PSICHIATRIA PUBBLICA: LETTERE DAL FRONTE.
Naturalmente tutti i dati ed i nomi citati in queste lettere sono stati inventati e le storie raccontate sono ispirate alla realtà ed alla vita in un csm, ma per doverose ragioni di privacy sono state amalgamate tra loro per renderle irriconoscibili. Ciò nonostante, a volte la realtà supera la fantasia! Buona lettura.
Un Giorno di Ordinaria Follia
#4 Do You Speak Chinese?
Nihao-Buongiorno. Sono per flatelo. Qui mio flatelo.
Pausa, sospiro, sguardo intimorito, poi riprova. “Sono venuta qui per mio fratello.
Eh si certo non si preoccupi, il concetto è chiaro; ma cosa è successo a suo fratello signorina?
Eh lui è in Cina.
E’ cinese?
No, cioè si, è cinese, ma è in Cina.
Ok allora vediamo se ho capito…lei è cinese, suo fratello è cinese, lei è qui per suo fratello ma suo fratello è in cina?
Si si si bravo!
Nel frattempo si è creato un capannello di curiosi tra gli operatori del CSM ma la ragazza è troppo impegnata a farsi capire per preoccuparsene o forse ci è abituata, dalle sue parti non vanno troppo per il sottile in quanto a riservatezza…
Ehhh ma come pensa che possiamo aiutarla signora, mica lavoriamo per corrispondenza!!! Ma non ho nemmeno finito di pronunciare questa frase che già me ne pento perchè la signora non sta per niente scherzando e soprattutto non ha colto l’ironia e io mi rendo conto che avrebbe fatto qualunque altra cosa prima di venire a chiedere aiuto a questi medici occidentali.
Così nel giro di una mezz’ora ricostruiamo la storia, o almeno un pezzetto di storia: Hu J. è un ragazzo di 25 anni. Ha vissuto con padre madre e sorella in un piccolo paese nella provincia dello Junnan fino all’età di 14 anni e poi si è trasferito in Italia a Torino. Fin qui tutto bene, poi inizia a lavorare nel negozio di famiglia, comprano un computer e lui si chiude sempre di più in se stesso non parla, non studia, non vuole lavorare e improvvisamente inizia a diventare molto aggressivo e non può essere mai contraddetto. Così dopo molte difficoltà i genitori decidono di mandarlo in Cina per sposarsi convinti che un cambiamento drastico possa risolvere il problema. Ora la sorella preoccupata ci racconta che anche a casa suo fratello non sta bene e che la moglie non sapendo cosa fare chiede aiuto a lei.
E così ci troviamo seduti intorno al grande tavolo della sala comune al CSM un po’ impressionati e un po’ commossi dalla domanda che ci viene posta. Ma cosa possiamo promettere? Se suo fratello torna qua cercheremo di aiutarlo, ma in realtà poi ce ne dimentichiamo.
Qualche mese dopo la vicenda torna attuale. In reparto c’è un ragazzo cinese, il nome corrisponde, almeno così pare, e i colleghi raccontano che hanno dovuto proprio mettercela tutta per riuscire a calmarlo. Lui non parla una parola di italiano, inglese nemmeno, mediatori culturali manco l’ombra, si propongono i parenti ma tra tutti la sorella è quella che se la cava meglio ed è … tutto detto!
Comunque alla fine Hu J. viene dimesso, diagnosi di psicosi, un po’ generico, ma pare l’approssimazione migliore. Ed ora tocca all’ambulatorio proseguire.
Il primo colloquio sembra una riunione di famiglia. “Venite voi” ci dice la sorella, “è più facile che convincerlo a uscire” .
“Cominciamo bene” penso io, con una maledizione ai ricoveri brevi e ai colleghi veloci…
Partiamo in due, infermiere e psichiatra, alla volta del negozio dove la famiglia vive e lavora. Classico bazar che vende dalle banane colombiane agli scacciamosche ovviamente made in china, una montagna di merce di tutti i tipi stipata in un piccolo negozio tra la cui clientela si contano contemporaneamente almeno dieci nazionalità diverse, nel cuore multietnico e ultrapopolare di Torino. Sedia per Hu, sedia per me e infermiere, gli altri tutti in piedi, tutti intorno; conto almeno cinque facce, poi si aggiungono due bambini, tutti guardano, qualcuno ridacchia, nessuno dice una parola comprensibile … finalmente la sorella arriva ed inizia il nostro colloquio a tre voci che presto diventano quattro poi cinque man mano che i vari parenti vogliono dire la loro, commentano, aggiungono correggono.
Hu però a poco a poco si rilassa incrocia il nostro sguardo, annuisce energicamente soprattutto quando si tratta di ribadire che ora sta benone e che non ha assolutamente più bisogno di tornare in ospedale! Qualche tremore, qualche difficoltà a dormire, ma è davvero molto difficile spingersi oltre nella valutazione di questa persona così profondamente diversa e così terribilmente spaventata.
Così si finisce per puntare tutto sull’assiduità: ci vedremo tutte le settimane anche di più se necessario e piano piano si spera qualcosa cambierà e ci conosceremo meglio. All’uscita dal negozio gran turbinio di teste, facce, parole ed aromi inconsueti finchè finalmente ripiombiamo nell’aria fresca del mattino nel quartiere di Porta Palazzo e ci accorgiamo che abbiamo anche ricevuto dei doni, succo di guava e qualche dolcetto.
Ha così inizio quella che chiamiamo la “terapia cinese” fatta di visite frequenti, dialoghi surreali e praticamente mai attinenti, compresse e flaconcini e succhi di frutta.
Oggi ho visto la sorella di Hu e ho pensato di raccontare questa storia. Ormai viene lei direttamente a raccontarci di suo fratello e a ritirare le medicine. Noi andiamo a trovarlo, ma meno di frequente. Sta bene ora ha due figli e il più piccolo magari andrà a scuola col mio. Il loro negozio continua a vendere qualunque cosa e la sorella di Hu ha imparato meglio l’italiano e si è rivelata una persona davvero spiritosissima e capace di grande ironia.
E noi in ambulatorio fantastichiamo di iscriverci ad un corso di cinese.