per la ricerca ridotti di molto, perché non è facile trovare nuovi farmaci: non abbiamo veramente più avuto nuovi farmaci efficaci negli ultimi 60 anni. I primi farmaci non sono stati sviluppati dalle case farmaceutiche, ma scoperti per caso: un chirurgo francese diede della Torazina ai propri pazienti per evitare che vomitassero durante l’operazione e osservò che si calmavano, così la suggerì a suo cognato come potenziale tranquillante e nacque l’uso odierno della Torazina. Il litio aveva un effetto calmante sugli animali da laboratorio. Gli antidepressivi cominciarono a diffondersi perché, usati per trattare la tubercolosi, tiravano su i pazienti. I primi farmaci sono comparsi 65 anni fa e da allora non ne sono stati sviluppati altri che siano effettivamente più efficaci. Io credo che le compagnie farmaceutiche abbiano fatto una grande fortuna con gli psicofarmaci e ora abbiano realizzato che non ci sia nient’altro da sviluppare.

Non dobbiamo aspettarci dei miracoli, non credo che ci saranno nei nuovi farmaci miracolosi nei prossimi 20 anni per trattare disturbi biologici mentali. Abbiamo già dei farmaci e delle psicoterapie estremamente efficaci che devono solo essere applicate in maniera appropriata. Dobbiamo identificare il miglior trattamento per il paziente che abbiamo di fronte, assicurandoci di considerare gli aspetti biologici, psicologici e sociali, e dobbiamo smetterla di attribuire etichette errate alle persone normali fornendo loro trattamenti che fanno più male che bene.

 

Nel suo libro attacca non solo le case farmaceutiche, ma critica anche l’APA e la gestione della stesura del DSM-5. Ci sono state reazioni dall’altra parte? Quali critiche o risposte ha ricevuto?

Che cosa divertente…avevo degli amici che lavoravano al DSM-5 e ne ho perso qualcuno che non ha apprezzato le mie critiche! Quasi tutte le persone con cui ho parlato di ciò hanno riconosciuto che tutto ciò è ovvio, le uniche persone che non se ne sono rese conto e che non sono riuscito a convincere sono gli esperti che hanno lavorato sul DSM-5. Quando sei un esperto non realizzi quanto le tue idee potranno essere utilizzate impropriamente nel mondo reale. Spesso mi hanno risposto che stavano solo facendo scienza, che sapevano che le loro idee sarebbero state di aiuto a chi le avrebbe utilizzate nel modo corretto, e che se fossero state usate in malo modo quello non era un problema loro, ma di educazione. Io non la vedo così: questo manuale ha fin troppa influenza nell’aiutare le persone a curare le malattie mentali ed è molto importante fare in modo di proteggerlo dalla possibilità che ne venga fatto un cattivo uso. Se la vita delle persone viene danneggiata da un’errata medicalizzazione, questo è molto più importante dell’ambizione mancata di un ricercatore di vedere inserita una nuova diagnosi nel manuale. Il mio j’accuse è che l’American Psychiatry Association è stata fin troppo insensibile ai rischi di ciò che stava facendo; si stava focalizzando solo sui possibili benefici e per come funziona il mondo reale il manuale farà molti più danni di quanto si creda.

 

Che previsioni fa per il futuro della psichiatria? È ottimista o pessimista?

Sono terribilmente ottimista. Credo che non esista nessun campo che sia più interessante della psichiatria perché è l’unico della medicina ad aver preso un approccio umanistico…si è un po’ perso, ma è ancora sostanziale l’interesse per la persona e non solo per la malattia. Credo mi affasci intellettualmente su diversi livelli: come il cervello diventa mente? Le relazioni tra cervello, contesto sociale e le nostre funzioni psicologiche è l’argomento più affascinante che esista. Credo che la psichiatria faccia il meglio quando fa ciò che sa fare meglio: trattare persone che soffrono di problemi moderati e gravi. Usciamo dal seminario e facciamo del male quanto cerchiamo di estendere i nostri confini alla normalità rendendo le problematiche quotidiane tipiche dell’esistenza umana un disturbo mentale. Credo che la psichiatria reagirà contro il fiasco del DSM-5, credo che il resto della medicina si stia già ribellando contro l’iper-diagnosi e il sovra-trattamento e anche la psichiatria si muoverà in questa direzione.

E quando facciamo ciò che sappiamo fare meglio con le persone che ne hanno bisogno, facciamo del gran bene, e ciò è tremendamente interessante dal punto di vista intellettuale e gratificante dal punto di vista personale quando aiuti qualcuno. Poche specializzazioni e poche professioni hanno la possibilità di aiutare le persone tanto quanto la psichiatria. Sono molto entusiasta per la professione, non per il DSM-5.

 

Grazie… Allora speriamo nel DSM-6? Ah ah… No, magari basta con i DSM!!

PRIMO, NON CURARE CHI E’ NORMALE. DI ALLEN FRANCES – RECENSIONE

 

 

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DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDER – DSM 5 – PSICOLOGIA & PSICHIATRIA PUBBLICHE – DISTURBI DI PERSONALITA’ – PD – FARMACOLOGIA – FARMACI

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