expand_lessAPRI WIDGET

L’impronta della violenza sul nostro cervello

La violenza subita in famiglia sembra aumentare la sensibilità e la capacità dei bambini di intercettare potenziali stimoli minacciosi nell’ambiente. “Assistere a violenze” o “esserne vittima” poco importa, entrambe mettono in scacco la speranza di sopravvivere e facilitano il rapido incremento della capacità di captare indizi pericolosi.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 12 Gen. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:08

 

L’impronta della violenza sul nostro cervello - Immagine: © fasphotographic - Fotolia.com - Le violenze subite in famiglia sembrano aumentare la sensibilità e la capacità dei bambini di intercettare potenziali stimoli minacciosi nell’ambiente. “Assistere a violenze” o “esserne vittima” poco importa, entrambe mettono in scacco la speranza di sopravvivere e facilitano il rapido incremento della capacità di captare indizi pericolosi.

I dati epidemiologici ci dicono che l’esposizione ad un clima familiare violento colpisce ad oggi una significativa minoranza di bambini: le stime generali sulla presenza di episodi di violenza fisica/sessuale sono tra il 4 e il 16%, mentre il range di violenze domestiche subite arriva a colpire tra l’8 e il 25% dei bambini. Quest’ultima percentuale diventa un dato di enorme impatto clinico, se si pensa che queste esperienze di maltrattamento, spesso reiterate per anni, costituiscono uno stress ambientale in grado di accrescere drammaticamente il rischio di sviluppare una psicopatologia nell’età adulta.

I comportamenti aggressivi dei bambini. Immagine: © elisabetta figus - Fotolia.com
Articoli consigliati: "I comportamenti aggressivi dei bambini"

Uno studio pubblicato nel 2011 sulla rivista Current Biology ha utilizzato tecniche di neuroimaging per esplorare l’impatto dell’abuso fisico o della violenza domestica sullo sviluppo emotivo del bambino. I ricercatori del gruppo di McCrory della University College London hanno rilevato nei bambini con storia di violenza la presenza di una maggiore reattività a stimoli minacciosi significativi dal punto di vista biologico (cioè legati alla sopravvivenza!), come ad esempio volti arrabbiati, rispetto a volti tristi o neutri. Le aree cerebrali più attivate dalla presentazione di volti rabbiosi sono state l’insula anteriore e l’amigdala, entrambe coinvolte nell’intercettare minacce nell’ambiente e nell’anticipare e prevenire il dolore, fisico e mentale.

 

Non si tratta di danno cerebrale, ma di una maggiore e più frequente attivazione dei circuiti neurali legati alla paura e alla percezione di pericolo. L’ipotesi dei ricercatori è dunque che questa maggior reattività costituisca un meccanismo di adattamento biologico che rende questi bambini “iper-consapevoli” (hyper-aware) rispetto alla presenza di possibili pericoli nel loro ambiente e che li aiuta ad intercettare in brevissimo tempo il pericolo e ad avere salva la vita. Precedenti studi di neuroimaging condotti su soldati che avevano partecipato a combattimenti violenti, hanno mostrato lo stesso pattern di attivazione in queste due aree cerebrali!

Ma cosa succede se questo pattern viene mantenuto invariato nel tempo?

I ricercatori sottolineano come questo meccanismo, inizialmente adattivo, possa diventare in età adulta un fattore di rischio neurobiologico e di predisposizione a sviluppare disturbi psicologici. Ansia e depressione negli adulti sono spesso il risultato di una prolungata esposizione a violenze domestiche o a uno stato prolungato di neglect affettivo (ugualmente percepito come “rischio di vita” per un bambino); tuttavia sono ancora poche le ricerche che si sono occupate di studiare come la presenza di queste storie riesca a lasciare “un’impronta nel cervello” tale da incrementare la vulnerabilità nell’adulto a sviluppare sofferenza psicologica.

Il dato descritto dagli autori può apparentemente non avere impatto diretto sul piano clinico e del trattamento, ma la sola possibilità di spiegare anche in termini biologici l’intenso stato d’ansia, pervasivo disturbante e talora logorante, come una normale risposta al pericolo appresa nella propria storia può talora essere rassicurante e ridurre la sensazione di incapacità o debolezza spesso legata alla cronica impossibilità di riuscire a godersi momenti di relax, anche quando l’ambiente intorno è privo di pericoli.

 

BIBLIOGRAFIA:

McCrory EJ, De Brito SA, Sebastian CL, Mechelli A, Bird G, Kelly PA, Viding E, (2011). “Heightened neural reactivity to threat in child victims of family violence”. Current Biology, 21(23).

 

CLICCA QUI PER SEGNALARE UN PROBLEMA CON QUESTO SITO. UN IDEA PER MIGLIORARLO. PORRE UNA DOMANDA ALLA REDAZIONE. AVANZARE UNA CRITICA O UN CONSIGLIO

Si parla di:
Categorie
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel