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Recensione di The Artist: possiamo fare a meno delle parole?

CINEMA: The Artist racconta di un attore del cinema muto esaltato dal pubblico e poi dimenticato allorché prende il sopravvento il sonoro.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 18 Apr. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:25

 

Recensione di The Artist: possiamo fare a meno delle parole?L’esperienza di vedere un film muto è piuttosto particolare, ci riporta indietro nel tempo e anzi, è il vissuto peculiare di un tempo che non esiste più.

L’esperienza di vedere The Artist, film francese pluripremiato alla recente cerimonia degli Oscar, è un viaggio in emozioni che sembravano dimenticate, smarrite dentro suoni e frastuoni, confuse fra colori sempre più vivi ma talvolta unificati secondo logiche poco immaginative, attente soprattutto ai gusti del pubblico di massa. The Artist è una scommessa, un film senza parole e senza colori, sebbene il bianco e nero sia spesso il colore della poesia, del cinema più intimo, della fotografia più minimalista e insieme introspettiva.

E’ il colore di Chaplin e Buster Keaton, di Humphrey Bogart e Ridolini, che unisce magia e oscurità, sorriso lieve e frenesia delle espressioni. Ascoltare un film muto, le carezze sottili con cui gli attori curano la propria interpretazione, e la musica che accompagna ogni scena col ritmo di un passo che addolcisce e spiega, penetra e riformula, è la possibilità che The Artist offre allo spettatore, scavando una piccola grotta di significato antico nell’universo attuale di un cinema che globalizzandosi rischia di appiattire parte dell’esperienza e di marginalizzare le diversità, le poetiche più originali, le scelte creative più private.

Cinema - Recensione di A Simple Life (2011) di Ann Hui. - Immagine: Theatrical Release Poster for A Simple Life, Copyright © 2011 by Distribution Workshop.
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The Artist racconta di un attore del cinema muto esaltato dal pubblico e poi dimenticato allorché prende il sopravvento il sonoro; sullo sfondo e poi sempre più centrale, l’amicizia con una ragazza che da sconosciuta fan del grande divo diventa stella del cinema, superando in fama e successo l’uomo grazie al quale si era avvicinata a quel mondo. Le emozioni scorrono delicate ma robuste, l’intreccio narrativo è semplice ma si avvale di trovate poetiche e geniali, come gli svenimenti di un cagnolino ammaestrato o un balletto che i due attori abbozzano divisi da uno schermo che fa intravedere loro solo le gambe dell’altro, senza svelarne l’identità.

 

 

L’assenza delle parole, che compaiono solo in pochi sottotitoli senza partecipare alla raffigurazione emotiva dei personaggi, è particolarmente stimolante per chi di parole vive e lavora utilizzandole nel setting terapeutico come principale strumento di relazione col paziente. La nostra esperienza clinica, le riflessioni teoriche che formuliamo riguardo alla pratica terapeutica, si nutrono di parole e dei loro significati condivisi, costantemente rinegoziati nella creazione di un codice comunicativo che semplifichi il nostro rapportarci col mondo; in questo continuo rinnovarsi di suoni crediamo spesso di generare una facilitazione espressiva, una modalità più agevole di comprendere ed essere compresi, un canale più lineare attraverso il quale fare scorrere i nostri significati affinché giungano all’altro.

Sinfonia d'Autunno: Bergman ci insegna la ciclicità delle emozioni. - Immagine: Poster Cover from 1978 Movie: Autumn Sonata
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Non di rado dobbiamo invece constatare che non è così, che le parole possono diventare eloquio confuso e confusivo, e quei segnali che sembrano comporre un quadro comunicativo, non solo coerente ma anche rassicurante, sono in grado di trasformarsi in una fonte sempre attiva di incomunicabilità. Da qui nasce forse la catartica sensazione originata dall’immergersi in un film muto, nel quale i tempi sono più dilatati e più dilatate le espressioni degli attori, più vivide le loro emozioni. Sospeso il ritmo serrato delle parole siamo costretti a dare ai gesti un valore totalizzante, individuando in essi l’autentica natura delle relazioni; l’innamoramento di una ragazza nei confronti dell’uomo che ha sempre desiderato da lontano e che ora per una sequenza di eventi casuali le rivolge la propria attenzione, viene espresso con l’abbraccio ad un cappotto vuoto, infilando il braccio in una manica per immaginare di essere avvolta dall’amore dell’altro.

Kill Me Please, Suicidio Assistito e le nuove frontiere del Controllo. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
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E’ assai raro ammirare in una pellicola parlata la stessa raffinatezza comunicativa, la medesima capacita’ di rappresentare il reale ricorrendo a sfumature tenui; e’ assai raro in un film di parole l’incontro con un’arte altrettanto elevata nell’accompagnare il fruitore lungo sentimenti complessi eppure resi con eccezionale semplicità. Il muto rallenta l’incedere dell’azione amplificandone il significato profondo, come un treno che compiendo i primi passi della partenza ci fa cogliere la soluzione di continuità del nostro movimento. L’assenza di parole ci mette alla prova, ci conduce a percepire la realtà attraverso sfondi ed equilibri differenti: “The Artist” ha un colore speciale, libero e sorprendente.

 

 

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