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Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #2

De Andrè, Vecchioni, Giorgio Gaber, Gianna Nannini, Vinicio Capossela: Viaggio Psicologico nel suicidio raccontato dai cantautori italiani.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 10 Apr. 2012

Aggiornato il 22 Ott. 2012 12:23

La guerra è finita

per sempre è finita

almeno per me.

La guerra è finita, Baustelle, 2005

 

 

Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #2 - Immagine:  © lassedesignen - Fotolia.comIl primo atto di questo triste viaggio tra i suicidi delle canzoni d’autore si concludeva con un’impiccagione in carcere (La ballata del Michè di Fabrizio de Andrè). 

Utilizza lo stesso metodo anche il protagonista di Morire di Leva (1973) di Claudio Lolli, canzone dedicata a un amico siciliano che si suicida durante il servizio militare. Il corpo viene trovato da due ubriachi: “uno a quell’altro ha detto non ci credi, quel lampadario mi sembrano due piedi”, un verso a mio avviso tragicamente efficace, che ti porta direttamente dentro la scena come fosse un film, degno davvero di un grandissimo poeta. Rispetto al significato del gesto, dal testo appare come le difficoltà legate al cambiamento di vita che si presentavano durante il servizio militare obbligatorio non siano la causa principale del suicidio, ma che costituiscano l’evento stressante che si inserisce su una situazione di vulnerabilità preesistente. “Diceva sempre, io sono sfortunato, sia maledetto il giorno che sono nato”, e di seguito “Però lo sento, che il giorno si avvicina, che finirò per sempre la mia benzina”.

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Questa ipotesi si inserisce nell’ambito del celebre modello stress-vulnerabilità, una teoria esplicativa della patogenesi dei disturbi mentali, secondo la quale in alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è vulnerabile (Zubin et al., 1992). Risulta dal testo anche un verosimile problema con la famiglia di origine, dove il padre si dispera per l’accaduto, mentre la mandre mostra una reazione più distaccata “e lui che piange, la madre è una donna forte, scappare da lei riuscì solo con la morte, scappare da lei riuscì solo con la morte”. Sembra quindi che in questo caso non si tratti di un suicidio indotto da episodi di nonnismo, come talvolta si legge nelle cronache, o da “metodo del tenente Hartman” (come si vede in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick), ma di un disagio mentale comunque preesistente. Recenti studi sottolineano come sia importante la prevenzione e il trattamento del disagio psichico nelle forze armate, che in certi contesti (ad esempio negli Stati Uniti) hanno tassi di suicidio superiori alla popolazione civile.

Nel finale troviamo una nota polemica con l’attitudine cattolica di giudizio morale nei confronti del suicidio: “Il cappellano si associa al risultato, ricorda a tutti che uccidersi è un peccato”, che è presente anche Nella ballata del Michè (1968) di Fabrizio de Andrè (“domani alle tre, nella fossa comune sarà,
senza il prete e la messa perché d’un suicida 
non hanno pietà”). Da queste parole emerge l’atteggiamento laico e non giudicante di questi due cantautori, che si sforzano di comprendere il gesto suicidiario e quasi di empatizzare con la vittima di un dolore intollerabile.

Roberto Vecchioni nella canzone Tommy (1997) racconta del suicidio per impiccagione di un amico dentista che “non aveva niente da sognare
, aveva già passato tutto il suo avvenire”, che sottolinea uno degli elementi psicopatologici associati al suicidio la cosiddetta hopelessness (Pompili, 2011), la mancanza di speranza nel futuro. Nel brano Vecchioni si rivolge a un Dio benevolo (diverso dal cappellano giudicante di prima) pregandolo di “trattare bene” l’amico ed esprime una sorta di senso di colpa per non aver impedito il gesto “digli che io c’ero e non ho fatto in tempo”. Sentimenti di impotenza e di colpa, compaiono quasi sempre nei famigliari e nelle persone vicine al suicida e anche negli operatori che erano entrati in contatto con la persona prima del gesto. Uno delle poche cose che possono essere di consolazione in questi casi è il pensare che quando una persona raggiunge un forte grado di determinazione nel voler commettere il suicidio, è difficile che qualsiasi opera di prevenzione possa essere efficace.

Faust’O propone la canzone Suicidio (1978), che dà il titolo all’album, in cui esprime una sorta di riflessione sull’argomento con capacità di disincanto e drammatizzazione. Il modo ironico in cui canta il ritornello (“Ah suicidio…”) e alcuni versi (“sento tutto quello che mi gira intorno è noia, noia, noia. Anche il terremoto adesso mi dà solo noia, noia, noia”) ricordano un’attitudine un po’ dandy, un po’ decadente e orgogliosamente narcisistica. Alla fine non è chiaro se il protagonista della canzone scelga davvero la via del suicidio (“Ma penso che valga la pena di andare!”).

Le Metafore Psicologiche dei Cantautori Italiani. - Immagine: © nmarques74 - Fotolia.com
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Anche Giorgio Gaber ha scritto un monologo intriso di ironia dal titolo Il suicidio (1978) in cui racconta di un uomo che si guarda allo specchio interrogandosi sul senso della propria esistenza e considerando il gesto estremo come soluzione. Il finale è comunque incoraggiante in quanto conclude con “…e vedremo come va a finire. C’è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte”. In questi casi sembra che la possibilità della libera scelta possa convincere la persona a non portare a termine il gesto, o quanto meno a rimandarlo. E’ chiaro che la disperazione e lo “psychache”, come lo aveva definito il padre della suicidologia Shneidman (1964), non devono essere troppo forti in questi casi. Forse si tratta dell’ideazione suicidiaria che può interessare anche persone non affette da gravi patologie psichiatriche. Possiamo definirla come “l’ideazione autolesiva del ceto medio”, se è vero che uno studio sulla popolazione che accede agli studi del medico di medicina generale ha mostrato come ben il 3,3% dei soggetti avesse un’ideazione suicidiaria, dato ben superiore a quello dei suicidi portati a termine o tentati (Zimmerman et al., 1995).

Rimandare il suicidio è l’invito di Franco Battiato nel brano Breve invito a rimandare il suicidio (1995): “Va bene, hai ragione, se ti vuoi ammazzare. Vivere é un offesa che desta indignazione…ma per ora rimanda”. L’attitudine di Battiato nella canzone ha un sapore quasi paradossale che ricorda gli interventi sistemici della Scuola di Palo Alto (Watzlawick et al., 1974). Anche Giorgio Gaber nella canzone Far finta di essere sani (1973) esprime lo stessa idea “per ora rimando il suicidio e faccio un gruppo di studio, le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani, far finta di essere sani”.

Il mio Psicoterapeuta suona il Rock! - Immagine: © Isaxar - Fotolia.com -
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Gianna Nannini nella canzone Suicidio d’amore (2007) racconta di un suicidio per amore verosimilmente per defenestrazione “Angelo mio saltiamo, in fondo al buio andiamo, cadendo giù per sempre liberi”. La defenestrazione, o in generale il gettarsi dall’alto è un metodo suicidiario ad altissimo potenziale autolesivo. Chi sopravvive di solito riporta importanti disabilità sia fisiche che psicologiche. Dalla letteratura si apprende che oltre il 50% delle persone che mettono in atto questo gesto è affetta da gravi problemi psichiatrici (Joyce and Flemingher, 1998). Gli studi inoltre sottolineano una forte variabilità geografica rispetto a questa modalità, con picchi in città asiatiche come Hong Kong, con alta densità geografica e presenza massiccia di edifici alti.

Anche il brano Nancy (1975) di Fabrizio De Andrè (ma rifacimento del brano So long ago Nancy di Leonard Cohen del 1969) racconta la storia di una ragazza che si suicida per defenestrazione “E un po’ di tempo fa col telefono rotto , cercò dal terzo piano la sua serenità”.

Ultimo amore (1991) di Vinicio Capossela è una struggente ballata dal sapore sudamericano che racconta l’incontro tra un uomo e una donna entrambi segnati da profonde delusioni sentimentali, lui lasciato e lei vedova. L’incontro pare ridare speranza nel futuro alla coppia per un breve periodo, ma lei continua a provare un profondo disagio “lei aveva occhi tristi e beveva volteggiava e rideva ma pareva soffrir”, misto a una fortissima nostalgia del passato “ma giunta che era la sera, girata nel letto piangeva, pregava potere dal suo amore riuscire a ritornar”. La storia si chiude con il suicidio della donna che si butta sotto un treno, “la poteron riconoscere soltanto dagli anelli bagnati dal suo pianto” e con lui che annega il proprio dispiacere nell’alcol, “il liquore pareva mai finire”.

Concludiamo questa macabra rassegna con il tentativo di suicidio, sempre in ambito ferroviario, forse più celebre della canzone d’autore italiana: La locomotiva (1972) del Maestrone Francesco Guccini. La canzone si ispira a un fatto realmente accaduto nel 1893 quando il ferroviere anarchico Pietro Rigosi si impossessò di una locomotiva, dirigendosi a tutta velocità verso la stazione di Bologna, con l’obiettivo di investire “un treno pieno di signori” . Verosimilmente un gesto fortissimo e clamoroso di protesta sociale. Sembra che l’emozione che animi il gesto sia la rabbia e una sorta di bisogno di vendetta proletaria “E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto”. La deviazione della locomotiva lungo un binario morto impedisce la tragedia, ma causa comunque gravi ferite all’uomo, che non svelò mai i veri motivi del gesto.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Zubin, J., Steinhauer, S. R. &Condray, R. (1992) Vulnerability to Relapse in Schizophrenia. British Journal of Psychiatry, 161, 13-18.
  • Zimmerman  M, Lish  JD, Lush  DT, Faber  NJ, Plescia  G, Kuzma  MA.  Suicidal ideation among urban medical outpatients.  J Gen Intern Med.  1995;10:573–6.
  • Bachynski KE, Canham-Chervak M, Black SA, Dada EO, Millikan AM, Jones BH.(2007). Mental health risk factors for suicides in the US Army, 2007-8. Injury Prevention Program, US Army Public Health Command, Aberdeen Proving Ground, Maryland, USA.
  • Shneidman, E. S. (1964). Grand old man in suicidology. A review of Louis Dublin’s Suicide: a sociological study. Contemporary Psychology, 9, 370-371.
  • Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R. (1974). Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.
  • Pompili M. Comprendere e aiutare l’individuo a rischio di suicidio. In Palmieri G, Grassilli C. Psicantria: Manuale di Psicopatologia cantata, La Meridiana, 2011
  • Joyce J. and Fleminger S. (1998) Suicide attempts by jumping. Psychiatric Bulletin, 22:424-427. 
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