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La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino – Recensione

La Grande Bellezza: La “non volontà” sembra essere collegata ad una apparente pigrizia di fondo che sembra essere il file rouge che collega le storie.

Di Simona Noviello

Pubblicato il 05 Giu. 2013

Aggiornato il 05 Mar. 2014 12:31

 Recensione del film: 

La Grande Bellezza

(2013) di Paolo Sorrentino

 


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LA GRANDE BELLEZZA DI PAOLO SORRENTINO - RECENSIONE
La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino (2013) – Locandina

La “non volontà” sembra essere collegata ad una apparente pigrizia di fondo che sembra essere il file rouge che collega le storie.

Tuttavia, dietro questa apparente inerzia, si nasconde un senso di vuoto, solitudine e disillusione che, nelle varie storie, non tarda a essere evinto.

 

La Grande Bellezza: del vuoto esistenziale e narrativo. Recensione

Una Roma moderna e non scevra delle mode e le abitudini attuali fa da palcoscenico all’ultimo film di Paolo Sorrentino, “La Grande bellezza”. Il regista, noto per altri capolovori (ex:Il divo) non lontano dall’attualità nella quale il nostro paese vive, mediante una serie di storie intrecciate e dense di matrici simboliche veicolanti messaggi e idee speculari al tempo vivente, nel film fornisce una fotografia di una città ormai albergata da “tanto rumore” e che,

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difficilmente, dietro la coltre riesce a cogliere ciò che un tempo era patrimonio dell’umanità, come l’emozione, il pensiero, il rispetto.

 

Protagonista è un eccezionale Tony Servillo, alias Gep Gambardella,  affermato giornalista e in passato scrittore di un romanzo (L’apparato Umano) apprezzato dai vari amici ma unico del suo genere in quanto privo di seguito.

 

Costante nel film è l’interrogativo, posto direttamente dallo stesso Gep e ripreso dai suoi amici circa la motivazione del suo non più scrivere. La “non volontà” sembra essere collegata ad una apparente pigrizia di fondo (nel film è possibile cogliere la passione della mondanità per Gep e i suoi amici) che sembra essere il file rouge che collega le storie.

 

 

Tuttavia, dietro questa apparente inerzia, si nasconde un senso di vuoto, solitudine e disillusione che, nelle varie storie, non tarda a essere evinto.

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Ognuno, Gep con la sua solitudine e la sua continua ricerca della “grande bellezza” della vita, Romano con il suo pseudotentativo di divenire attore, Ramona con il suo corpo visto come veicolo di piacere e, nello stesso tempo, di sofferenza, al di là del rumore circolante, vivono “l’horror vacui del tempo presente” facendo appello a ciò che sembrano essere i miti del tempo (inerzia, esibizione del corpo, etc.) al fine di “sentirsi vivi e ingannare la morte”.

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In una versione del reale dove “tutto è un trucco” determinante risulta  la frase utilizzata dalla “Santa” verso l’epilogo del film (“Sai perchè io mangio solo radici, perchè le radici sono importanti”) che funge da ponte con un passato apparentemente dimenticato (Roma caput mundi) ma che non tarda a ritornare come potente significante di un tempo trascorso ma di cui si è debitori.

La Grande Bellezza: del vuoto esistenziale e narrativo. Recensione

 

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Simona Noviello
Simona Noviello

Psicologa, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale

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