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Autismo & Comunicazione Referenziale nei Bambini: Quale Relazione?

Un recente studio mette in luce una relazione tra misure di comunicazione non verbale nei bambini di otto mesi di età e sintomi di autismo.

Di Marina Morgese

Pubblicato il 11 Ott. 2012

Aggiornato il 22 Nov. 2012 12:20

di Marina Morgese

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Un recente studio mette in luce una relazione tra misure di comunicazione non verbale nei bambini di otto mesi di età e sintomi di autismo.

Secondo precedenti studi circa il 19% dei bambini con un fratello a cui è stato diagnosticato il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) sviluppa i sintomi a causa della genetica e dell’ambiente. Per questo motivo, gli psicologi dell’Università di Miami (UM) lavorano allo sviluppo di un metodo per prevedere nei primi anni di vita il presentarsi di ASD in bambini ad alto rischio.

In recente studio si è cercato di mettere in luce una relazione tra le misure di comunicazione non verbale nei bambini, di appena otto mesi di età, e i sintomi dell’autismo, che diventeranno poi evidenti entro il terzo anno di vita.

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Prima di imparare a parlare, i bambini comunicano in modo non-verbale, attraverso il contatto con gli occhi e i gesti, tramite una comunicazione di tipo referenziale. Queste abilità sono già presenti all’età di otto mesi. I deficit di comunicazione referenziale sono caratteristici dei bambini più grandi con ASD, spiega Caroline Grantz, dottore di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia presso l’Università di Miami.

Nella ricerca in questione, un team di psicologi ha testato due gruppi di bambini: un gruppo composto da bambini ad alto rischio per ASD (con fratelli con diagnosi di autismo) e un gruppo composto da bambini a basso rischio. Le sessioni valutative hanno avuto una durata di 15-20 minuti e sono state effettuate a 8, 10, 12, 15 e 18 mesi di età dei bambini. Il team ha misurato lo sviluppo di tre forme di comunicazione non verbale:

  • Iniziativa di Attenzione Congiunta – il modo in cui un bambino mostra ad un partner l’interesse per un oggetto o un evento (ad esempio, puntando lo sguardo verso un giocattolo);
  • Avvio Richieste Comportamentali – il modo in cui un bambino richiede l’aiuto di un partner per ottenere un oggetto (per esempio raggiungendo, indicando, o dando all’esaminatore un giocattolo desiderato);
  • Risposta all’Attenzione Congiunta – il modo in cui i bambini rispondono e seguono il comportamento di un partner (ad esempio, l’esaminatore punta il dito verso qualcosa e il bambino segue con lo sguardo). 

 I risultati mostrano che bassi livelli di Iniziativa di Attenzione Congiunta e di Avvio Richieste Comportamentali tra gli 8 ei 18 mesi sono predittivi della gravità dei sintomi di ASD per i bambini che hanno un fratello con autismo. In particolare, i bambini con i più bassi tassi di Iniziativa di Attenzione Congiunta ad 8 mesi hanno mostrato minore impegno sociale con un esaminatore a 30 mesi.

Un tale risultato, sebbene meriti di essere avvalorato da ulteriori ricerche, si può considerare un grande passo avanti per la terapia dei bambini con autismo: lo stesso Daniel Messinger, professore di Psicologia presso l’università di Miami e uno degli autori dello studio, specifica “Per i bambini ad alto rischio di sviluppare un ASD, interventi specifici orientati alla comunicazione nel corso dei primi anni di vita possono ridurre la gravità dell’impatto dell’autismo”.

Non sorprende dunque che lo studio sia stato finanziato dal National Institute of Child Health and Human Development, restiamo comunque in attesa di ulteriori ricerche.

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Caporedattrice di State of Mind

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